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  • Martedì 2 agosto 2016

Il caso Khan ha superato un limite?

Verrà digerito dai potenziali elettori di Trump e dal Partito Repubblicano come i precedenti eccessi di Donald Trump o stavolta è diverso?

Khizr e Ghazala Khan alla convention Democratica di Philadelphia, il 28 luglio scorso (AP Photo/Paul Sancya)
Khizr e Ghazala Khan alla convention Democratica di Philadelphia, il 28 luglio scorso (AP Photo/Paul Sancya)

La fase “post Khizr Khan” della campagna elettorale statunitense entra martedì nel suo quinto giorno, e mentre si succedono interventi e sviluppi nella polemica tra Donald Trump e i genitori di un soldato americano musulmano ucciso in Iraq nel 2004, cresce il dibattito tra gli esperti e i commentatori sul suo reale rilievo per il corso della campagna elettorale.

Khizr Khan aveva parlato alla convention Democratica lo scorso giovedì, con la moglie Ghazala al suo fianco, accusando il candidato Repubblicano Donald Trump per le sue parole e le sue minacce contro gli immigrati e i musulmani, ed estraendo dalla sua giacca una copia della Costituzione degli Stati Uniti in un gesto simbolico per contestare a Trump di non conoscerla e rispettarla. Il suo intervento era stato molto commovente per la platea della convention e per molti cittadini americani, ma non era facile valutare quale sarebbe stato il suo peso sulla campagna e la sua influenza su pensieri e opinioni dei potenziale elettori di Trump e sostenitori delle sue idee contro gli immigrati e i musulmani.

Trump stesso aveva però provveduto ad esaltarne l’efficacia con una serie di risposte quasi immediate che sono quelle che hanno fatto montare il caso di cui si parla fino a oggi, risposte qualificate da tutti gli osservatori come un insulto sprezzante contro i genitori di un giovane militare americano ucciso in guerra: prima ribattendo all’accusa di Khan di “non avere sacrificato niente per il suo paese” con l’elenco improbabile di una serie di sacrifici risibili di fronte alla morte di un figlio e inascoltabili da parte di un uomo nella sua condizione di privilegio, e poi dirigendo le sue battute alla signora Khan, secondo Trump succube e silenziosa durante l’intervento di suo marito. La risposta di Ghazala Khan ha finito così per diventare un secondo colpo contro Trump dopo l’intervento del marito.

Solo nelle ultime 24 ore, contro le reazioni di Trump – che intanto proseguono su Twitter con sarcasmi e accuse ai Khan – ci sono stati, tra gli altri: l’intervento di un’associazione di familiari dei militari statunitensi morti in guerra, una battuta indignata del presidente Barack Obama, una severissima risposta di John McCain, decorato ex militare ed ex candidato Repubblicano alla presidenza. E col crescere delle reazioni è cresciuta anche la discussione intorno al peso di questa polemica e del comportamento di Trump: possono essere queste le parole che – a differenza di tutti gli insulti e falsità di cui è stata fatta finora la sua retorica – pesano sulla sua immagine presso gli elettori? O almeno, possono essere le parole che pesano su una parte del partito Repubblicano che lo ha appena nominato ufficialmente suo candidato, ma già con molte divisioni e prese di distanza?

Il dubbio è comprensibile: l’apparente compattezza dei rimproveri e delle accuse contro Trump nella gran parte dei mezzi di informazione in questi giorni sembra proseguire una antica debolezza dei contestatori di Trump. Quella di non sapere riconoscere nei suoi modi e nei suoi annunci anticonvenzionali, violenti, calunniosi, sprezzanti, minacciosi, irrispettosi, un elemento centrale del consenso che ha ricevuto finora: e di giudicarli col metro dei suoi critici e di un pensiero moderato, rispettoso, e tradizionale, che è esattamente quello contro il quale Trump ha costruito il suo successo finora.
I coniugi Khan, per i sostenitori reali e potenziali di Trump, sono quindi quello che sono per Trump, due faziosi prezzolati dal Partito Democratico, appartenenti a una religione minacciosa e stranieri privilegiati dalla benevolenza degli Stati Uniti, che lo attaccano pretestuosamente? Diversi interventi vicini a Trump stanno accusando in questi giorni Khizr Khan di essere un fiancheggiatore dei Fratelli Musulmani, o un sostenitore del valore della Sharia. O sono due americani sofferenti per il sacrificio che la loro famiglia e altre hanno compiuto per tutta l’America, dimostrando la loro piena ed eroica appartenenza alla patria statunitense, e a cui si deve rispetto?

Dopo quattro giorni, l’impressione è che – col concorso dell’indignazione e della severità di gran parte dei media che stanno dando grande spazio alle reazioni contro Trump – questo “incidente” possa pesare almeno sugli elettori indecisi o sugli esponenti del Partito Repubblicano di maggiore equilibrio. Mentre la gran parte delle sparate di Trump finora erano legittimabili nel discutibile canone del “parlar chiaro” e della campagna “contro il politically correct”, il caso Khan sembra aver superato un limite (dimostrando che il “politically correct” ha sue ragioni e fondamenti persino per i suoi critici, quando lo si calpesta in certi terreni): quello del patriottismo, quello della morte di un giovane soldato, quello del dolore di due genitori, e del dolore e compostezza di una madre. Ed è un limite più difficile da superare dei precedenti che i sostenitori di Trump avevano deciso di ignorare.

Ma è anche vero che i precedenti hanno dimostrato che niente è insuperabile per gli stessi elettori, che le critiche “moderate” contro gli eccessi di Trump mostrano spesso di parlare solo a se stesse, e che la campagna elettorale dura ancora cento giorni in cui ulteriori polemiche si accavalleranno, rimpiazzeranno, succederanno, e lo scandalo di questa occasione potrebbe semplicemente venire rimosso. Sarà quindi anche importante capire cosa ne vorrà fare la campagna di Hillary Clinton, che dopo avere dato spazio alla storia dei coniugi Khan e di loro figlio, con scelta di grande efficacia, si è tenuta da parte in questi giorni comprendendo la delicatezza e i rischi di ulteriori interventi che suonassero strumentali e a loro volta offensivi: per ora le è bastato lasciar fare il lavoro a Trump.

– Luca Sofri: Il “politically correct” e i signori Khan