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  • Giovedì 4 agosto 2016

L’ONU vuole riaprire le indagini sulla morte di Dag Hammarskjöld

Lo sostiene Foreign Policy, dopo che sono stati trovati nuovi documenti in Sudafrica: l'aereo del segretario generale dell'ONU precipitò nel 1961 nell'attuale Zambia

di Colum Lynch – Foreign Policy

L'ex segretario generale dell'ONU Dag Hammarskjöld (AP Photo)
L'ex segretario generale dell'ONU Dag Hammarskjöld (AP Photo)

Il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon proporrà la riapertura di un’indagine sulle accuse secondo cui Dag Hammarskjöld, diplomatico svedese e tra i più rispettati segretari generali della storia dell’ONU, tra il 1953 e il 1961, fu assassinato durante il periodo dell’apartheid da un’organizzazione paramilitare sudafricana sostenuta dalla CIA, dai servizi segreti britannici e da una società mineraria belga, stando a diversi funzionari che conoscono la storia. La decisione segue la recente scoperta da parte del governo sudafricano di documenti di intelligence risalenti a diversi decenni fa, che descrivono nei dettagli il presunto complotto – chiamato Operazione Celeste – che aveva l’obiettivo di uccidere Hammarskjöld. In una recente lettera all’ONU, le autorità sudafricane hanno scritto di aver trasferito i documenti al ministero della Giustizia, per dare ai funzionari dell’ONU la possibilità di analizzarli, stando a fonti diplomatiche. I rappresentanti del Sudafrica all’ONU non hanno risposto a una richiesta di commenti. In precedenza, la CIA aveva negato le accuse secondo cui avrebbe organizzato la morte di Hammarskjöld, definendole «assurde e senza fondamento».

Queste nuove informazioni (la cui scoperta è stata riportata per prima da Foreign Policy) stanno emergendo a più di anno di distanza da un’approfondita analisi realizzata da un gruppo di esperti dell’ONU guidato dal presidente della Corte Suprema della Tanzania Mohamed Chande Othman, che ha preso in esame le nuove prove emerse negli anni dopo il misterioso incidente aereo in cui 55 anni fa morì Hammarskjöld. Il gruppo di esperti ha invitato Ban Ki-moon – che è già tenuto a riferire qualsiasi nuova prova che faccia luce sulla morte di Hammarskjöld da una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 1962 – a continuare a fare pressione sui governi e sui servizi segreti dei paesi coinvolti affinché rivelino o desecretino le informazioni che potrebbero riempire le lacune relative al caso.

Alcune copie dei documenti sudafricani che descrivono l’Operazione Celeste furono resi pubblici per la prima volta 18 anni fa. Il Sudafrica, però, non era stato in grado di trovare i documenti originali, rendendo impossibile la loro autenticazione con un esame dell’inchiostro e della carta. Non è ancora chiaro cosa abbia trovato di preciso il governo sudafricano, ma secondo dei funzionari a conoscenza della lettera inviata dal Sudafrica all’ONU, il governo del paese ha confermato di aver trovato dei documenti relativi all’Operazione Celeste che erano andati perduti. La scoperta ha alimentato le speranze che l’ONU possa verificare se i documenti risalgono davvero all’epoca della morte di Hammarskjöld .

Nel settembre del 1961, Hammarskjöld era partito in aereo per una missione di pace dalla capitale del Congo Léopoldville, che oggi si chiama Kinshasa, verso il campo d’aviazione di Ndola, nel protettorato britannico della Rhodesia Settentrionale, che dall’indipendenza si chiama Zambia. L’aereo di Hammarskjöld, un Douglas DC­6B chiamato “Albertina”, si schiantò nella giungla mentre si avvicinava al campo d’aviazione di Ndola. Secondo le ricostruzioni, nell’impatto Hammarskjöld fu scagliato fuori dall’aereo e morì per le fratture riportate al petto, alla spina dosale e alle costole. Nello schianto morirono altre quattordici persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio, e una quindicesima persona, Harold Julien, morì per via delle ferite una settimana dopo. Prima di morire, Julien aveva raccontato alle autorità che prima dello schianto c’era stata un’esplosione nell’aereo.

