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  • Venerdì 5 agosto 2016

E se Trump si ritirasse?

È molto improbabile, ma dopo l'incredibile serie di polemiche dell'ultima settimana se lo chiedono in molti: è una cosa possibile?

di Paul Waldman – The Washington Post

Il candidato alla presidenza degli Stati Uniti del Partito Repubblicano Donald Trump durante un comizio a Portland, nel Maine, il 4 agosto 2016 (Sarah Rice/Getty Images)
Il candidato alla presidenza degli Stati Uniti del Partito Repubblicano Donald Trump durante un comizio a Portland, nel Maine, il 4 agosto 2016 (Sarah Rice/Getty Images)

I vertici del Partito Repubblicano statunitense hanno provato qualsiasi cosa per impedire che Donald Trump diventasse il candidato del partito alla presidenza. Avevano investito 100 milioni di dollari nella campagna elettorale di Jeb Bush, trasmesso degli spot pubblicitari in cui si diceva che Trump non era un vero conservatore, pubblicato edizioni speciali di riviste conservatrici elencando i motivi per non votarlo, e creato un hashtag. Nessuna di queste cose ha funzionato. Siamo ad agosto e Trump è ufficialmente il candidato alla presidenza del Partito Repubblicano (come deciso da una convention che è stata straordinariamente poco proficua); ma nonostante tutto, l’idea che qualcuno diverso da Trump possa rappresentare il partito alle elezioni di novembre rifiuta di scomparire. Dopo una settimana particolarmente negativa persino per Trump, ci si chiede: è possibile che Trump possa davvero ritirarsi? E cosa succederebbe se lo facesse? L’idea sembra assurda, è vero. Ma sembra anche assurdo che un candidato alla presidenza degli Stati Uniti si metta a litigare per una settimana con i genitori di un soldato morto in Iraq. Almeno per il momento, quindi, è il caso di considerare l’ipotesi seriamente.

Gli ultimi giorni sono stati davvero terribili per Trump e hanno generato una serie di storie negative e bizzarri passi falsi che ci si aspetterebbe di vedere spalmati in molti mesi, e all’interno di una campagna elettorale sul punto di fallire: l’incapacità di Trump di lasciar cadere la lite con la famiglia Khan, il pesante rifiuto di dare il suo endorsement a Paul Ryan e John McCain, l’invito rivolto agli americani di ritirare i loro soldi dal mercato azionario, l’atteggiamento da incolpa-la-vittima sulle molestie sessuali, e la dichiarazione secondo cui le elezioni sarebbero truccate, appositamente per sfavorirlo. E poi c’è la mia storia preferita, quella in cui Trump va nella contea di Loudoun, in Virginia, la più ricca d’America, e dice al suo pubblico: «State facendo schifo qui, mi dispiace dirvelo», citando come prova la chiusura di alcune fabbriche avvenuta a centinaia di chilometri di distanza (una era addirittura in North Carolina). E questo è solo quello che succede in pubblico. Ci sono indizi che dietro le quinte la situazione stia precipitando. Mercoledì, il giornalista americano John Harwood ha scritto su Twitter che un collaboratore di Paul Manafort, il capo della campagna elettorale di Trump, gli ha detto che Manafort ormai «non mette più in discussione Trump. Ha mollato il colpo. Lo staff si vorrebbe ammazzare» (la campagna elettorale di Trump ha negato). Il presidente del Partito Repubblicano Reince Priebus sarebbe «furioso» per i commenti di Trump su Ryan e McCain. Il New York Times ha scritto che «adesso i Repubblicani dicono che l’ostinazione di Trump a non volersi occupare della crisi forse più grave della sua campagna elettorale potrebbe portare a pesanti defezioni all’interno del partito, e i legislatori e strateghi Repubblicani hanno iniziato a prendere in considerazione l’idea di abbandonarlo in massa». Questo è quello che i giornalisti di NBC Chuck Todd e Hallie Jackson hanno scritto giovedì:

Alcuni importanti Repubblicani vicini a Trump stanno pensando di intervenire e parlare con lui, dopo le disastrose 48 ore che hanno portato alcuni figure influenti nel partito a mettere in discussione il fatto che Trump possa guidare il ticket Repubblicano senza che ci siano conseguenze catastrofiche per la sua campagna e il Partito Repubblicano in generale.

Il presidente del Partito Repubblicano Reince Priebus, l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani e l’ex speaker della Camera dei Rappresentanti Newt Gingrich sono tra i sostenitori di Trump che sperano di riuscire a convincere il magnate immobiliare a “resettare” la sua campagna elettorale nei prossimi giorni, hanno riportato alcune fonti a NBC.

Non ho idea di cosa si intenda esattamente per “resettare”, dal momento che il problema della campagna elettorale di Trump si riassume in due parole: Donald Trump. Diventerà all’improvviso «così presidenziale da farvi annoiare», come diceva lui stesso? Ovviamente, non succederà. Il risultato più probabile di questo periodo piuttosto intenso è che Trump prometta di stare un po’ più attento alle sue parole, e che i Repubblicani tornino al loro livello base di ansia, rispetto al panico assoluto di questi giorni.

