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  • Lunedì 3 ottobre 2016

Com’è fatto il contratto di un libro

Che percentuale guadagna un autore per ogni copia? I diritti della casa editrice quanto durano? E perché l'anticipo è così importante?

di Giacomo Papi – @giacomopapi

Il contratto di Il Circolo Pickwick di Charles Dickens, 1837
(Houghton Library, Harvard University)
Il contratto di Il Circolo Pickwick di Charles Dickens, 1837 (Houghton Library, Harvard University)

Ci sono editori che non danno anticipi, che riconoscono percentuali irrisorie o nulle sulle vendite, che propongono contratti per più libri in modo da legare l’autore a sé a vita, se va bene, o scaricarlo all’istante, se va male, esistono addirittura editori che si fanno pagare dagli autori, direttamente o indirettamente, imponendo per contratto un numero minimo, ma alto, di copie da acquistare così da coprire le spese e annullare il loro rischio. Stabilito che l’editoria è una selva oscura infestata da manigoldi e sfruttatori, in Italia esistono molti – per alcuni troppi – editori e alcuni sono seri: quando decidono di pubblicare un libro riconoscono a chi l’ha scritto anticipi accettabili – assumendosi, quindi, il famoso rischio di impresa – e percentuali congrue sulle vendite. Lo strumento che definisce nel dettaglio i loro rapporti è il contratto.

La prima cosa da sapere è che l’editore non compra il libro e l’autore non lo vende. Il contratto che li lega regola, cioè, soltanto, la cessione dei diritti di stampa, pubblicazione e vendita di un libro per un periodo di tempo, che nel contratto è sempre indicato. Nei contratti di questo tipo l’autore è definito «il Proprietario» e agisce, oltre che per se stesso, per «eredi e aventi causa a qualsiasi titolo». Il rapporto che lega autori ed editori assomiglia, cioè, a quello tra il proprietario di un appartamento – in questo caso, lo scrittore – e l’affittuario – cioè l’editore. Come i contratti di affitto possono essere mediati da un agente immobiliare, così quelli editoriali in molti casi sono gestiti e trattati dall’agente letterario (qui si spiega cosa fa nel dettaglio) che trattiene all’autore una percentuale del 10 per cento o, in alcuni casi, del 20. La differenza è che a volte – anzi, spesso, nel caso di scrittori che abbiano già pubblicato e venduto – l’appartamento non esiste ancora. La cessione e l’acquisizione dei diritti possono riguardare, cioè, un libro che deve ancora essere scritto o addirittura concepito, indicato nel contratto con un titolo provvisorio – quasi sempre diversissimo da quello finale – a cui segue, immancabilmente, l’espressione piuttosto pomposa: «d’ora innanzi denominato “l’opera”».

Dopo avere fumosamente stabilito la natura dell’oggetto – cioè, dell’«opera» –, il contratto passa a indicare la data di consegna prevista – anche questa indicativa perché spesso suscettibile di slittamenti –, i termini entro i quali l’editore dovrà pubblicarlo, la quantità minima di copie per ogni eventuale ristampa e, soprattutto, che il prezzo a cui sarà messo in vendita è una prerogativa esclusiva dell’editore. Sul prezzo l’autore può dire la sua, naturalmente, ma l’editore è libero di tenerne conto oppure no. È evidente che il peso dell’opinione dell’autore varia a seconda del suo potere nei confronti dell’editore che può essere reale – se l’autore è un giornalista potente e/o prepotente, il padrone della casa editrice oppure l’imperatore della galassia – ma molto più spesso è in relazione alle vendite dei suoi libri precedenti.

Le percentuali dei diritti primari e secondari
I diritti – o royalties – sono di due tipi: primari e secondari. I diritti primari derivano dalle copie vendute, cioè dipendono dallo sfruttamento economico diretto del libro; i diritti secondari definiscono, invece, tutte le altre cose che quel libro potrà diventare o a cui potrà dare origine, che sono tante: eventuali traduzioni in lingue estere, adattamenti cinematografici/radiofonici/teatrali, edizioni audio, edizioni book club, parti di antologie, estratti di riviste, giornali o su Internet, citazioni in altri libri. Sfortunatamente per gli autori, non è frequente accedere ai diritti secondari, e i guadagni sono esigui – salvo che non sia Spielberg o un regista comparabile a decidere di farne un film – o inesistenti, come ormai avviene per le citazioni o le anticipazioni sui giornali che in Italia, di norma, non vengono pagate. In ogni caso: un autore dotato di agente tenderà a trattenere per sé i diritti cinematografici, teatrali ed esteri che altrimenti dovrà dividere – 50/50 o 60/40 – con l’editore (il quale però avrà un motivo in più per cercare di vendere il libro alle fiere internazionali o a qualche produttore cinematografico, cosa che all’autore non può dispiacere). I diritti degli audiobook sono intorno al 9 per cento, quelli degli audiodownload possono arrivare al 20. Gli altri diritti – antologici, book club, digest, perfino per la riproduzione su fotocopie etc – di solito sono suddivisi con l’editore in percentuali che variano dal 50/50 al 70/30 anche perché, salvo casi davvero eccezionali, si tratta di briciole.

