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  • Mercoledì 12 ottobre 2016

Gli avvocati di Salah Abdeslam non lo difenderanno più

Hanno spiegato che non ha più senso, dato che l'accusato degli attentati di Parigi si rifiuta di testimoniare

(AURORE BELOT/AFP/Getty Images)
(AURORE BELOT/AFP/Getty Images)

I due avvocati Frank Berton e Sven Mary hanno annunciato che smetteranno di difendere Salah Abdeslam, uno dei principali sospettati per gli attentati del 3 novembre a Parigi. In un’intervista, Berton ha spiegato che Abdeslam «ha scelto di chiudersi in un muro di silenzio» – cioè di non collaborare con le indagini sul suo conto e di non testimoniare al suo processo – e che per questo «il mio ruolo non ha più senso». Mary, un penalista belga molto noto e che in passato è stato criticato duramente per aver accettato di occuparsi di Abdeslam, ha precisato che a suo dire l’atteggiamento di Abdeslam si può spiegare in parte con le severe misure di detenzione applicate nel suo caso. Abdeslam si trova in una cella in isolamento ed è costantemente ripreso da più di una telecamera, cosa che è già stata criticata e paragonata a una “tortura psicologica”.

Abdeslam si trova attualmente nel carcere francese di Fleury-Mérogis, nella regione dell’Île-de-France, dopo essere stato estradato dal Belgio dove era stato arrestato a marzo. Mentre Abdeslam era in un carcere belga, Mary lo aveva incontrato sette o otto volte, per due ore e mezzo a ciascun incontro. Dopo la sua cattura, Abdeslam aveva spiegato di voler collaborare alle indagini e chiarire il suo ruolo negli attentati. Da quando si trova in Francia, però, Abdeslam ha rifiutato la strategia di difesa dei due avvocati e finora si è rifiutato di testimoniare al proprio processo. In maggio, durante la prima udienza, si è rifiutato di parlare. In luglio non si è nemmeno presentato all’udienza, mentre a una terza udienza tenuta a settembre si è nuovamente rifiutato di parlare. Anche allora, il suo avvocato Frank Berton aveva spiegato che il suo rifiuto era «certamente» legato ai sistemi di sorveglianza della sua cella.

Abdeslam è ripreso ininterrottamente nella sua cella dal 17 giugno da sei telecamere agli infrarossi, che coprono l’intera superficie della sua cella e che possono zoommare sui dettagli, mostrando per esempio cosa stia leggendo o cucinando. Nella zona della toilette c’è un pannello nella parte bassa ed è possibile riprendere solo la parte superiore del corpo. In luglio Berton aveva detto che contrariamente a questa disposizione, la misura applicata a Salah Abdeslam è stata imposta per decreto ministeriale e non è «prevista dalla legge». Inoltre non la ritiene necessaria allo scopo dichiarato, cioè prevenire il suicidio di Abdeslam, e che sta avendo invece l’effetto opposto. Parlando dopo la decisione di abbandonare la difesa di Abdeslam, Sven Mary ha detto che la prigione sta trasformando il sospettato in «una bestia selvatica».

Le Monde ha ricordato che Abdeslam ha parlato solamente una volta con le autorità, il giorno dopo il suo arresto a Bruxelles, e che molto resta da essere chiarito sul suo ruolo negli attentati e nell’organizzazione che li ha compiuti. Abdeslam aveva confermato di essere la persona che aveva noleggiato le automobili e prenotato gli alberghi per gli altri terroristi, e che aveva accompagnato in auto i tre attentatori suicidi dello Stade de France. Anche lui doveva partecipare a un attentato suicida, ma all’ultimo momento ha rinunciato. Le Monde scrive comunque che la versione di Abdeslam ha dei punti deboli e che alcune cose non tornano.

Parlando con la radio francese RTL, il presidente dell’associazione delle vittime di attacchi terroristici Stephane Gicquel ha comunque fatto notare che il processo «non è basato sulle parole di Abdeslam», e che questo va ricordato ai familiari dei morti degli attentati.