WikiLeaks c’è da dieci anni

E in questo tempo è stata osannata e criticata come poche altre organizzazioni nel mondo, come il suo capo, e continua a fare parlare di sé

Julian Assange alla finestra, 5 febbraio 2016 (AP Photo/Kirsty Wigglesworth)
Julian Assange alla finestra, 5 febbraio 2016 (AP Photo/Kirsty Wigglesworth)

Il 4 ottobre del 2006 venne fondata WikiLeaks, il cui nome deriva da leak, “fuoriuscita” in inglese, e wiki, il nome con cui si indicano i siti, spesso di carattere enciclopedico, che possono essere integrati e arricchiti dagli utenti. Dire che cosa sia precisamente WikiLeaks non è semplice: un’organizzazione per la trasparenza dell’informazione? Un gruppo di hacker? Un collettivo di attivisti? Il sito in dieci anni di attività ha diffuso circa 10 milioni di documenti riservati, ottenuti da fonti anonime: spesso queste pubblicazioni hanno avuto moltissime conseguenze sulla politica internazionale. Quando si dice WikiLeaks, poi, si pensa subito al suo leader e fondatore Julian Assange: per alcuni è una specie di eroe, un difensore dei diritti civili e della libertà di stampa; per altri è invece un irresponsabile o un pericolo pubblico o un uomo con una precisa agenda politica.

Julian Assange, intanto
Assange è australiano, è nato nel 1971 a Townsville ed è un uomo piuttosto eccentrico. I suoi genitori lavoravano in una compagnia teatrale, così da ragazzino cambiò moltissime scuole e finì per frequentare l’università in sei atenei diversi. Quando aveva una ventina d’anni, Assange si appassionò all’informatica diventando uno degli hacker del gruppo International Subversives. Le attività illegali gli costarono alcune multe salate, diversi giorni di prigione e 24 diversi capi d’accusa. Fin da allora è un sostenitore dell’open source (i programmi realizzati con codice aperto, accessibile a tutti) e ha anche collaborato alla realizzazione di diverse soluzioni per il sistema operativo Linux. A partire dal 2006 i suoi interessi si spostarono poi verso i documenti riservati, cosa che gli consentì di entrare a far parte del direttivo di nove persone che amministrano WikiLeaks. Durante i primi anni del sito rimase un po’ nell’ombra, finché decise di presentarsi pubblicamente come “faccia” di WikiLeaks.

Nel 2010 Assange fu accusato in Svezia da due donne di aggressione sessuale e stupro, di coercizione illecita e di molestie. Nel 2015 tre delle quattro accuse andarono in prescrizione ma restò in piedi l’accusa di stupro, la più grave, per la quale Assange potrà essere incriminato fino al 2020. Lui ha sempre negato le accuse, dicendo che sono parte di una campagna organizzata dalla CIA per screditarlo e per estradarlo negli Stati Uniti, paese dove rischia di essere processato per le attività di WikiLeaks. Dal giugno del 2012 Assange vive rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Da allora ha fondato un partito politico – WikiLeaks, come la sua organizzazione – che ha partecipato alle elezioni in Australia nel 2013 ottenendo risultati molto modesti; ha diretto e presentato il talk show “World Tomorrow” sul canale Russia Today, di proprietà del governo russo, e ha fatto richiesta di asilo politico al governo francese, ricevendo però una risposta negativa.

WikiLeaks
WikiLeaks ha cominciato a essere WikiLeaks, diventando celebre in tutto il mondo, soprattutto dal 2010, con la diffusione del video dell’attacco di un elicottero statunitense a Baghdad in cui vennero uccisi diversi civili (conosciuto come “Collateral Murder“) e di 400 mila documenti riservati sulla guerra in Iraq, che aveva ricevuto dalla militare Chelsea Manning, ora in carcere negli Stati Uniti. Poi ci furono i 90 mila e passa rapporti segreti dell’esercito americano in guerra in Afghanistan (i “diari di guerra afghani”) e infine con i cosiddetti “Cablegate”, cioè migliaia di rapporti ufficiali scritti da funzionari e ambasciatori facenti capo al dipartimento di Stato americano, sulle interazioni tra funzionari americani o tra questi e ambasciatori o funzionari di governi stranieri

