L’Indonesia e la castrazione chimica

Il presidente del paese dice che "quando si tratta di crimini sessuali non ci sono compromessi"

Joko Widodo in Cina nel settembre del 2016 (Mark Schiefelbein - Pool/Getty Images)
Joko Widodo in Cina nel settembre del 2016 (Mark Schiefelbein - Pool/Getty Images)

Il 12 ottobre il parlamento dell’Indonesia ha approvato una legge molto controversa che autorizza la castrazione chimica per i pedofili condannati in via definitiva, e che prevede in alcuni casi la condanna a morte o comunque una pena non inferiore ai 10 anni di carcere. Prima, per lo stupro di adulti o bambini, la legge prevedeva una pena massima di 14 anni di carcere.

Alla castrazione chimica si erano opposti due partiti all’opposizione, l’associazione dei medici del paese, alcuni gruppi per i diritti umani e anche la Commissione nazionale per le donne spiegando che i paesi che applicano questa procedura non hanno registrato una riduzione dei reati sessuali contro i bambini e che poiché si tratta di una procedura molto costosa quegli stessi soldi dovrebbero essere spesi nei servizi di sostegno alle vittime. La procedura prevede che ai condannati vengano iniettati ormoni femminili per far calare, nella maggior parte dei casi in maniera reversibile, il testosterone e dunque il desiderio sessuale. Questo sistema è attualmente utilizzato per i reati sessuali in Polonia, Corea del Sud, Russia e in alcuni stati americani. Nel Regno Unito è applicabile se i condannati ne fanno richiesta.

Il presidente dell’Indonesia Joko Widodo è stato il promotore della nuova legge dopo lo stupro di gruppo e l’omicidio di una ragazza di 14 anni avvenuti lo scorso maggio. In un’intervista alla BBC ha detto che se applicata in modo coerente potrebbe ridurre i crimini sessuali e «spazzarli via». Ha anche detto che:

«La nostra Costituzione rispetta i diritti umani, ma quando si tratta di crimini sessuali non può esserci alcun compromesso»