Il “Fertility Day” è diventato una farsa

Dopo la campagna ritirata perché sessista, il ministero ne ha diffusa una razzista e ha ritirato anche quella: Lorenzin dice che non ne sapeva niente e ha licenziato il capo della comunicazione

Giovedì 22 settembre è la giornata del cosiddetto “Fertility Day”, l’iniziativa voluta dal ministero della Salute che dovrebbe avere lo scopo di sensibilizzare sul tema della fertilità e sul rischio della denatalità. Le cose però non sono andate benissimo, ancora una volta: dopo una campagna promozionale maldestra, che è stata accusata di sessismo e poi ritirata, ne è stata promossa una nuova, che è stata accusata di razzismo e quindi ritirata. L’incarico del responsabile della direzione della comunicazione istituzionale del ministero della Salute è stato revocato, ha detto la ministra Beatrice Lorenzin, ed è stata aperta una procedura disciplinare interna.

L’opuscolo in questione si intitolava “Stili di vita corretti per la prevenzione della sterilità e dell’infertilità” e presentava in copertina due gruppi di persone, ognuno dei quali associato a uno stile di vita. Nel primo gruppo in alto, quello delle “buone abitudini da promuovere”, c’erano solo persone bianche, sorridenti e con i capelli in ordine (una classica ed economica immagine di stock usata soprattutto per pubblicizzare dentifrici e dentisti); nel secondo, invece, c’erano dei ragazzi neri, che fumano, con i capelli lunghi, il tutto accompagnato dalla scritta “i cattivi “compagni” da abbandonare”. Anche questa seconda immagine è di repertorio.

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La sera del 21 settembre Beatrice Lorenzin, la ministra della Salute, ha comunicato di aver ritirato l’opuscolo e di «aver dato disposizioni affinché l’immagine venga sostituita». Lorenzin ha anche scritto che bisognerà accertare perché «l’immagine visionata e vidimata dal Gabinetto non corrisponda esattamente a quella apparsa sul sito». Lorenzin ha poi scritto «di aver già attivato il procedimento disciplinare e quello per la revoca dell’incarico dirigenziale nei confronti del responsabile della direzione generale della comunicazione istituzionale del suo Dicastero che ha curato la redazione e la diffusione del materiale informativo». In questo stesso comunicato peraltro Lorenzin scrive, sbagliando, che la campagna era volta alla «prevenzione della fertilità» (dopo qualche ora la frase è stata corretta).

La prima campagna per il Fertility Day era stata molto criticata perché accusata di fare eccessiva pressione sulle donne affinché facessero figli il prima possibile. Uno dei manifesti pubblicitari dell’iniziativa mostrava per esempio una ragazza che tiene in mano una clessidra, mentre accanto a lei c’è scritto “La bellezza non ha età. La fertilità sì”, un altro diceva “Datti una mossa, non aspettare la cicogna”. Sul sito dell’evento era poi stato diffuso un giochino in cui si poteva scegliere se interpretare uno spermatozoo o un ovulo e cercare rispettivamente di evitare dei piccoli ostacoli – rappresentati da oggetti come boccali di birre e pillole – e “catturare” tutti gli spermatozoi.

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Alcune e alcuni avevano paragonando la campagna del “Fertility Day” a quella di diversi regimi autoritari del Novecento, che invitavano a fare figli per servire meglio lo stato. Altri avevano fatto notare che la campagna sembrava descrivere la maternità come un dovere e non come una scelta consapevole: se per tante donne fare figli è una grande realizzazione, per altre no. Il problema principale riguardava poi il fatto che la più importante politica a favore della natalità avrebbe dovuto essere un’altra: aumentare il numero degli asili nido pubblici, favorire l’occupazione femminile, rimuovere insomma tutti quegli ostacoli che impediscono alle donne di autodeterminarsi, piuttosto che invitarle a riprodursi il prima possibile. Non era stato criticato tanto il fatto di voler informare le donne e gli uomini che la fecondità avesse un suo tempo e che l’infertilità si potesse prevenire, ma che la denatalità venisse ricondotta a una semplice mancanza di informazioni.

Il problema, dunque, non era solo quello di una comunicazione sbagliata. Il “Fertility Day” è stato istituito a partire da un documento del ministero della Salute intitolato “Piano nazionale per la fertilità”, lungo 137 pagine e pubblicato nel maggio 2015. Nel documento ci sono passaggi discutibili: in apertura si dice per esempio che «l’attuale denatalità mette a rischio il welfare», mentre diversi studi internazionali sulle cause della bassa natalità hanno dimostrato che casomai è il contrario e che cioè è la mancanza di welfare a mettere a rischio la natalità; si afferma che della tendenza a rinviare la maternità la colpa è in qualche modo delle donne che preferiscono l’affermazione personale («si assiste, infatti, a una pericolosa tendenza a rinviare questo momento, in attesa proprio di una realizzazione/affermazione personale che si pensa possa essere ostacolata dal lavoro di cura dei figli»).

Ancora: «Nelle donne, in particolare, sono andati in crisi i modelli di identificazione tradizionali ed il maggiore impegno nel campo lavorativo e nel raggiungimento di una autonomia ed autosufficienza ha portato ad un aumento dei conflitti tra queste tendenze e quelle rivolte alla maternità». Nel documento si suggerisce che la responsabilità del basso tasso di natalità del nostro paese è da attribuirsi al miglioramento dei livelli di istruzione delle donne: «L’analisi non può prescindere dal mettere in relazione la tematica più generale dell’istruzione con il ritardo nei tempi della maternità/paternità. La crescita del livello di istruzione per le donne ha avuto come effetto sia il ritardo nella formazione di nuovi nuclei familiari, sia un vero e proprio minore investimento psicologico nel rapporto di coppia, per il raggiungimento dell’indipendenza economica e sociale». Si fa infine riferimento alle donne come persone passive e inconsapevoli, condotte a fare delle scelte dalla società come fossero un gregge: «Cosa fare, dunque, di fronte ad una società che ha scortato le donne fuori di casa, aprendo loro le porte nel mondo del lavoro sospingendole, però, verso ruoli maschili, che hanno comportato anche un allontanamento dal desiderio stesso di maternità?».

In Italia il tasso di fecondità – cioè a grandi linee il numero medio di figli che partorisce ogni donna – è piuttosto basso, come in diversi altri paesi occidentali (per esempio Spagna e Germania): secondo l’ISTAT nel 2014 è stato di 1,37, un tasso identico a quello registrato dieci anni fa. L’Italia è uno dei paesi più vecchi d’Europa, e tra i più vecchi del mondo: 1,37 figli per donna.