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  • Mercoledì 7 settembre 2016

Le due settimane che mancavano nella storia di Edward Snowden

La storia di cosa successe all'ex consulente della NSA nei giorni tra la sua fuga da un albergo di Hong Kong e il suo arrivo a Mosca, nel 2013

Edward Snowden il 23 giugno 2015 (AFP PHOTO / FREDERICK FLORIN
Edward Snowden il 23 giugno 2015 (AFP PHOTO / FREDERICK FLORIN

Nel maggio del 2013 Edward Snowden, allora consulente della NSA (l’agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti), consegnò al Guardian e al Washington Post migliaia di documenti segreti su un ampio programma governativo di sorveglianza di cittadini americani e stranieri, capi di stato nemici e alleati. Negli ultimi tre anni la storia di Snowden è stata ampiamente raccontata da molti articoli, libri e documentari (il 16 dicembre uscirà negli Stati Uniti Snowden, il film su Edward Snowden diretto da Oliver Stone). Finora c’era però una parte della storia rimasta sconosciuta: le due settimane successive al 10 giugno 2013: da quando cioè Snowden scomparve da un albergo a cinque stelle nel quartiere Kowloon di Hong Kong, per poi ricomparire all’aeroporto Sheremetyevo di Mosca. In quei giorni Snowden fu uno degli uomini più ricercati al mondo ma riuscì a sparire e far perdere completamente le proprie tracce.

MiraL’hotel Mira di Hong Kong, dove ha alloggiato Snowden prima di nascondersi tra i richiedenti asilo (PHILIPPE LOPEZ/AFP/Getty Images)

Mercoledì tre giornali internazionali, l’americano New York Times, il canadese National Post e il tedesco Handelslatt, hanno pubblicato il pezzo mancante della storia, raccontando che Snowden si nascose in casa di tre famiglie di richiedenti asilo nei quartieri più poveri e malfamati di Hong Kong grazie all’aiuto di uno dei suoi avvocati, il canadese Robert Tibbo. Il National Post, il giornale che ha pubblicato più dettagli sulla fuga di Snowden e che ha ottenuto anche un’intervista esclusiva a Tibbo, ha spiegato che per scappare dall’hotel a cinque stelle Snowden si mise «un cappello scuro e degli occhiali da sole e si spostò in macchina durante la notte, accompagnato da due avvocati, in alcune case sicure nella periferia povera e popolosa di Hong Kong». A Snowden furono date delle SIM card per fare delle telefonate senza il rischio di essere scoperto e gli fu lasciato il computer per comunicare con l’esterno attraverso un sistema criptato. «Nessuno avrebbe pensato che un uomo di un tale profilo si sarebbe nascosto tra le persone più disperate di Hong Kong», ha raccontato Tibbo nell’intervista al National Post.

Il New York Times ha parlato con alcune delle persone che ospitarono Snowden nel corso di quelle due settimane. Una di loro si chiama Vanessa Mae Bondalian Rodel, è una cittadina filippina di 42 anni che aspetta da sei anni la risposta del governo di Hong Kong sulla sua richiesta di asilo. Rodel ha raccontato di avere avuto l’impressione che Snowden fosse «molto spaventato, molto preoccupato» e che «usava il suo computer giorno e notte». Non aveva idea di chi fosse l’uomo che stava ospitando nella sua casa e che gli era stato portato dal suo stesso avvocato, Robert Tibbo; se ne rese conto solo quando Snowden le chiese di comprare il South China Morning Post, il principale quotidiano di Hong Kong in lingua inglese, che quel giorno aveva una sua grossa fotografia in prima pagina. Dopo qualche giorno passato con Rodel e sua figlia, Snowden cambiò casa e fu ospitato da Ajith Pushpakumara, cittadino dello Sri Lanka di 44 anni scappato dal suo paese dopo avere disertato dall’esercito ed essere stato torturato. Anche nel terzo rifugio Snowden viveva con due persone cingalesi: Supun Thilina Kellapatha e sua moglie, Nadeeka Dilrukshi Nonis. Entrambi hanno raccontato di non avere avuto paura di ospitare Snowden – «non penso che ci siamo presi un rischio, è lui quello che ha rischiato molto», ha detto Kellapatha.

Hong KongIl quartiere Sham Shui Po di Hong Kong, uno di quelli dove Snowden si è fermato qualche giorno nel giugno 2013. La fotografia è stata scattata nel novembre 2011 (Aaron tam/AFP/Getty Images)

Snowden ha raccontato al National Post – tramite uno scambio di email criptate – di non avere pensato troppo quando il suo avvocato Tibbo gli propose di nascondersi nelle case dei richiedenti asilo di Hong Kong:

«Ero in uno stato mentale di assoluta concentrazione, non ci pensai troppo. Non mi preoccupava il posto dove sarei stato, ero preoccupato di mettere nei guai altra gente. Robert mi promise che mi avrebbe coperto le spalle nonostante i rischi, e così fu. Supun, Nadeeka, Vanessa e Ajith sono tra le persone più coraggiose che abbia mai avuto il privilegio di conoscere. Immaginate di avere il dissidente più ricercato al mondo alla porta della vostra casa. Gli aprireste? Loro non hanno nemmeno esitato e gli sarò sempre grato per questo.»

Durante i 12 giorni di fuga, il governo statunitense formalizzò le accuse contro Snowden e chiese alle autorità di Hong Kong di arrestarlo e di rispettare il trattato di estradizione firmato dai due paesi. Uno dei suoi avvocati lo fece trasferire a casa sua e gli spiegò quali erano le possibilità rimaste per evitare l’arresto e l’estradizione. Snowden decise di contattare Julian Assange e Wikileaks, e poco dopo si incontrò con Sarah Harrison, membro britannico di Wikileaks che in quei giorni si trovava in Australia. Harrison acquistò più di una decina di biglietti aerei con destinazioni differenti, tra cui Islanda, Cuba e India, per confondere gli americani che cercavano Snowden e che si aspettavano una sua fuga all’estero (le autorità di Hong Kong avevano dato il permesso a Snowden di lasciare il paese). Snowden riuscì a salire su un aereo per Mosca e ad arrivare così all’aeroporto Sheremetyevo di Mosca. Ci rimase un mese prima di poter uscire e fare richiesta di asilo temporaneo in Russia, perché nel frattempo gli Stati Uniti gli avevano revocato il passaporto. Snowden vive in Russia ancora oggi.

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