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  • Sabato 1 ottobre 2016

L’Argentina sta tornando un paese normale?

Dopo 12 anni di governi populisti che avevano portato il paese sull'orlo della bancarotta, il nuovo presidente Mauricio Macri ha iniziato una serie di difficili riforme

(AP Photo/Natacha Pisarenko)
(AP Photo/Natacha Pisarenko)

Nove mesi fa Mauricio Macri è diventato il 57esimo presidente dell’Argentina, il primo conservatore dopo 12 anni di governo dei partiti della sinistra populista. Il paese oggi si trova pericolosamente vicino alla seconda bancarotta dall’inizio del secolo e il Financial Times ha scritto che Macri deve affrontare un compito «apparentemente banale, ma in realtà rivoluzionario»: far tornare l’Argentina «un paese normale». Secondo molti osservatori, la strada intrapresa dal presidente nei suoi primi nove mesi di governo è quella giusta, ma gli ostacoli che ha davanti sono molti e le riforme che dovrà fare saranno difficili da affrontare per gli argentini.

Tra le misure più apprezzate – e meno dolorose – prese dal nuovo presidente c’è la riforma dell’istituto di statistica nazionale, che sotto il suo predecessore, la presidente Cristina Kirchner, si era trasformato in un ufficio di propaganda del governo, al punto che i principali media internazionali avevano iniziato a rifiutarsi di utilizzare i dati che produceva e il Fondo Monetario Internazionale aveva minacciato di espellere l’Argentina dai paesi membri. Macri ha anche risolto una disputa internazionale su alcuni vecchi debiti contratti dal governo prima del suo arrivo, permettendo così al paese di ricorrere nuovamente ai mercati internazionali per finanziarsi. Macri ha sfruttato questa possibilità collocando sul mercato obbligazioni per circa 15 miliardi di euro, una cifra record per un paese emergente. Macri ha anche cambiato alcune posizioni del suo paese sulla scena internazionale, criticando il governo venezuelano per il suo atteggiamento autoritario (il presidente venezuelano Nicolas Maduro era uno dei principali alleati di Kirchner).

Ma la decisione più importante fino a questo momento è stata probabilmente quella di rinunciare al cambio fisso del peso con il dollaro e di lasciare la moneta argentina libera di fluttuare sui mercati internazionali. Nel 2011 il governo Kirchner aveva deciso di mantenere un livello di cambio fisso tra peso e dollaro, con un duplice scopo: da un lato serviva a presentare l’Argentina come un paese forte e con una moneta apparentemente stabile, dall’altro permetteva al governo di pagare i contratti in valuta straniera spendendo “meno” rispetto a quanto avrebbero speso se il peso fosse stato lasciato libero di fluttuare (gli analisti stimavano che il peso fosse sopravvalutato del 30 per cento rispetto al suo cambio naturale).

Per mantenere questo livello artificiale, però, il governo impose una serie di limitazioni sui cambi: di fatto agli argentini non era consentito scambiare liberamente pesos con dollari (all’estero, ad esempio, la loro possibilità di prelevare con il bancomat era limitata). In questo modo il governo era riuscito a mantenere il livello di cambio artificiale, ma aveva causato parecchi problemi a tutti coloro che esportavano o importavano merci e a quelli che, per lavoro o svago, dovevano viaggiare all’estero. Grazie al regime di cambi fissi, il governo aveva anche potuto stampare denaro per finanziare la spesa pubblica, senza il rischio che la valuta nazionale si deprezzasse rispetto a quelle estere. Il risultato era stato un tasso di inflazione stimato al 40 per cento. Lo scorso dicembre, Macri ha permesso al peso di fluttuare liberamente e, come previsto, la moneta argentina ha perso rapidamente il 30 per cento del suo valore, tornando a un livello naturale. Tra i benefici della svalutazione c’è stato il fatto che gli esportatori argentini sono nuovamente competitivi sui mercati esteri.