Nel 1962 una commissione d’inchiesta della Rhodesia concluse che l’aereo era precipitato per un errore del pilota, che aveva calcolato in modo sbagliato l’altezza degli alberi. Una successiva inchiesta dell’ONU non riuscì a determinare la causa della caduta, lasciando aperta la possibilità che la morte di Hammarskjöld fosse stata provocata da un incidente o da un attentato. Nei decenni seguenti, la morte di Hammarskjöld generò una quantità incredibile di teorie del complotto secondo le quali, a seconda dei casi, sarebbe stato ucciso dagli spari di una persona assoldata dalla CIA o da truppe americane di terra, da un pilota belga che sosteneva di aver abbattuto l’aereo, o da un mercenario sudafricano che gli avrebbe sparato in testa dopo che era sopravvissuto allo schianto. Il funzionario dell’ONU che identificò per primo il suo corpo giurò che Hammarskjöld aveva un foro in fronte della grandezza di una pallottola. L’autopsia, durante la quale fu fatta anche una radiografia del corpo di Hammarskjöld, non confermò queste tesi. L’ONU scartò anche una serie di altre teorie, come la ricostruzione secondo cui un presunto mercenario sudafricano chiamato Swanepoel si sarebbe vantato di aver partecipato all’omicidio mentre era ubriaco.

Dei funzionari hanno ribadito che le nuove prove non sono assolutamente definitive e che rappresentano solo un nuovo elemento di un’indagine molto più ampia e complicata, che potrebbe non arrivare mai a una conclusione. Alcuni osservatori vicini all’indagine, inoltre, hanno fatto notare che anche se i documenti si rivelassero autentici, rimarrebbe la possibilità che siano stati prodotti nell’ambito di una campagna di disinformazione prodotta da fonti diverse, dall’Unione Sovietica a mercenari che cercavano di promuovere la propria importanza con i servizi segreti sudafricani, rivendicando la responsabilità della morte di Hammarskjöld. Secondo Ban Ki-moon, però, le prove sono abbastanza rilevanti da giustificare la riapertura di quello che si è trasformato nel caso irrisolto più noto e problematico nella storia delle Nazioni Unite. Secondo alcuni funzionari dell’ONU, la decisione di portare avanti l’indagine dipende dell’influenza di Jan Eliasson, ex ministro degli Esteri svedese e attualmente vice segretario generale dell’ONU. Per altri importanti diplomatici, però, le ultime scoperte potrebbero anche portare l’ONU a perdere tempo dietro una serie di teorie del complotto associate alla morte di Hammarskjöld, molte delle quali sono contraddittorie. Il mese prossimo, Ban Ki-moon diffonderà una nota di cinque pagine per dare conto dell’esistenza di nuove prove, e con la quale chiederà all’Assemblea Generale di nominare una figura autorevole, probabilmente Othman, per esaminare i documenti e capire dove portino. Il vice portavoce di Ban Ki-moon, Farhan Haq, non ha voluto commentare le nuove prove né le prossime raccomandazioni di Ban Ki-moon, ma ha detto a Foreign Policy che «il segretario generale continua a impegnarsi in prima persona per adempiere al dovere dell’ONU nei confronti dell’illustre segretario generale e delle persone che lo accompagnavano, per determinare dopo così tanti anni come siano andati i fatti».

