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  • Giovedì 22 settembre 2016

È in corso uno schiscetta-gate

A Torino e Milano ci sono proteste di genitori e cause in tribunale sui pranzi degli studenti, tra il cibo delle mense e quello portato da casa

(Sean Gallup/Getty Images)
(Sean Gallup/Getty Images)

Sulla prima pagina del Corriere della Sera di ieri, mercoledì 21 settembre, c’era un articolo intitolato “A scuola debutta la «stanza del panino»”. Aveva a che fare con le mense delle scuole di Milano, con i pranzi portati da casa per protesta da alcuni studenti e con una situazione simile che a Torino è finita in tribunale. La discussione è stata ripresa anche da alcune testate internazionali.

Dall’inizio: Torino
Nel 2013 un gruppo di famiglie di Torino, insoddisfatte per la qualità del cibo e il prezzo della mensa della scuola primaria dei loro figli, aveva avviato una causa legale contro il Comune e il ministero dell’Istruzione (MIUR) per vedersi riconosciuto il diritto di dare ai loro figli un pranzo preparato a casa, che loro potessero consumare insieme a tutti gli altri.

Il TAR aveva respinto il ricorso, dicendo che il comune aveva diritto di stabilire le tariffe in base ai parametri ISEE, che permettono di stabilire la condizione economica tenendo conto del reddito, del patrimonio e delle caratteristiche del nucleo familiare. Sulla seconda questione – quella sul diritto di portarsi il pasto da casa – i giudici del TAR si erano dichiarati incompetenti a decidere e avevano demandato la questione al giudice ordinario. La posizione del comune era che chi non voleva usufruire della mensa doveva andare a prendere i propri figli, farli mangiare a casa e poi riportarli a scuola. Il tribunale, in primo grado, aveva stabilito che aveva ragione il comune e che dunque non era possibile portare a scuola il pranzo da casa, precisando che il tempo trascorso in mensa faceva parte dell’offerta didattica e formativa.

Lo scorso giugno, però, la Corte di Appello di Torino aveva ribaltato la sentenza dicendo che i genitori dovevano poter scegliere tra la mensa scolastica e il pranzo al sacco. Il comune si era adeguato e aveva esteso il diritto al pranzo da casa nell’aula mensa a tutti coloro che avrebbero dato disdetta del servizio entro il 26 settembre. L’assessore all’Istruzione e il presidente della Regione Sergio Chiamparino avevano richiesto «un intervento legislativo di carattere nazionale che colmi il vuoto normativo messo in evidenza dalle decisioni della magistratura». Il MIUR aveva intanto fatto sapere che avrebbe presentato ricorso in Cassazione.

Milano
La sentenza di Torino è diventata comunque, fin da subito, un precedente per altri genitori di altre città. Il caso che ha fatto più discutere negli ultimi giorni è quello di Milano, dove alcuni bambini delle elementari hanno portato il pranzo da casa ma sono rimasti esclusi dall’aula mensa. Scrive il Corriere:

«Una mamma, Marilù Santoiemma, anche portavoce dei genitori delle commissioni mensa, comunica la rinuncia al servizio di refezione della società comunale Milano Ristorazione e manda la figlia a scuola con la schiscetta nello zaino: “Tonno di Sicilia, pomodoro bio del mio orto e pane integrale”, dice soddisfatta. E racconta che cosa succede a scuola: “Il primo giorno la bimba entra in mensa, il secondo la mandano in un’aula con la bidella, il terzo la preside la porta in mensa ma in un tavolo separato. Poi interviene il Comune e niente più refettorio”.

La stessa situazione si è verificata sempre a Milano alla scuola di via Palermo per altri due bambini. Il comune di Milano ha infatti inviato una comunicazione a tutti i presidi in cui si dice che a Milano non si può pretendere di consumare un pasto portato da casa all’interno dei locali adibiti alla refezione. La vicesindaca Anna Scavuzzo, che ha anche la delega all’Educazione, ha spiegato che «la sentenza di Torino e l’ordinanza del Tribunale sono vincolanti solo per le parti in causa e dunque non valgono in generale per qualsiasi scuola in qualsiasi città». Inoltre ha detto che da queste «battaglie ideologiche» i bambini andrebbero «lasciati fuori».

Favorevoli e contrari
I favorevoli alla posizione del comune parlano del rischio di discriminazione in base al cibo consumato e dicono che se la mensa è un momento educativo e comune, non va bene che ci siano comportamenti lasciati alla libertà dei privati. Pur non negando la possibilità di migliorare i servizi delle mense, denunciano poi un’eccessiva interferenza dei genitori nel sistema della scuola. Alcuni lamentano poi che portando il cibo da casa non è possibile avere sotto controllo la sicurezza alimentare degli studenti e che chi è favorevole al pranzo al sacco ma pretende di consumarlo a scuola vuole anche usufruire di un servizio (per esempio la sorveglianza) senza pagarlo.

Chi invece difende la possibilità di portare il pranzo da casa sostiene che la sentenza del tribunale di Torino non ha negato che la mensa sia un tempo educativo, ma che non è possibile rendere obbligatoria l’adesione a un servizio facoltativo. E se la mensa è facoltativa, l’unica alternativa al digiuno dei bambini sarebbe dunque fornire un pranzo al sacco, mentre per le scuole resterebbe l’obbligo di organizzare il tempo del consumo del pasto, qualunque pasto, come momento educativo. Si parla poi di scarsa qualità del cibo e di prezzi troppo alti. Sull’accusa di non voler pagare un servizio, infine, i sostenitori del pasto da casa dicono che alcuni genitori pagano già per chi non può pagare e che se quello della mensa è un servizio sociale la contribuzione andrebbe estesa su tutti i cittadini.