Prima di allora, WikiLeaks aveva pubblicato una serie di documenti che riguardavano le procedure operative di una sezione del carcere di Guantanamo (2007), una serie di “bibbie” segrete di Scientology che includevano indicazioni su bizzarre procedure degli adepti (2008), le email dell’Unità di Ricerca sul Clima (2009) che dimostravano una serie di “trucchi” per far sembrare la situazione climatica più grave di quanto fosse in realtà, attirando così l’attenzione dei media; i documenti interni all’azienda petrolifera Trafigura sulle conseguenze dello scarico di rifiuti in Africa; la lista con i nomi, gli indirizzi e i mestieri dei 13.500 membri del Partito Nazionalista Britannico (BNP) di estrema destra; oltre mezzo milione di messaggi inviati negli Stati Uniti nel giorno degli attentati dell’11 settembre.

Se inizialmente il lavoro di WikiLeaks fu accolto positivamente da una buona parte dell’opinione pubblica e della stampa, dopo il 2010 cominciarono ad arrivare critiche anche da chi prima lo sosteneva. Diverse ONG, tra cui Amnesty International e poi Reporter senza frontiere, ma anche alcuni volontari interni alla stessa organizzazione, attaccarono duramente Julian Assange per le modalità con cui aveva scelto di pubblicare per esempio i rapporti afghani, non censurando i nomi dei civili e mettendoli quindi potenzialmente in pericolo. Nel 2011 poi WikiLeaks pubblicò il suo intero archivio di comunicazioni diplomatiche americane, composto da 251.000 documenti, privo di qualsiasi controllo redazionale e privo di censure, e che rivelò quindi i nomi di migliaia di persone che avevano collaborato con la diplomazia americana in giro per il mondo, mettendoli potenzialmente in pericolo. Anche in quel caso l’organizzazione fu molto criticata.

Mentre nei primi anni il sito si avvaleva della collaborazione di alcune testate giornalistiche, per scremare i documenti e identificare solo quelli più rilevanti, negli ultimi anni WikiLeaks ha adottato un modello più aggressivo: pubblicare tutto indiscriminatamente, senza applicare particolari filtri per tutelare i dati delle persone che non c’entrano nulla e sono finite per caso nei database, spesso perché hanno banalmente inviato una email ad alcuni contatti coinvolti nelle attività denunciate da WikiLeaks.

Negli anni successivi WikiLeaks proseguì con il suo lavoro pubblicando periodicamente informazioni e documenti: i cosiddetti “Guantanamo Files”, dedicati alla prigione statunitense a Cuba e alle sue procedure dal 2002 al 2009; i “Syria Files”, che comprendevano oltre 2 milioni di mail di politici siriani, ministeri e imprese locali e multinazionali; una serie di documenti in vista delle presidenziali americane del 2012. E poi ancora: migliaia di email e documenti riservati sottratti alla casa di produzione cinematografica Sony Pictures nel 2014 – probabilmente da hacker della Corea del Nord – e i documenti del capo della CIA John Brennan.

Nel 2016 si è parlato soprattutto della pubblicazione di una conversazione tra due funzionari del Fondo Monetario Internazionale sull’alleggerimento del debito greco, che coinvolgeva anche Angela Merkel, e della diffusione di quasi 300.000 email che WikiLeaks ha sostenuto provengano dagli indirizzi di posta elettronica del partito del presidente turco Tayyip Erdogan. Subito dopo quest’ultimo episodio una studiosa chiamata Zeynep Tufekci scrisse un articolo molto duro intitolato «WikiLeaks mette in pericolo le donne della Turchia, senza nessun motivo»: Tufekci disse in sostanza che le email non includevano nessuna notizia rilevante, ma che WikiLeaks aveva diffuso il contenuto di enormi database con informazioni private che riguardavano quasi ogni donna del paese. WikiLeaks si era difesa dicendo che a pubblicare dei dettagli privati sulle donne turche era stato qualcun altro.