Ma è davvero possibile che Trump si ritiri dalla corsa? Le argomentazioni contro questa ipotesi hanno una serie di fattori a loro favore. Innanzitutto, una cosa del genere non è mai successa (d’altra parte, però, non c’era nemmeno mai stato un candidato come Trump). In secondo luogo, una mossa del genere conterebbe come un’ammissione di sconfitta, che ovviamente per Trump sarebbe insopportabile. Terzo, il suo svantaggio su Hillary Clinton è di soli sei punti circa, il che significa che Trump potrebbe tranquillamente stabilizzare la sua campagna elettorale e sperare in un evento drammatico (un’invasione aliena, forse) che cambi la dinamica della corsa e gli permetta di vincere. Le argomentazioni a favore dell’abbandono di Trump sono meno convincenti, ma nemmeno così tanto. Trump sta facendo i conti con un livello di attenzione e critiche superiore al passato, che potrebbe avere un prezzo a livello personale. Se dovesse arrivare alla conclusione che perderà in ogni caso, perché non dovrebbe abbandonare la nave adesso e lasciare che sia qualcun altro ad affondare? In fondo è quello che ha fatto in passato con tutti i fallimenti delle sue aziende. Alla fine, Trump è riuscito a convincersi del fatto che non fossero davvero fallimenti, ma astuti stratagemmi messi in atto dal migliore imprenditore del mondo, se stesso.

Col tempo, potrebbe raccontare una storia simile anche su queste elezioni: ha realizzato la migliore campagna elettorale della storia e fatto vedere a tutti quanto fosse un vincente, e poi – una volta detta la sua – si è fatto da parte, tornando al mondo dell’impresa, dove la sua vera magnificenza può essere realizzata pienamente. Trump potrebbe anche rivoltare la frittata e presentare la storia come un tradimento: quando anche i Repubblicani si sono messi a cospirare contro di lui, ha deciso che non valeva più la pena continuare a combattere, e ha scelto di lasciarli perdere nella speranza che imparassero la lezione e riformassero il loro partito corrotto. È impossibile sapere cosa passi davvero per la testa di Trump, ma ci si può immaginare che la sua combinazione unica di megalomania narcisistica e insicurezza galoppante lo possa spingere in entrambe le direzioni.

Cosa succederebbe se Trump si ritirasse dopo essere già stato nominato come candidato ufficiale del Partito Repubblicano? Giovedì il giornalista di ABC Jonathan Karl ha raccontato che i funzionari del Partito Repubblicano stanno cercando di capire cosa fare se dovesse succedere. Fortunatamente lo statuto del partito ha delle disposizioni che contemplano uno scenario del genere, secondo cui se per qualsiasi motivo il candidato ufficiale dovesse abbandonare la corsa, i 168 membri del comitato nazionale che gestisce il partito dovrebbero eleggere un sostituto, con un processo grossomodo analogo a quello dei collegi elettorali, in cui i membri di ogni stato voterebbero insieme.

Dal punto di vista pratico, non sembra una cosa così difficile da fare, se non fosse per il fatto che virtualmente farebbe di Hillary Clinton il prossimo presidente degli Stati Uniti. Il caos che deriverebbe da una mossa simile rafforzerebbe le argomentazioni di Clinton sul fatto che lei è la sola scelta stabile e ragionevole. I Repubblicani dovrebbero trovare qualcuno che sostituisca Trump. Paul Ryan non lo farebbe, perché non è così stupido, e così il sostituto automatico sarebbe Mike Pence, l’attuale candidato alla vicepresidenza di Trump. I sostenitori di Trump, poi, dopo essersi sentiti dire per così tanto tempo che stanno combattendo contro un establishment corrotto e aver visto 168 dirigenti del partito scegliere un altro candidato, se ne starebbero a casa in massa il giorno delle elezioni. È questa la ragione principale per cui probabilmente i membri del Partito Repubblicano, per quanto disgustati da Trump, non spingeranno le cose fino a questo punto: l’alternativa è ancora più dolorosa. A meno che non siano convinti che le cose continueranno a peggiorare e che Trump trascini giù con lui anche la maggioranza del partito al Senato e alla Camera, e che le elezioni non finirebbero così male con un sostituto, è probabile che i Repubblicani continuino semplicemente a cercare di convincere Trump a comportarsi meglio e sperare che alle elezioni i danni fatti non si allarghino troppo.

È bene sottolineare che Trump non ha mai detto che sta considerando di abbandonare la corsa. E potrebbe ancora essere convinto che vincerà, visto che, in fondo, va benissimo con gli ispanici, gli afro-americani lo adorano, le donne sono totalmente dalla sua parte, la classe media è schierata con lui, è incredibile, credetemi. Ma non si può dire che fino a ora il comportamento di Trump sia stato prevedibile.

© 2016 – The Washington Post