Cureremo il male al ginocchio col naso?

C'è una nuova promettente tecnica per trapiantare la cartilagine del setto nasale nel ginocchio per riparare i suoi tessuti danneggiati

Un gruppo di ricercatori dell’Ospedale Universitario di Basilea, in Svizzera, sta sperimentando un sistema innovativo per riparare le cartilagini danneggiate delle ginocchia, utilizzando il tessuto cartilagineo del naso degli stessi pazienti. La procedura dovrà essere ulteriormente indagata e sperimentata, ma i primi risultati pubblicati sulla rivista scientifica The Lancet sono incoraggianti, e potrebbero portare in futuro a nuovi sistemi per migliorare la vita a chi ha subito incidenti alle ginocchia, o ha particolari malformazioni che hanno consumato le loro cartilagini, rendendo dolorosa e difficoltosa anche una semplice camminata.

Il tessuto cartilagineo si trova in diversi punti del nostro organismo, soprattutto nelle articolazioni, e ha la funzione di attutire le sollecitazioni meccaniche che portano a una compressione negli spazi articolari tra osso e osso. In altre parti del corpo, come il setto nasale e il padiglione auricolare, i tessuti cartilaginei servono per avere strutture resistenti, ma al tempo stesso flessibili e in grado di adattarsi a sollecitazioni esterne senza fratturarsi o causare danni più seri al resto dell’apparato scheletrico. Le cartilagini sono costitute dai condrociti, un particolare tipo di cellule che ha la caratteristica di produrre una sostanza intercellulare formata da collagene, nella quale le stesse cellule vivono immerse.

A causa di sport particolarmente impegnativi, lavori usuranti, posture scorrette o malformazioni, nel corso del tempo le cartilagini tendono a consumarsi, offrendo una minore protezione all’interno delle articolazioni, che quindi si infiammano causando dolore e difficoltà di movimento. L’articolazione del ginocchio, la più complessa del nostro organismo, è maggiormente esposta a problemi di questo tipo proprio perché deve sorreggere il peso di buona parte del corpo ed è soggetta di continuo a colpi, urti e sollecitazioni.

Il problema è che quando una cartilagine si danneggia, sfibrandosi e assottigliandosi, è molto difficile renderla nuovamente funzionale e le tecniche utilizzate finora non hanno portato a grandi risultati. Tra le tecniche sperimentate con successi alterni finora ci sono stati i trapianti di cellule dei tessuti cartilaginei dello stesso paziente o da cadaveri, nella speranza che attecchiscano e che tornino a essere vitali, oppure interventi più invasivi come creare minuscole fratture nell’osso cui è attaccata la cartilagine, nella speranza che questo rilasci nuove cellule che si specializzino poi ripristinando la cartilagine.

Negli ultimi anni medici e ricercatori hanno esplorato soluzioni alternative, come un autotrapianto ricorrendo a cartilagini di altro tipo dell’organismo e che non fanno parte delle articolazioni, come quelle del naso. I ricercatori di Basilea scrivono su The Lancet di avere asportato dal naso di un paziente un campione di cartilagine grande più o meno quanto le gomme che si trovano sulle matite, e di averlo in seguito disciolto utilizzando particolari enzimi. La soluzione ottenuta è stata applicata su una membrana porosa, una sorta di microserra per far crescere le cellule e creare un nuovo tessuto, che in seguito è stato trapiantato nell’articolazione danneggiata del ginocchio del paziente da cui era stato asportato l’equivalente di un gommino di setto nasale.

Dopo il trapianto, il tessuto si è adattato e ha assunto le caratteristiche tipiche delle cartilagini del ginocchio. I ricercatori lo hanno constatato valutando la concentrazione di alcune strutture molecolari, del collagene e di altri componenti. Il trattamento per ora è stato limitato a un gruppo molto ristretto di pazienti, che dopo il trapianto hanno detto di avere recuperato la mobilità dell’articolazione e di avere meno dolore. I progressi sono comparabili a quelli ottenuti con i sistemi tradizionali, ma che però sono invasivi. I ricercatori nel loro studio ammettono comunque che parte della reazione dei pazienti potrebbe essere dovuta a un effetto placebo, che si manifesta quasi sempre e che in questo caso potrebbe essere stato amplificato dalla prospettiva di avere ricevuto un trattamento innovativo. I risultati sono comunque tali da avere reso possibile l’avvio di una seconda fase di trial clinici, che stanno coinvolgendo 108 pazienti in quattro diverse cliniche.