Per spiegare come è fatto un contratto degno di questo nome, quindi, conviene concentrarsi sui diritti primari, che ovviamente prevedono percentuali variabili a seconda della presenza di un agente, dell’importanza dell’autore, delle speranze di successo del libro e di quanti editori vogliono pubblicarlo. I diritti primari sono diversi a seconda che si tratti di una prima edizione o dell’edizione economica altrimenti detta tascabile (qui si spiega cos’è), ma anche in questo caso – come per i diritti secondari – non è affatto detto che questa possibilità per un autore si concretizzi. Le percentuali riconosciute dall’editore all’autore sono oggetto di contrattazione e dipendono dall’importanza dell’autore. Semplificando, si può dire che un autore esordiente senza altre ragioni per essere pubblicato oltre a quello che ha scritto – uno, cioè, che non è famoso – parte dal 7,5 per cento; un autore che abbia già pubblicato e venduto, ma non tanto da farne un autore di bestseller – diciamo dalle 10 alle 20 mila copie – parte dal 9-10 per cento; i pochissimi fortunati (e meritevoli) che abbiano superato le 100 mila copie con il libro precedente possono arrivare fino al 15-16 per cento. La percentuale del 7,5 per cento è anche quella che normalmente viene riconosciuta agli autori stranieri, perché sui costi di pubblicazione incidono quelli di traduzione che, di fatto, gli editori tendono a fare pagare agli autori. Le percentuali indicate – 7,5 per decine di migliaia di piccoli, 9-10 per qualche migliaio di medi, 15 per qualche decina di grandi – salgono al crescere delle copie vendute. Nel caso di un autore medio, per esempio, il 9-10 per cento diventa 11 dopo le 10 mila copie, il 12 dopo le 20 mila e il 14 dopo le 30 mila.

Uno schema simile governa le edizioni economiche, che però prevedono percentuali molto più basse e crescono meno velocemente in rapporto alle copie. La notorietà dell’autore conta meno perché un libro viene pubblicato in economica solo se ha avuto successo, e questo rende gli autori più omogenei. Le percentuali dei tascabili in genere sono del 5 per cento fino alle 25 mila copie, del 6 fino a 50 mila e del 7 per tutte le copie successive. Ma anche in questo caso la contrattazione conta – le percentuali possono essere lievemente più alte, le copie necessarie a fare scattare l’aliquota successiva lievemente più basse – ma lo schema è, più o meno, quello indicato.

Tradotto – e per visualizzare a chi vanno i soldi spesi per un libro – un medio autore di successo che ha pubblicato un libro venduto a 18 euro, ne guadagna 1,8 per ogni copia venduta fino alle 10 mila, 1,98 fino alle 20 mila, 2,16 fino alle 30 mila e 2,52 oltre. Significa che guadagnerà 18 mila euro se vende 10 mila copie, 37.800 se ne vende 20 mila, 59.400 se ne vende 30 mila e 235.800 euro se arriva, poniamo, a 100 mila. Tutto lordo, ovviamente. Oltre le 40-50 mila, però, non sarà più un autore medio, e quindi per il libro successivo, come abbiamo visto, contratterà percentuali più alte. Giusto per avere un’idea: un libro che venda 1 milione di copie – sono rarissimi, gli autori che ci sono riusciti: in Italia si contano sulle dita di una mano – fa guadagnare più o meno 2,5 milioni di euro a chi lo ha scritto.

I tascabili per un autore sono molto meno redditizi, anche se costituiscono l’unico modo per continuare a fare vivere il libro: da un prezzo di 12 euro lo stesso autore ricaverà 60 centesimi per le prime 25 mila, 72 centesimi fino a 50 mila e 84 oltre: 15 mila euro per 25 mila copie, 33 mila euro per 50 mila e 75 mila euro per 100 mila copie. Purtroppo sono numeri che non raggiunge quasi nessuno. I libri sono un tipo di merce che dipendono più di altre dalla quantità di pezzi venduti. Vale per gli autori e a maggior ragione per gli editori, che una volta ripagati i costi iniziali possono ottenere guadagni altissimi. La maggior parte delle merci funziona in modo diverso: su ogni caffè il barista guadagna una cifra fissa che non aumenta all’aumentare dei clienti. Il problema è che sotto un certo numero di copie – cioè nella stragrandissima maggioranza dei casi – per gli autori i guadagni sono ridicoli. Per questa ragione esistono gli anticipi.