Nel 2012, il caso di Hammarskjöld aveva generato una rinnovata attenzione con la pubblicazione di un libro della studiosa britannica Susan Williams, Who Killed Hammarskjöld? The UN, the Cold War and White Supremacy in Africa, in cui veniva sostenuta l’esistenza di nuove prove, tra cui i resoconti di alcuni testimoni oculari locali che avevano raccontato di aver visto l’aereo precipitare in fiamme, e la testimonianza di Charles Southall, un funzionario della Marina americana in pensione, che aveva detto di aver sentito la registrazione di un pilota che si vantava di aver abbattuto quello che sembrava essere l’aereo di Hammarskjöld (anche se successivamente Southall disse di non ricordare chiaramente se avesse sentito davvero l’intercettazione via radio o se ne avesse letto una trascrizione). Southall – che aveva prestato servizio in una postazione d’ascolto a Cipro della NSA, l’agenzia di sicurezza nazionale statunitense – aveva detto di aver sentito il pilota dire: «Vedo un aereo da trasporto che perde quota, con tutte le luci accese. Provo a colpirlo. Confermo, è il Transair DC­6. È l’aereo. L’ho colpito. Ci sono fiamme. Sta precipitando. Si sta schiantando». A maggio del 2015, un altro americano, Paul Abram – che sostiene di aver prestato servizio in una postazione d’ascolto della NSA a Candia, in Grecia – ha raccontato al gruppo di esperti dell’ONU di aver ascoltato un’intercettazione radio la notte della morte di Hammarskjöld, in cui una persona non americana con un accento marcato aveva detto: «Gli americani hanno appena abbattuto un aereo dell’ONU».

Il libro di Williams contribuì nel 2012 alla fondazione della Commissione Hammarskjöld, un organo di quattro giuristi e avvocati internazionali volontari: il giudice britannico Stephen Sedley; Richard Goldstone, ex procuratore capo del tribunale dell’ONU per i crimini di guerra in Rwanda e nella ex Jugoslavia; l’ambasciatore Hans Corell, uno svedese che in passato è stato il più importante avvocato dell’ONU; Wilhelmina Thomassen, una ex giudice della Corte Suprema dei Paesi Bassi. Nel suo rapporto finale del 2013, la commissione scrisse che «ci sono prove convincenti del fatto che l’aereo abbia subìto un attacco o una minaccia di qualche tipo mentre volava sopra l’area di Ndola prima dell’atterraggio». Il rapporto concluse anche che è «molto probabile che l’intero traffico radio locale e regionale dell’area di Ndola nella notte tra il 17 e il 18 settembre 1961 sia stato tracciato e registrato dalla NSA, e forse anche dalla CIA». Le scoperte hanno spinto il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon a mettere insieme il gruppo di esperti delle Nazioni Unite guidato da Othman per riesaminare il caso Hammarskjöld alla luce delle nuove prove.

Diversi studiosi sostengono che alcune importanti organizzazioni della regione – tra cui i governi delle minoranze bianche – si fossero scontrati con Hammarskjöld, le cui forze di pace dell’ONU combattevano i separatisti appoggiati dal Belgio nella provincia congolese del Katanga, area ricca di minerali. Qualche giorno prima della morte di Hammarskjöld, l’ONU aveva attaccato i separatisti del Katanga durante un’operazione per portare centinaia di funzionari belgi e soldati europei fuori dal paese. Hammarskjöld era un sostenitore della piena indipendenza del Congo, mentre il Belgio – in qualche misura sostenuto da Gran Bretagna, Stati Uniti e Sudafrica – voleva fare in modo che le ricchezze del Katanga – come l’uranio usato per produrre le bombe nucleari sganciate su Hiroshima e Nagasaki­­ – rimanessero in mani amiche e lontano dall’Unione Sovietica. Diversi mesi dopo, la CIA aveva avuto un ruolo nell’omicidio, compiuto da agenti belgi e separatisti del Katanga, del capo del movimento di liberazione del Congo Patrice Lumumba, che si sospettava si stesse avvicinando troppo all’Unione Sovietica. Hammarskjöld, nel frattempo, morì mentre era in viaggio per discutere di una tregua con Moise Tshombe, il capo del movimento secessionista appoggiato dal Belgio. L’obiettivo di Hammarskjöld era convincere Tshombe a interrompere i rapporti con i suoi sostenitori stranieri e riappacificarsi con i leader congolesi filo-occidentali. «Tutte le parti – i belgi, i sudafricani e la CIA – avevano un motivo per opporsi alla missione di Dag Hammarskjöld», ha raccontato Goldstone a Foreign Policy.

