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  • Mercoledì 28 settembre 2016

Perché Shimon Peres è stato importante

Ebbe un ruolo fondamentale ai negoziati tra Israele e Palestina per gli accordi di Oslo, ma ha avuto un ruolo rilevante anche prima di morire

di Luca Misculin – @lmisculin

(AP Photo/Oded Balilty)
(AP Photo/Oded Balilty)

Nelle prime ore di martedì 28 settembre è morto Shimon Peres, uno dei più importanti leader politici nella storia dello stato di Israele. Peres, che aveva 93 anni, ha ricoperto praticamente tutte le più alte cariche di governo del paese: è stato due volte primo ministro, è stato a lungo ministro degli Esteri e nell’ultima parte della sua carriera politica è stato il popolare presidente della Repubblica.

Peres non è noto solamente per aver accumulato cariche su cariche (nonostante da capo del partito Laburista non abbia mai vinto un’elezione): in queste ore viene ricordato con ammirazione da moltissimi diplomatici e capi di stato per il suo ruolo negli accordi di pace di Oslo fra israeliani e palestinesi, che nel 1994 gli fecero vincere il Nobel per la pace. I negoziati per gli accordi di Oslo non sono l’unico aspetto rilevante della carriera di Peres: in Israele, il suo nome è legato anche al centro sulla ricerca nucleare di Dimona, considerato il deposito dell’arsenale nucleare di Israele, e a un atteggiamento apertamente ottimista nei confronti della pace coi palestinesi, cosa rara per un politico israeliano di alto livello.

Oslo
Peres frequentò per anni la scuola di Ben Shemen, fondata dal medico tedesco Siegfried Lehman e citata ancora oggi come esempio di una piccola comunità ebraica che viveva in pace e collaborazione con i suoi vicini arabi. Nonostante la sua educazione in una scuola molto bendisposta nei confronti dei palestinesi, all’inizio della sua carriera Peres fu molto diffidente dei vicini arabi di Israele. Prima del 1977 si diceva contrario a ogni compromesso con i palestinesi: cambiò idea dopo la visita dell’allora presidente egiziano Anwar Sadat a Gerusalemme, che portò alla sottoscrizione del primo trattato di pace nella storia di Israele con uno stato arabo (l’Egitto, nel 1979). Da allora Peres fu uno dei più attivi sostenitori per la pace coi palestinesi, tanto che Haaretz l’ha recentemente paragonato a Sisifo (il personaggio della mitologia greca costretto a trasportare un masso in cima a un monte per l’eternità, dato che il masso continuava a cadere una volta arrivato in cima).

All’inizio degli anni Novanta la situazione fra Israele e Palestina era ancora più complicata di quella attuale. Israele occupava militarmente la Cisgiordania e la Striscia di Gaza dalla fine della Guerra dei Sei Giorni, cioè dal 1967. Fra il 1987 e il 1991, dopo più di vent’anni di occupazione, i palestinesi furono impegnati in una serie di rivolte popolari chiamata intifada (“rivolta”, in arabo). L’occupazione era diventata molto impopolare agli occhi dell’opinione pubblica israeliana, che premeva per un disimpegno militare e per la pace.

In quel momento Peres era il ministro degli Esteri nel governo laburista di Yitzhak Rabin, il suo rivale storico di partito, che l’aveva battuto alle primarie laburiste del 1992. Il merito di Peres fu scegliere come interlocutori del popolo palestinese l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), un’associazione fondata all’interno della Lega Araba che aveva come obiettivo l’emancipazione del popolo palestinese con la lotta armata. Per molti israeliani era impensabile: l’OLP era l’associazione-ombrello di cui facevano parte molti dei principali gruppi politico-terroristi palestinesi, fra cui Fatah – che più avanti ha abbandonato la lotta armata, e ora è il gruppo a cui fa riferimento il presidente palestinese Mahmoud Abbas – e una serie di associazioni a ispirazione marxista. Parliamo di gruppi che negli anni Settanta compirono regolarmente attacchi contro civili israeliani, il più grave dei quali fu il cosiddetto “massacro della strada costiera” compiuto da miliziani di Fatah (in cui morirono 38 civili israeliani). Ma in un certo senso l’OLP era anche la più “accettabile” fra le importanti associazioni palestinesi: molti dei suoi membri erano laici o marxisti, e si opponevano a gruppi di ispirazione islamica.