Le percentuali dei diritti primari e secondari
Ci sono editori che, per prassi, tendono a dare anticipi molto bassi, magari anche alzando un po’ le percentuali. In generale però gli editori maggiori calcolano l’anticipo in base a quante copie sperano di vendere e sulla base delle copie vendute dal precedente libro dello stesso autore. Nel caso in cui un libro – o un autore – sia conteso da più di un editore, l’ammontare dell’anticipo è uno degli elementi che decreterà il vincitore dell’asta, cioè l’editore con cui l’autore deciderà di pubblicare. Fino a una quindicina di anni fa per determinare l’entità dell’anticipo si calcolava sommariamente 1 euro a copia. Oggi in genere il rapporto è superiore, anche per gli esordienti, mentre gli autori affermati sono intorno ai 2 euro. La cosa fondamentale è che gli anticipi sono, appunto anticipi, anticipi sui diritti. Significa che fino a che il libro non venderà un numero di copie sufficiente a coprire, in diritti, l’anticipo già pagato, l’autore non prenderà altri soldi. Per fare il solito esempio: un autore che abbia ricevuto un anticipo di 20 mila euro con royalities del 10 per cento su un libro da 18 euro, incomincerà a maturare diritti, quindi a incassare soldi ulteriori, solo dopo avere venduto 11.111 copie.

L’anticipo è importante per varie ragioni. La prima è che nella maggior parte dei casi costituisce l’unica forma di guadagno dell’autore perché non viene restituito se il libro non arriva alle copie coperte dall’anticipo. Quando succede – e succede spesso, quasi sempre – l’editore cercherà di recuperare qualcosa abbassando l’anticipo del libro successivo, ma non è detto che un libro successivo ci sia, né che l’editore abbia voglia di farlo. La seconda ragione è che l’anticipo misura la fiducia dell’editore in un libro: più un anticipo è alto, più l’editore si impegnerà per recuperarlo attraverso la comunicazione, la pubblicità e la distribuzione. L’anticipo, insomma, è la garanzia che il libro non sarà abbandonato a se stesso una volta pubblicato. La terza ragione è che l’anticipo rappresenta lo strumento attraverso cui l’editore può tenersi stretto un autore, inserendo nel contratto opzioni anche per i libri successivi in modo da riservarsi il diritto di continuare a pubblicarlo, facendo un investimento iniziale più alto.

Nel caso di autori al primo libro – soprattutto se è di narrativa e se lo scrittore non è famoso per altre ragioni – l’anticipo viene dato quando il libro è già stato scritto e valutato dall’editore, i cui editor normalmente seguiranno e consiglieranno l’autore fino alla stesura finale. Nel caso di autori più affermati l’anticipo è pagato sulla fiducia, sulla base di un’idea di massima. Dal momento che non sarà restituito neppure nel caso in cui il libro non sarà scritto, gli editori solitamente si cautelano stabilendo il pagamento in varie tranche: un terzo (o metà) alla firma del contratto, un terzo alla consegna del testo definitivo e l’ultimo terzo (o metà, se si salta la consegna) alla pubblicazione.

Durata della cessioni dei diritti
I contratti dei libri sono a scadenza, come gli affitti. Lo standard è dieci anni, anche se possono esistere eccezioni. Scaduto il termine i diritti ritornano al «Proprietario», cioè all’autore che può decidere di ripubblicare il suo libro con un altro editore, se lo trova, o di ricederlo allo stesso, se è ancora disponibile. Quando succede ricomincia tutto da capo. Nonostante l’autore sia per legge proprietario della sua opera, la sua non è una proprietà eterna. Se per disgrazia l’autore muore, i diritti vanno agli eredi, che possono anche decidere di cambiare editore, come è successo per esempio con i diritti di Italo Calvino, che gli eredi hanno tolto a Einaudi per cederli a Mondadori, oppure di impedire ogni altra pubblicazione. Ma anche la proprietà degli eredi è a scadenza. Tutto, prima o poi, ritorna alla cenere, anche i frutti dell’ingegno umano. Dopo settant’anni dalla morte dell’autore, chiunque è libero di pubblicare gratuitamente i suoi libri. Nel 2016 scadono i diritti degli scrittori Lucien Daudet, figlio del più noto Alphonse e amante del più noto Marcel Proust, e soprattutto di H. G. Wells, come puntualmente ricordato dal Post. Tra quelli i cui diritti si libereranno nel 2017 – caso mai interessi a qualche editore – si segnalano Manuel Machado, Hans Fallada, M.P. Shiel, Victor Serge, Aleister Crowley, Arthur Machen e Sergej Tolstoj, figlio del più noto Leon, sia pace all’anima loro.