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  • Domenica 16 ottobre 2016

L’indipendenza del Kosovo, nel calcio

La nazionale kosovara sta disputando per la prima volta una competizione ufficiale, nonostante qualche opposizione e la mancanza di uno stadio adatto

Tifosi kosovari a Turku durante la partita delle qualificazioni ai Mondiali del 2018 contro la Finlandia (JUSSI NUKARI/AFP/Getty Images)
Tifosi kosovari a Turku durante la partita delle qualificazioni ai Mondiali del 2018 contro la Finlandia (JUSSI NUKARI/AFP/Getty Images)

Nel marzo del 2014, nello stadio di Mitrovica, a nord della capitale Pristina, la nazionale del Kosovo disputò la prima amichevole della sua storia contro Haiti, anche se la sua federazione calcistica non era stata ancora riconosciuta né dalla FIFA né dalla UEFA: fu una partita simbolica, organizzata per mostrare che, come gli altri paesi dell’ex Jugoslavia, anche il Kosovo aveva una sua nazionale di calcio. Nonostante si fosse dichiarato indipendente dalla Serbia nel 2008, il Kosovo era riconosciuto come Stato soltanto da 23 dei 28 paesi dell’Unione Europea e 108 dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite. Ancora oggi è privo di uno status giuridico formalmente e univocamente riconosciuto: questa condizione, fino a pochi mesi fa, ha tra le altre cose impedito alla sua nazionale di far parte dell’UEFA e della FIFA, i massimi organismi governativi del calcio europeo e mondiale. Non ha quindi potuto partecipare alle qualificazione per gli Europei e per la Coppa del Mondo degli ultimi anni, almeno fino allo scorso settembre.

Dopo anni di trattative sostanzialmente fallite, nel settembre del 2012, poco prima di una partita di qualificazione ai Mondiali di calcio tra Svizzera e Albania, ci fu un incontro tra Eroll Salihu, l’attuale segretario generale della nazionale kosovara, e Fadil Vokrri, presidente della Federcalcio del Kosovo e forse il più forte calciatore originario del Kosovo di tutti i tempi, l’unico ad aver giocato con la maglia della Jugoslavia. Nove dei ventidue giocatori presenti in campo in quella partita tra Svizzera e Albania erano nati in Kosovo o avevano origini kosovare, e avrebbero teoricamente potuto giocare per una nazionale di calcio del Kosovo, se ce ne fosse stata una. Salihu e Vokrri inviarono quindi una lettera di petizione alla FIFA sulla questione, chiedendo la formazione di una nazionale di calcio: la petizione fu firmata anche da diversi calciatori che oggi giocano in altre nazionali e in alcuni dei club più forti d’Europa.

Alla petizione del Kosovo seguì una comunicazione della FIFA in cui veniva finalmente concesso a club e squadre rappresentative del Kosovo la possibilità di organizzare partite amichevoli contro squadre di altre federazioni. La FIFA stabilì però alcune condizioni, secondo qualche osservatore in parte dovute dall’opposizione della Serbia, che continuava — e continua — a ritenere il Kosovo come una parte inalienabile della propria storia e del proprio territorio. Per questo motivo – e principalmente perché il Kosovo non è uno stato membro delle Nazioni Unite – alla nazionale del Kosovo venne concesso di esporre il nome dello Stato sulle maglie ma non di usare bandiere, stemmi o simboli e nemmeno di suonare l’inno.

Lo scorso maggio, la UEFA ha deciso di includere il Kosovo tra i propri membri, nonostante il suo regolamento prevedesse che l’ammissione fosse aperta “alle associazioni calcistiche nazionali situate nel continente europeo, basate in un paese che sia riconosciuto dalle Nazioni Unite come uno stato indipendente, e che siano responsabili dell’organizzazione e implementazione delle questioni legate al calcio nel territorio del loro paese”. L’ingresso del Kosovo nella FIFA e nella UEFA è stato votato dalla maggioranza dei paesi membri, ma quelli contrari, una ventina in tutto, hanno criticato molto la decisione, perché contraria ai regolamenti delle due organizzazioni.

La Serbia ha presentato anche ricorso al Tribunale Arbitrale dello Sport ma il 5 settembre, a Turku, in Finlandia, la nazionale kosovara ha disputato ugualmente la sua prima partita ufficiale in una competizione riservata alle nazioni affiliate alla FIFA e organizzata dalla UEFA, le qualificazioni ai Mondiali di calcio del 2018. A inizio ottobre il Kosovo ha poi giocato contro la Croazia la sua prima partita in casa, ma non in Kosovo: lo stadio di Pristina infatti non è adatto ad ospitare partite internazionali e la federazione kosovara ha scelto di andare a giocare Scutari, in Albania: la partita è terminata 6 a 0 per la Croazia. Pochi giorni dopo, il Kosovo ha giocato contro l’Ucraina, che essendo uno degli stati che non riconoscono il Kosovo non ha ospitato la partita in Ucraina, ma a Cracovia, in Polonia. Anche la Russia, organizzatrice dei prossimi Mondiali, è fra i paesi che non riconoscono il Kosovo.

Pur essendo una piccola nazione con una popolazione inferiore ai due milioni di abitanti, la nazionale kosovara può contare su di una discreta rosa, formata tra gli altri dal portiere del Pisa Samir Ujkani, da Valon Berisha del Red Bull Salisburgo e da molti giocatori tesserati da squadre di prima e seconda divisione tedesche. La FIFA ha permesso ai giocatori di origini kosovare già convocati da altre nazionali di poter scegliere se accettare la convocazione del Kosovo: Samir Ujkani, per esempio, ha iniziato a giocare con il Kosovo pur avendo una ventina di presenze con la nazionale albanese. Così ha fatto anche Valon Berisha, in passato convocato dalla nazionale norvegese e ora membro della nazionale kosovara. Altri giocatori, anche molto famosi come i fratelli Xhaka e l’ex di Bayern Monaco e Inter Xherdan Shaqiri, hanno però deciso di rimanere con le proprie nazionali, declinando l’offerta del Kosovo.