La possibilità che ci sia stato di un complotto sostenuto dalla CIA per uccidere Hammarskjöld emerse per la prima volta nel 1998, quando l’Agenzia nazionale d’intelligence sudafricana consegnò alla Commissione sudafricana per la verità e la riconciliazione un file sull’assassinio del 1993 di Chris Hani, il leader del Partito Comunista Sudafricano. Il file, però, conteneva anche le copie di otto documenti che riportavano dettagliatamente la corrispondenza interna tra i membri dell’Istituto sudafricano per la ricerca marittima, o SAIMR, un presunto fronte di un’organizzazione clandestina di mercenari attiva in Congo negli anni Sessanta. Nei documenti, che contenevano anche un presunto scambio tra il “commodoro” e il “capitano” del SAIMR, si sosteneva che l’Operazione Celeste avesse l’obiettivo di “rimuovere” Hammarskjöld, che stava diventando sempre più «un problema». Un documento in particolare, contrassegnato come “top secret”, descriveva un incontro a cui avevano partecipato membri del SAIMR, dei servizi segreti britannici – l’MI5 – e dello Special Operations Executive, quello che sembra essere un riferimento all’agenzia britannica creata durante la Seconda guerra mondiale per svolgere operazioni di spionaggio e sabotaggio nell’Europa occupata dalla Germania. Nei documenti si legge che l’allora capo della CIA Allen Dulles era d’accordo sul fatto che «Dag sta diventando sempre più un problema… e dovrebbe essere rimosso», e che avrebbe promesso il sostegno dei suoi uomini presenti sul territorio. Secondo i documenti, i sabotatori avevano intenzione di piazzare quasi tre chili di tritolo nel vano del carrello dell’aereo di Hammarskjöld, prima che partisse da Léopoldville in direzione dell’aeroporto di Ndola. La detonazione dell’esplosivo sarebbe dovuta avvenire nel momento in cui il pilota dell’aereo avrebbe ritirato il carrello. I documenti parlano anche di un piano “di riserva” per far detonare la bomba con un comando a distanza all’inizio della fase atterraggio a Ndola.

Non esistono prove convincenti che dimostrino che l’aereo sia esploso. L’anno scorso, il gruppo di Othman ha dato poco credito a questa teoria, e dai rottami dell’aereo non sono emerse prove valide che confermino che l’aereo fu abbattuto da una bomba. Secondo il gruppo di esperti dell’ONU, la tesi è fondata su copie dei documenti del SAIMR che non è stato possibile verificare. Si riteneva poi che una delle organizzazioni citate nei documenti, lo Special Operations Executive, fosse stata smantellata alla fine degli anni Quaranta. Le autorità sudafricane non sono riuscite a trovare dati che confermino l’esistenza di un gruppo di mercenari con quel nome, e il gruppo di esperti dell’ONU ha concluso che non c’è modo di provare che i documenti siano autentici senza sottoporre le carte originali all’esame dell’inchiostro e della carta. Secondo il gruppo, le copie hanno «uno scarso valore probatorio», dal momento che l’ONU non è stata in grado di verificarne l’autenticità né di determinare l’esistenza del SAIMR. La teoria secondo cui sarebbe stata piazzata una bomba nell’aereo di Hammarskjöld – ha concluso il gruppo – «è poco sostenuta dal corpo delle nuove informazioni» raccolte. La Commissione Hammarskjöld si è dimostrata addirittura più scettica. Hans Corell, uno dei membri della commissione, ha detto che i documenti sull’Operazione Celeste «sembravano sospetti. Non ne siamo rimasti convinti». Corell ha aggiunto che la commissione aveva concluso che né i documenti né tanto meno il loro contenuto potevano essere considerati «affidabili».