Macri si era insediato poche settimane prima, dopo aver vinto le elezioni di novembre contro Daniel Scioli, il candidato sostenuto da Kirchner, la quale non poteva più candidarsi dopo aver svolto due mandati. Macri, conservatore ed ex sindaco di Buenos Aires, è il figlio di uno degli uomini più ricchi del paese e nel 1991 fu rapito per 12 giorni da un gruppo di poliziotti corrotti che chiesero un riscatto da milioni di dollari. Non è un leader ispirato e carismatico come molti dei presidenti che si sono succeduti alla guida del paese e i giornalisti argentini spesso lo descrivono come un politico pragmatico e moderato. Nonostante la sua provenienza dalla destra, Macri non ha mai criticato apertamente Juan Perón, il presidente autoritario e populista che guidò l’Argentina tra gli anni Quaranta e Cinquanta (“peronisti” è il termine con cui in Argentina di solito si indicano i governi populisti di sinistra, come quelli guidata da Cristina Kirchner e in precedenza da suo marito Nestor). Per quanto sia tuttora una delle figure più importanti della storia politica nazionale, Perón è un personaggio divisivo, spesso violentemente contestato dalla destra conservatrice.

Il compito di Macri, in ogni caso, non è facile. Molte delle misure che sta cercando di adottare, come il taglio dei sussidi all’acquisto di carburante, che valgono più del 10 per cento della spesa pubblica, sono molto impopolari. Contro i tagli, i sindacati hanno manifestato portando in piazza decine di migliaia di persone nella capitale Buenos Aires. Il suo lavoro è reso più difficile da alcuni inciampi imbarazzanti successi negli ultimi mesi. A luglio, ad esempio, quando in Argentina è pieno inverno, la moglie di Macri è stata fotografata in casa con indosso una maglia senza maniche e senza calzini, mentre quasi nello stesso momento suo marito invitava gli argentini a risparmiare sul riscaldamento.

Macri ha anche un atteggiamento piuttosto controverso nei confronti della sanguinosa dittatura di Jorge Rafael Videla terminata negli anni Ottanta. Nel corso di un’intervista a BuzzFeed ha detto di non sapere se le persone uccise durante il regime furono 9 mila oppure 30 mila e che non ha intenzione di entrare nel merito del dibattito. In realtà, come ha notato il Guardian, in Argentina non esiste un vero e proprio dibattito su questo tema: la cifra di 30 mila morti è quasi universalmente accettata, mentre quella di 9 mila è utilizzata soltanto da gruppi di nostalgici della dittatura. Macri ha utilizzato anche un altro tema dell’estrema destra quando si è riferito alla repressione dei militari con il termine di “guerra sporca”, utilizzato in genere per sostenere che le uccisioni dei “desaparecidos” furono una risposta alla guerriglia di estrema sinistra.

Inoltre, Macri deve liberarsi dell’immagine di uomo della destra “neo-liberista”. Gli argentini, infatti, si fidano poco dei liberali e dei politici con un atteggiamento percepito come eccessivamente “pro-business”, visto che questo tipo di politiche sono associate al periodo di privatizzazioni e tagli di spesa che culminò con il default del 2001. Come ha spiegato al Financial Times il dirigente di una banca d’affari: «Nessun governo non peronista è mai riuscito ad arrivare alla sua scadenza naturale. Cosa dovrebbe esserci di diverso questa volta?».

Secondo il Financial Times, però, ci sono tre ragioni per cui le cose potrebbero davvero andare in maniera differente. Macri ha una buona squadra di governo, scrive il giornale, composta da professionisti internazionali che hanno rinunciato ad alti stipendi pur di servire nel suo governo. La seconda ragione è che negli ultimi mesi sono emersi una serie di scandali che hanno colpito il governo precedente. A luglio, ad esempio, è stata aperta un’indagine sulla figlia della presidente Kirchner, che in una cassetta di sicurezza di una banca teneva 4,6 milioni di dollari in contanti. La terza ragione, scrive il quotidiano, è che le riforme potrebbero effettivamente funzionare, soprattutto se venissero portate avanti in maniera cauta e tenendo conto del loro impatto sociale.