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  • Venerdì 30 settembre 2016

Non è l’economia, stupido

Diversi studi americani suggeriscono che non sono i timori economici ad agitare i sentimenti contro gli immigrati ma semplicemente il razzismo

di Cass R. Sunstein – The Washington Post

(Justin Sullivan/Getty Images)
(Justin Sullivan/Getty Images)

Perché così tanti americani si oppongono all’immigrazione, e come mai è diventata un tema centrale nella campagna elettorale per le presidenziali? Un numero crescente di studi suggerisce che la risposta non siano l’ansia per l’economia, le preoccupazioni per la spesa pubblica e nemmeno un generale nazionalismo: c’è un motivo più specifico e più inquietante. Il tema intorno a cosa alimenti i sentimenti anti-immigrati è messo in grande evidenza da un ampio rapporto pubblicato la settimana scorsa dalla National Academies of Sciences, Engineering and Medicine, che sottolinea come l’immigrazione abbia effetti positivi sulla crescita economica e non danneggi l’occupazione né gli stipendi dei lavoratori nati negli Stati Uniti. Come ha scritto la giornalista di Bloomberg Paula Dwyer, tuttavia, il quadro non è del tutto roseo: sembra che l’immigrazione riduca le ore di lavoro svolte dagli adolescenti nati negli Stati Uniti e gli stipendi dei lavoratori nativi che non hanno un diploma. Il messaggio generale del rapporto della National Academies of Sciences, Engineering and Medicine, però, è che l’immigrazione non solo favorisca ma sia addirittura «essenziale per la crescita economica degli Stati Uniti». Quali sono, quindi, i motivi di un’opposizione pubblica così diffusa? Ci sono quattro possibilità:

1) Giusto o sbagliato che sia, le persone che si oppongono all’immigrazione sono preoccupate per i rischi della concorrenza nel mercato del lavoro. Vogliono che le persone nate negli Stati Uniti mantengano il posto di lavoro e non vogliono tagli agli stipendi.

2) Giusto o sbagliato che sia, queste persone sono preoccupate per il carico fiscale imposto dagli immigrati di prima generazione.

3) Chi si oppone all’immigrazione è ostile a qualsiasi gruppo – nazionale, etnico, razziale o religioso – diverso dal loro.

4) Le persone che si oppongono all’immigrazione sono ostili ad alcuni gruppi, latino-americani e musulmani in particolare.

Le prove più convincenti che abbiamo a disposizione suggeriscono che l’ultima ipotesi sia quella che si avvicina di più alla verità. Alcune delle prove hanno il vantaggio di essere state raccolte molto tempo prima che Donald Trump annunciasse la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, e spiegano come mai la sua proposta di costruire un muro al confine tra Messico e Stati Uniti si sia rivelata politicamente un colpo da maestro.

Nel 2008 Nicholas Valentino, Ted Brader e Ashley Jardina della University of Michigan fecero a un campione di persone una serie di domande su diversi gruppi sociali, chiedendo loro di valutare la loro predisposizione verso neri, asiatici, ispanici e bianchi. Fecero poi domande sull’immigrazione, come per esempio «Quante probabilità ci sono che l’immigrazione abbia ripercussioni negative per i cittadini americani?». Per finire, fecero alcune domande ai partecipanti sulla loro situazione economica (come il reddito delle loro famiglie) e sul loro livello di preoccupazione per l’economia. La scoperta più rilevante della ricerca fu che l’atteggiamento dei bianchi nei confronti di altri gruppi ha «un effetto statisticamente enorme sulle opinioni negative riguardo all’impatto culturale ed economico dell’immigrazione». Solitamente i sociologi non usano il termine «enorme». In questo caso, quindi, si parla di un effetto davvero straordinario: quando i bianchi mostrano un atteggiamento negativo nei confronti di neri, asiatici e ispanici, la loro opinione negativa verso l’immigrazione raggiunge livelli altissimi.

Il fatto che i nativisti – i sostenitori della difesa di istanze e privilegi delle popolazioni indigene – tendano a non vedere di buon occhio i membri di gruppi etnici diversi dal loro potrebbe non sorprendere. Ma c’è un colpo di scena: una volta disaggregati, i dati mostrarono che sostanzialmente tutto lo spostamento era generato dalle opinioni negative nei confronti degli ispanici. L’atteggiamento verso asiatici e neri non ha mostrava nessuna correlazione con le opinioni sull’immigrazione.

Se da una parte l’atteggiamento negativo verso gli ispanici contribuiva a spiegare le opinioni negative sull’immigrazione, la preoccupazione legata all’economia aveva avuto un effetto molto minore. Ovviamente le persone seriamente preoccupate della loro situazione economica avevano maggiori probabilità di essere concordi sul fatto che l’immigrazione potesse danneggiare le prospettive lavorative delle persone nate negli Stati Uniti, allo stesso tempo, però, i lavoratori a basso reddito e i disoccupati non mostrarono una visione sensibilmente più negativa riguardo all’immigrazione rispetto ad altri gruppi. «Gli interessi materiali contribuiscono solo in piccola parte» a spiegare la visione negativa nei confronti dei nuovi arrivati, conclusero gli autori dello studio.

Questi risultati sono ampiamente allineati a molti altri studi, anche recenti, secondo i quali i pregiudizi di carattere razziale, religioso ed etnico sono indicatori di un certo atteggiamento verso l’immigrazione, e che gli atteggiamenti negativi verso i latino-americani sono particolarmente rilevanti (c’è poi tutta un’altra questione sul perché questi atteggiamenti esistano, e sulla possibilità che alcune persone associno l’immigrazione degli ispanici con il problema dell’immigrazione illegale).

Evidenziando l’immigrazione dal Messico e sostenendo la necessità di costruire un muro al confine, quindi, Trump faceva riferimento a un sentimento diffuso. Non solo: lo stava legittimando, mobilitando e addirittura amplificando. Gli autori dello studio del 2008 avevano previsto anche questo fenomeno: «Le notizie negative sugli immigrati latino-americani, al contrario di quelle sugli immigrati di altri gruppi, creano molta preoccupazione nei bianchi, e questo ha poi un ruolo importante nel generare un’opposizione verso l’immigrazione».

Nel 2016, ovviamente, anche l’immigrazione dei musulmani è diventata particolarmente rilevante agli occhi dell’opinione pubblica americana (e nei discorsi di Trump). Non è però la prima volta che succede: Valentino e i suoi co-autori scoprirono che dopo gli attacchi dell’11 settembre ci fu un aumento della copertura mediatica sugli immigrati musulmani, in un periodo in cui l’atteggiamento negativo nei confronti dei musulmani era correlato a quello verso l’immigrazione. Uno studio pubblicato la settimana scorsa ha scoperto che in Europa i pregiudizi contro i musulmani influenzano molto l’atteggiamento verso i richiedenti asilo.

Una puntualizzazione importante: ho esposto scoperte empiriche, che non vogliono dire che i confini americani dovrebbero essere aperti, o che le persone che vogliono rafforzare quei confini sbaglino a enfatizzare i rischi (tra gli altri, quelli legati alle persone che vogliono colpire gli Stati Uniti): queste persone potrebbero avere ragione. L’immigrazione illegale pone delle domande, e ci sono persone favorevoli ad accogliere gli immigrati purché arrivino negli Stati Uniti legalmente. Alcune verità però sono spiacevoli: i sentimenti contro l’immigrazione sono ormai diffusi, e se si vuole spiegarli bisogna partire dall’ostilità nei confronti di latino-americani e musulmani.

© 2016 – The Washington Post