Susan Williams, che ha studiato per anni le attività del SAIMR, ha detto che scartare alla leggera l’ipotesi che i documenti siano autentici sarebbe un errore. «Io di sicuro non li trascurerei, e questo è il motivo per cui mi sono data così tanto da fare per trovarli», ha detto Williams. «Alcuni di questi documenti potrebbero essere quello che dicono essere, mentre altri no». Goldstone ha raccontato a Foreign Policy che continua ad avere la «netta sensazione» che la morte di Hammarskjöld non sia stata un incidente. Ma tra le impressioni della commissione sulla causa della morte di Hammarskjöld e i resoconti sudafricani sull’Operazione Celeste c’è una differenza sostanziale. «La nostra opinione è che la presenza di una bomba sull’aereo sia meno probabile della possibilità che sia stato abbattuto», ha detto Goldstone, che ha raccontato di aver interrogato quattro testimoni oculari, tra cui tre lavoratori del posto, che gli hanno detto di aver visto l’aereo precipitare tra le fiamme. Alcune persone hanno raccontato di aver visto un secondo aereo sparare a quello in cui si trovava Hammarskjöld. Goldstone ha detto che nessuna persona del posto era stata interrogata dalla commissione della Rhodesia o dall’ONU. «I rhodesiani tendevano a scartare i testimoni neri perché non li consideravano attendibili», ha detto. «Fu chiaramente una questione di razzismo».

Uno dei principali ostacoli alla conclusione dell’indagine è la riluttanza delle principali potenze coinvolte, soprattutto Stati Uniti e Gran Bretagna, a diffondere i documenti relativi al caso. Nonostante sia scettico circa la possibilità del complotto appoggiato dalla CIA che viene descritto nei documenti sull’Operazione Celeste, Corell crede che le agenzie dei servizi segreti americani stiano trattenendo delle prove fondamentali, che potrebbero contribuire a risolvere il mistero intorno alla morte di Hammarskjöld. Corell ha detto di trovare particolarmente preoccupante il fatto di non essere riuscito a ottenere le trascrizioni dei rapporti sul traffico aereo relativi alla notte della morte di Hammarskjöld. Quella notte, l’aeroporto di Ndola non registrò il traffico aereo nonostante avesse le capacità tecniche per farlo. Un diplomatico britannico, Brian Unwin, si trovava all’aeroporto di Ndola la notte della morte di Hammarskjöld e ricorda che nel campo d’aviazione c’erano due aerei americani che avevano lasciato azionati i motori per tutta la notte, alimentando i sospetti che stessero monitorando il traffico aereo. Gli Stati Uniti dicono di non avere registri di comunicazioni radio da parte di Hammarskjöld relative a quella notte, nonostante Southall sostenga il contrario. In risposta alle domande dell’ONU, la Missione degli Stati Uniti alle Nazioni Unite ha anche detto non aver trovato prove della presenza di aerei americani sulla pista quella notte. Corell, però, non ci crede. «Siamo arrivati alla conclusione che gli americani stavano ascoltando tutto quello che si può ascoltare nel cielo», ha detto Corell. «Sono certo che abbiano fatto una trascrizione del traffico aereo».

La mancata chiusura dell’indagine sul caso Hammarskjöld tormenta ancora i parenti delle persone morte nello schianto aereo. Hynrich Wieschhoff, il cui padre morì con Hammarskjöld, è contento del rinnovato interesse dell’ONU per il caso, ma teme che ancora una volta l’attenzione sull’Operazione Celeste non porti da nessuna parte. Nel frattempo, si è detto frustrato per l’approccio dell’ONU all’indagine, che considera troppo discontinuo: limitato, cioè, a indagini sui nuovi fatti mano a mano che emergono. Secondo Wieschhoff, c’è bisogno di «un’indagine vera e propria», che esamini tutte le prove ottenute sia dalle indagini passate che da quelle attuali. Wieschhoff ha dato agli esperti dell’ONU il merito di aver fatto «un lavoro eccellente», nonostante le risorse e il tempo limitati. Al gruppo di esperti, infatti, sono stati dati solo tre mesi per svolgere le sue attività. «Le prove stanno diventando vecchie, i ricordi svaniscono e le persone stanno morendo», ha detto Wieschhoff a Foreign Policy. «Sgombriamo il campo, dimentichiamoci della politica e troviamo una risposta».

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