L’episodio più recente che ha coinvolto WikiLeaks ha a che fare con la diffusione di migliaia di email del Partito Democratico americano che secondo alcuni esperti e secondo le agenzie di intelligence statunitensi erano state rubate da alcuni hacker russi per favorire il candidato Repubblicano Donald Trump alle elezioni presidenziali di novembre. La capo del Partito Democratico americano Debbie Wasserman Schultz si era dimessa e il New York Times aveva scritto che Assange aveva pianificato il momento in cui pubblicare le email per danneggiare politicamente Hillary Clinton il più possibile. Non solo: Edward Snowden – l’uomo che aveva reso pubblico il programma di sorveglianza della National Security Agency (NSA) e che, almeno in teoria, si potrebbe considerare un alleato naturale di WikiLeaks – aveva criticato l’organizzazione per la continua pubblicazione indiscriminata di tutte le informazioni che riceveva: «La democratizzazione dell’informazione non è mai stata più vitale, e Wikileaks ha aiutato in questo senso. Ma la sua ostilità anche a una minima selezione delle informazioni in suo possesso è uno sbaglio», aveva scritto Snowden su Twitter. WikiLeaks aveva risposto dando di fatto a Snowden del venduto.

Dal 2010 a oggi, dunque, la critica principale rivolta ad Assange e alla sua organizzazione non è cambiata, ma si è in qualche modo aggravata. Diversi osservatori, in occasione della pubblicazione delle mail del Partito Democratico americano, hanno segnalato che l’importanza di WikiLeaks è cresciuta grazie alla capacità di raccogliere e pubblicare online informazioni rubate senza rivelare l’identità delle fonti o di cedere davanti ai tentativi di censura, ma anche che l’organizzazione non è stata altrettanto capace nel capire cosa fare con questo tipo di informazioni, minacciando la privacy delle persone. Secondo alcuni, poi, WikiLeaks sta facendo danni alle campagne per una maggiore trasparenza delle istituzioni internazionali, essendosi prestata in diverse occasioni a diventare uno strumento con cui i governi si attaccano a vicenda. WikiLeaks è sospettata da qualcuno di avere legami con organizzazioni controverse e con membri dell’intelligence di governi autoritari: e Assange è accusato di avere un conto aperto soprattutto con Hillary Clinton, segretario di Stato americano dal 2009 al 2013, e di volerla danneggiare in ogni modo.

Non è semplice rispondere alla domanda se l’organizzazione sia o no in declino: certamente WikiLeaks deve competere con altri gruppi per ottenere l’accesso alle informazioni. Negli ultimi dieci anni, infatti, altre organizzazioni hanno adottato l’approccio di WikiLeaks. I cosiddetti Panama Papers, per esempio, sono stati gestiti dall’International Consortium of Investigative Journalists, che ha coordinato oltre 100 organizzazioni giornalistiche per analizzare simultaneamente i documenti per un intero anno. In una recente intervista al quotidiano tedesco Der Spiegel, Assange ha detto che «le sventure ci hanno resi più forti: non abbiamo mai perso una causa in tribunale e ora abbiamo dieci anni. Attendiamo di diventare adolescenti».

Martedì 4 ottobre, in occasione dei 10 anni di WikiLeaks, Assange ha parlato durante una videoconferenza: ha detto che ogni settimana per le prossime dieci settimane ci saranno nuove rivelazioni, ha negato di aver voluto danneggiare Hillary Clinton e ha anticipato che alcuni documenti che verranno pubblicati prossimamente hanno a che fare con le elezioni negli Stati Uniti.

Un documento diffuso dall’organizzazione in occasione dei dieci anni ha risposto alle principali critiche ricevute nel tempo: nega le accuse di avere una relazione speciale con il governo russo o di essere anti-occidentale, spiegando di avere diffuso migliaia di documenti su Vladimir Putin e sul dittatore siriano Bashar al Assad, e ha precisato che non ci sono prove che le email del Partito Democratico americano siano state rubate da hacker russi. Il documento dice anche che nessuna persona ha subito conseguenze fisiche per la pubblicazione da parte di WikiLeaks di documenti riservati, come «ha dovuto ammettere sotto giuramento il Pentagono nel processo del 2013 a Chelsea Manning».

Domenica 2 ottobre Roger Stone, un consulente politico Repubblicano che ha un vecchio rapporto di amicizia con Trump e che ha lavorato per la sua campagna elettorale alle presidenziali del 2016, ha scritto un tweet un po’ misterioso in cui suggerisce che mercoledì Clinton sarà «finita», a cui ha aggiunto l’hashtag #Wikileaks. Il tweet ha alimentato i sospetti di chi crede ci sia un qualche tipo di contatto o di coordinamento tra lo staff di Trump e WikiLeaks.