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  • Giovedì 11 agosto 2016

Gli atleti assoldati dal Qatar

La loro squadra a Rio è formata per quasi due terzi da atleti nati altrove e ingaggiati con la prospettiva di andare alle Olimpiadi e guadagnare di più

di Rick Maese – The Washington Post

Marko Bagaric durante la partita di pallamano tra Qatar e Francia alle Olimpiadi di Rio, il 9 agosto 2016 (AP Photo/Ben Curtis)
Marko Bagaric durante la partita di pallamano tra Qatar e Francia alle Olimpiadi di Rio, il 9 agosto 2016 (AP Photo/Ben Curtis)

Marko Bagaric, un giocatore di pallamano alto 2 metri e un centimetro, era accanto ai suoi compagni di squadra prima dell’inizio della loro prima partita alle Olimpiadi di Rio. Durante l’inno nazionale del suo paese, Bagaric – che è nato in Croazia – è rimasto in silenzio. Per lui è stato probabilmente il momento più difficile, dal momento che indossava la divisa di un altro paese. «Cosa posso farci?», ha detto Bagaric ai giornalisti dopo la partita. «Il Qatar mi ha dato la possibilità di partecipare alle Olimpiadi. È il sogno di ogni sportivo». Per rappresentare il Qatar ai giochi di Rio, Bagaric ha dovuto gareggiare contro i suoi connazionali: ex compagni di squadra e addirittura ex compagni di stanza. Casi come il suo non sono per niente insoliti per i membri della squadra olimpica del Qatar. Il paese mediorientale ricco di petrolio è poco più grande dell’Abruzzo e ha meno abitanti di Roma, ma è riuscito comunque a mandare 39 atleti alle Olimpiadi, il numero più alto nella sua storia. Di questi, però, 23 sono nati fuori dal Qatar e sono stati poi trapiantati – ingaggiati, in molti casi – per aiutare il paese a ottenere grandi risultati sportivi. Vengono da almeno 17 paesi diversi e da 5 continenti.

Il Qatar è un paese in cui la grande maggioranza della popolazione è composta da stranieri che si sono trasferiti per lavoro, prendendo la residenza temporanea per approfittare dell’economia in forte crescita della regione. L’evoluzione atletica del paese rientra in un’ottica simile. A queste Olimpiadi il Qatar partecipa con corridori del Sudan, pugili tedeschi, giocatori di beach volley dal Brasile e un giocatore di tennistavolo cinese. «Quando in passato rappresentavo la Cina, per me era difficile riuscire a partecipare in un torneo internazionale, per non parlare delle Olimpiadi», ha raccontato Ping Li al sito dell’International Table Tennis Federation ad aprile. «Tengo molto a questa opportunità».

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Li Ping durante un incontro di tennistavolo contro il tedesco Dimitrij Ovtcharov alla Olimpiadi di Rio, l’8 agosto 2016 (AP Photo/Petros Giannakouris)

In nessuno sport questo approccio un po’ mercenario è forse così evidente come nella pallamano, in cui il Qatar ha una squadra olimpica per la prima volta. Dei 14 giocatori della squadra, 11 sono stati reclutati da altri paesi. Anche il loro allenatore, Valero Rivera, viene dalla Spagna. La pallamano è uno sport di squadra, molto popolare in alcune parti dell’Europa, e il Qatar è riuscito ad attirare alcuni dei giocatori più forti puntando su premi e stipendi molto più alti rispetto ai loro paesi di origine. Hassan Mabrouk aveva già giocato per la squadra olimpica dell’Egitto nel 2008, Bertrand Roine aveva aiutato il suo paese d’origine – la Francia – a vincere l’oro ai campionati mondiali di pallamano del 2011, e nell’ultima stagione Rafael Capote – nato a Cuba – era in corsa per il premio di migliore giocatore dell’anno dell’International Handball Federation. «Il Qatar sta creando una squadra finta», ha detto Christer Ahl, un arbitro di alto livello di pallamano, al giornale britannico Sunday Telegraph. «Stanno mettendo insieme una serie di giocatori che non sembrano avere legami con il paese, che poi cacciano se non contribuiscono a far vincere una medaglia o raggiungere altri successi. Stanno diventando una specie di squadra all-star».