Per mesi Peres incontrò in segreto i rappresentanti dell’OLP con l’aiuto di intellettuali e diplomatici norvegesi, nella convinzione che potessero essere gli unici interlocutori per un’eventuale pace. Sappiamo anche che inizialmente Rabin non era convinto dell’affidabilità dell’OLP, così come i leader israeliani materialmente responsabili dell’occupazione, che secondo lo storico Adam Raz «consideravano Arafat [il leader dell’OLP] come uno dei fattori che avrebbero fatto proseguire il conflitto, e non la soluzione». Il 13 settembre 1993, durante la cerimonia per il festeggiamento dell’accordo – che fu lui a firmare, e non Rabin – disse rivolto ai palestinesi: «Siamo sinceri. Vogliamo fare sul serio. Non vogliamo interferire con le vostre vite o determinare la vostra sorte. Trasformiamo i nostri proiettili in schede elettorali, le pistole in badili».

Per il suo impegno nei negoziati Peres ricevette il Nobel per la pace assieme a Rabin e Arafat. L’accordo di Oslo fu il primo a riconoscere la sovranità territoriale ai palestinesi su un certo territorio. Anche se non è mai stato superato – nonostante fosse considerato un piano di transizione – ancora oggi è considerato fra gli accordi internazionali più importanti negoziati nel Secondo dopoguerra.

Dimona
Peres ebbe anche un ruolo importante nella creazione della “polizza sulla vita” di Israele: la centrale nucleare di Dimona, nel deserto del Negev, attiva ancora oggi e considerata da tutti gli analisti il deposito delle armi nucleari di Israele (cosa che il governo israeliano non ha mai confermato). Negli anni Cinquanta, nel neonato stato di Israele, Peres fu l’influente direttore generale del ministero della Difesa. Avner Cohen, uno storico israeliano esperto della storia nucleare di Israele, nel suo libro The Worst-Kept Secret: Israel’s Bargain With the Bomb racconta che Peres fu responsabile di un gruppo del ministero della Difesa che faceva capo direttamente al primo ministro David Ben Gurion, e che aveva il compito di sovrintendere alla costruzione del reattore (quando entrò nel parlamento israeliano dopo aver lasciato il ministero della Difesa, nel 1959, Peres aveva 36 anni).

Secondo la ricostruzione di Richard Silverstein, giornalista e commentatore israeliano, Peres riuscì nel suo intento con una specie di trucco: quando arrivò a Parigi per concludere l’accordo per l’avvio dei lavori della centrale, poi costruita con l’aiuto e le conoscenze tecniche della Francia, scoprì che il governo francese di allora era appena caduto (non è chiaro quale governo fosse: fra il 1956 e il 1958 in Francia ce ne furono quattro). Peres riuscì a convincere l’allora primo ministro a retrodatare l’accordo, e quindi a impedire che la costruzione della centrale nucleare saltasse nel caso fosse subentrato un governo francese meno favorevole a Israele.

Gli ultimi anni
Durante il suo mandato da presidente Peres è stato incredibilmente popolare – a un certo punto il suo tasso di popolarità era dell’85 per cento – e nonostante il suo incarico fosse largamente cerimoniale in molti nell’opposizione lo consideravano il contrappeso al governo di destra di Benjamin Netanyahu (anche a causa della crisi tuttora irrisolta dei partiti di sinistra israeliani). Nei suoi ultimi anni portò avanti trattative segrete e solitarie con americani, palestinesi e giordani per cercare di fare passi in avanti per la pace, all’insaputa del governo («io lavoro per lo Stato; Bibi [il soprannome di Netanyahu] non è ancora lo Stato», ha detto una volta).

Fino all’ultimo ha tenuto una posizione molto aperta nei confronti dei palestinesi e della ripresa dei negoziati di pace: in una lunga intervista data a TIME nel 2016 ha definito il presidente palestinese Mahmud Abbas – che governa senza mandato dal 2010, è stato indebolito da moltissime accuse di corruzione e ambiguità con le famiglie dei terroristi palestinesi – «un uomo straordinario che vuole davvero trattare per la pace».