L’immaturità di Renzi

Si è preso i rischi dei giovani seduttori e ora deve metterci una pezza, spiega Adriano Sofri

Matteo Renzi, 9 settembre 2016 (ARIS MESSINIS/AFP/Getty Images)
Matteo Renzi, 9 settembre 2016 (ARIS MESSINIS/AFP/Getty Images)

Qualche giorno fa il direttore del Foglio Claudio Cerasa ha intervistato Matteo Renzi, presidente del Consiglio e segretario del PD, che tra le altre cose ha spiegato che per il referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre saranno decisivi i voti della destra. Qualche giorno dopo Adriano Sofri ha scritto un articolo partendo da quelle dichiarazioni, spiegando il passaggio dai partiti storici e dalle classi dirigenti ai leader personali e ai cerchi magici e paragonando Renzi a un seduttore immaturo che ha commesso l’errore di sentirsi sicuro delle sue conquiste e che non ha saputo «trasformare la passione in affetto e rispetto».

Ho letto le frasi d’apertura del dialogo fra il direttore del Foglio e Matteo Renzi, che per giunta l’ha pronunciata “d’un fiato”: “Inutile girarci intorno: i voti di destra saranno decisivi al referendum. La sinistra, ormai, è in larghissima parte con noi. Direi che la stragrande maggioranza è con noi. La questione vera oggi è la destra”. Era piuttosto inevitabile leggerla alla rovescia: la sinistra è perduta, vediamo di recuperare a destra. Brutta notizia per me, che sono di sinistra (in tempi di autoanagrafe, sono la sinistra). Non buonissima nemmeno per l’intervistatore, che mira bensì a un ripristino dell’alleanza fra Renzi e Berlusconi, magari per l’interposta persona di Parisi; ma proprio nello stesso giorno Berlusconi e Salvini e Meloni si abbracciavano per il No. Naturalmente la politica, questa in particolare, è tortuosa, e tortuosi devono essere anche i disegni dei suoi praticanti. Ma vorrei, con l’occasione, svolgere un ragionamento sulla mutazione della politica contemporanea e su alcune conseguenze forse non abbastanza avvertite. La politica personalizzata è in parte l’effetto della consunzione dei partiti, in parte una sua concausa. A parte i caudillismi latinoamericani, quelli cui si deve l’importazione di termini come giustizialismo o la reimportazione distorta di termini come populismo, l’Italia è stata piuttosto all’avanguardia del passaggio dai partiti solidi alle formazioni personali. In principio fu, direi, Marco Pannella e le sue liste Bonino-Pannella eccetera, che infatti erano fuori e si contrapponevano alla “partitocrazia”. Un passo molto forte nella transizione dal regime dei partiti tradizionali a quelli personali fu compiuto da Bettino Craxi che in quell’ambito, della politica d’abord, se li mangiava tutti, e alla fine ci rimase intrappolato. I partiti furono poi sciolti per via giudiziaria, che non era certo il proposito di Pannella. La via giudiziaria, a sua volta, era stata autorizzata dalla fine (provvisoria, ora vediamo) della Guerra fredda. Da allora, c’è stata una sequela quasi caricaturale di candidati “carismatici” – in certe congiunture mediocri il carisma, chi non ce l’ha, se lo può dare – durati lo spazio di un pomeriggio o due. Voi avrete un conto più esatto del mio: Segni, Bossi, Di Pietro, Fini, Ingroia (viene da mettere un punto esclamativo dietro ciascuno di questi nomi…).

Il passaggio arrivò a compimento con Silvio Berlusconi. Oggi una mezza figura come Trump ha reso definitivamente chiaro quanto fosse esemplare l’avvento di Berlusconi, che a suo tempo ci lasciò a bocca aperta per quanto appariva inconsulto e stravagante. Giù fino a Matteo Renzi e Beppe Grillo. Renzi ha preso la rincorsa sugli avanzi dei partiti tradizionali. Grillo stando completamente fuori dal seminato. Sono oggi i due veri contendenti del referendum. La contesa però è del tutto squilibrata. Renzi ha preso il governo, ed è diventato presto il bersaglio dell’insofferenza furiosa di tanta parte del popolo italiano, oltre che della claque dei talk-show di destra e di sinistra. Grillo è fuori, salvo vincere davvero, come a Roma, e allora per lui sono guai. Nell’esautoramento dei poteri nazionali (che sarebbe benedetto se si traducesse in un internazionalismo democratico, e per cominciare in un europeismo federale) chi va al governo annaspa e chi ne sta fuori maramaldeggia. Così, stando le cose, le carriere politiche personali sono al tempo stesso favorite, un po’ come al tempo dei capitani di ventura, e condannate a brillare e scomparire come meteore. Una volta giocata la propria carta d’azzardo, i candidati capipopolo possono solo ricadere nell’ombra e non risollevarsi più. Quando esistevano i partiti di massa non era così.

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