Dopo aver aperto il torneo olimpico vincendo contro la Croazia, il Qatar è stato battuto senza troppe difficoltà 35 a 20 dalla Francia, che ha vinto la medaglia d’oro alle ultime due edizioni delle Olimpiadi. Il giocatore della Francia Valentin Porte ha detto che lo «spirito» della squadra del Qatar, se paragonato a quello della Francia, ha influito sula larga vittoria dei francesi. «Noi giochiamo per amore dello sport», ha detto Porte, «mentre loro giocano per i soldi». Il Qatar, però, non sta infrangendo nessuna regola. Il paese può concedere la cittadinanza come meglio crede, e le norme del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) richiedono solo che un atleta che ha già rappresentato una nazione in una gara internazionale stia fermo tre anni prima di rappresentarne un’altra. «È legale, e quindi va benissimo», ha detto il giocatore tedesco di pallamano Finn Lemke. «Sono forti: è questo il problema».

Ogni quattro anni, molti paesi sfruttano questa scappatoia per aumentare il talento della propria squadra olimpica. A Rio, per esempio, ci sono decine di atleti nati, cresciuti e allenatisi negli Stati Uniti che gareggiano sotto una bandiera diversa. Ma il modo in cui il Qatar recluta gli atleti stranieri è tra i più sfacciati. Nel 2000, per esempio, il Qatar si presentò alle Olimpiadi di Sidney con una squadra di sollevamento pesi composta interamente da bulgari, che aveva aiutato a cambiare cittadinanza e nome per farli gareggiare. «Abbiamo cambiato i loro nomi in modo che avessero un suono arabo perché erano difficili da pronunciare», aveva raccontato il presidente della Federazione di sollevamento pesi del Qatar all’epoca all’Orlando Sentinel. «Se fa qualcosa di buono per il Qatar, anche lei avrà la cittadinanza. È il premio per chi fa qualcosa di buono per noi». Da allora, la squadra olimpica del Qatar è aumentata di oltre il doppio. Nel 2012 il paese aveva portato solo 12 atleti alle Olimpiadi di Londra. Su esortazione del CIO, il Qatar incluse nella squadra per la prima volta anche quattro donne. Ai giochi di Rio, però, solo due atleti su 39 sono donne: la corritrice Dalal Mesfer al Harith e la nuotatrice Nada Arakji, che aveva partecipato anche alle Olimpiadi del 2012. La squadra d’equitazione del Qatar a Rio, invece, ha alcuni membri originari del paese, che però vivono tutti nei Paesi Bassi, dove si allenano insieme (non dovrebbe sorprendere: anche i loro cavalli non sono del Qatar, ma vengono da paesi più adatti ad allevarli, come Belgio e Germania).

Nonostante qualcuno potrebbe considerare le ambizioni olimpiche del Qatar come un’opportunità per incassare dei soldi, in realtà questa politica dà anche ad atleti che non riescono a entrare nella squadra del proprio paese la possibilità di partecipare alle Olimpiadi. Il corridore Femi Ogunode era stato escluso dalle gare internazionali dalla Nigeria prima dei giochi di Pechino nel 2008, e fu allora che ricevette un’email d’invito dal Qatar. «Accettai, ma dissi loro che non avevo i soldi per trasferirmi», aveva raccontato Ogunode al sito d’informazione nigeriano Premium Times l’anno scorso. «Mi hanno detto di spedire il mio passaporto e mi hanno pagato il viaggio in Qatar. Il resto, come si dice, è storia: sono diventato un nigeriano-qatariota».

Nonostante tutti gli sforzi del paese, il Qatar non ha mai vinto una medaglia d’oro alle Olimpiadi, e nessuno dei suoi atleti è mai salito sul podio ad ascoltare l’inno nazionale. Perlomeno a Rio, alcuni degli atleti olimpici del Qatar sentiranno un legame con il paese ospitante, se non con quello adottivo. Pereira Jefferson Santos e Samba Cherif Younousse sono nati entrambi in Brasile e sono stati ingaggiati per gareggiare a Rio nella prima squadra di beach volley nella storia del Qatar. «Mi sento a casa nel mio paese», ha detto Cherif Younousse. «Sono molto orgoglioso. È come se incitassero il nome del mio paese, ma anche il mio e quello del mio compagno di squadra».

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Cherif Younousse Samba incita il pubblico durante la partita di beach volley tra Qatar e Stati Uniti alle Olimpiadi di Rio, il 6 agosto 2016 (AP Photo/Marcio Jose Sanchez)

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