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  • Venerdì 22 luglio 2016

Il tetro discorso finale di Donald Trump

La convention del Partito Repubblicano statunitense si è conclusa con un discorso "legge e ordine" del suo candidato

di Francesco Costa – @francescocosta

(AP Photo/Carolyn Kaster)
(AP Photo/Carolyn Kaster)

A Cleveland, negli Stati Uniti, la convention del Partito Repubblicano statunitense – a tratti caotica e imprevedibile – si è conclusa con il discorso di Donald Trump, l’imprenditore che ha vinto le primarie e che martedì è stato formalmente indicato come candidato del partito alle elezioni presidenziali dell’8 novembre. Intorno al discorso di Trump – trapelato sui giornali già nel tardo pomeriggio, diffuso da un comitato pro-Clinton – c’è stato il solito spettacolo delle convention americane, fatto di persone entusiaste, cartelli, spille, palloncini, musica e coriandoli: il discorso di Trump, però, è stato uno dei più tetri che si ricordi da parte di un candidato alla presidenza degli Stati Uniti.

Nel corso del discorso Trump si è definito più volte il candidato «della legge e dell’ordine», descrivendo un paese in cui la criminalità e la violenza sono fuori controllo. Tutto il discorso ha girato attorno al tema della sicurezza e della protezione degli americani: dagli immigrati, dal terrorismo, dal crimine, dalle tasse, dalla globalizzazione, dai trattati di libero scambio. Trump ha detto di voler rappresentare le persone ai margini della società, le «vittime di un sistema truccato», a un certo punto facendo direttamente appello anche agli elettori di Bernie Sanders, il senatore socialista che ha sfidato Hillary Clinton alle primarie del Partito Democratico.

«Ho visitato le fabbriche che hanno licenziato lavoratori, e le comunità che sono state distrutte da questi terribili e ingiusti trattati commerciali. Queste sono le persone dimenticate dal nostro paese. Persone che lavorano sodo ma che non hanno più una voce. Io sono la vostra voce»

Trump ha dedicato buona parte del suo discorso alla lotta alla criminalità, citando statistiche che mostrano come i reati sono aumentati nelle 50 più grandi città americane (anche se complessivamente negli Stati Uniti i reati sono in diminuzione da decenni). Proseguendo su quanto tracciato da molti altri discorsi lungo la convention di questi giorni, Trump ha descritto l’America come un paese allo sbando, nel caos e in gravissimo declino, con un sistema dell’immigrazione fuori controllo e una politica estera disastrosa che permette ai suoi rivali di fare quello che vogliono. Anche per questo Trump ha detto di voler mettere l’America al primo posto e farla finita col «globalismo».

«La differenza più importante tra le nostre proposte e quella dei nostri avversari è che noi mettiamo al primo posto l’America. L’americanismo, e non il globalismo, sarà il nostro credo. Finché saremo guidati da politici che non mettono l’America al primo posto, potete star certi che gli altri paesi non ci tratteranno con rispetto. Tutto questo cambierà nel 2017. Il popolo americano verrà di nuovo prima di tutto il resto. Cominceremo con il ripristinare la sicurezza a casa nostra: quartieri sicuri, confini sicuri, protezione dal terrorismo. Non può esserci nessuna prosperità senza legge e ordine»

Trump ha promesso di risolvere – e di farlo velocemente: ha usato più volte la parola «fast» –problemi di enormi proporzioni, dalla criminalità al terrorismo internazionale. A un certo punto ha detto esplicitamente che «il crimine e la violenza che affliggono la nostra nazione finiranno presto. Da gennaio del 2017, la sicurezza sarà ripristinata». Obiettivi così ambiziosi, probabilmente irreali, avrebbero richiesto qualche spiegazione concreta sul “come”: ma come fatto dagli altri oratori durante il resto della convention, Trump ha sempre parlato solo dei risultati che intende ottenere senza mai nemmeno accennare a come ottenerli. Nel suo discorso di stasera Trump ha promesso di operare un taglio delle tasse di proporzioni storiche, ma allo stesso tempo di tagliare anche il debito pubblico e aumentare gli investimenti in infrastrutture; ha promesso di abolire e sostituire la riforma sanitaria di Barack Obama, ma senza dire con cosa; ha promesso di sconfiggere l’ISIS e fermare l’immigrazione, ma senza spiegare come.

In diverse occasioni Trump ha criticato – attribuendole ai Democratici – scelte politiche che sono state innanzitutto compiute dai Repubblicani: per esempio l’invasione dell’Iraq del 2003 oppure i molti trattati commerciali firmati nel corso degli anni dagli Stati Uniti con paesi come Canada, Messico, Cina e Giappone. La platea dei delegati però ha sempre applaudito con gran forza, scaldandosi soprattutto quando Trump ha detto le cose più dure su Hillary Clinton e in generale sull’establishment politico statunitense – tanto che a un certo punto, quando i delegati hanno cominciato a cantare «In galera! In galera!», lo stesso Trump ha frenato dicendo: «battiamola a novembre».

Trump ha concluso il suo discorso – ben costruito, per nulla improvvisato e sgangherato come i primi della sua campagna elettorale – con un nuovo appello alle persone lontane dalla politica e deluse da come vanno le cose negli Stati Uniti.

«La mia avversaria chiede ai suoi sostenitori di recitare una promessa di lealtà: “I’m with her”. Io ho scelto di recitare una promessa diversa. “I’m with you”. Io sono la vostra voce. A ogni genitore che ha sogni per il futuro del suo bambino, a ogni bambino che ha sogni per il suo futuro, io vi dico questo stasera: sono con voi, combatterò per voi, vincerò per voi»

Le attenzioni sulla campagna elettorale statunitense si spostano adesso a Philadelphia, in Pennsylvania, dove da lunedì sarà il Partito Democratico a tenere la sua convention, nel corso della quale sceglierà ufficialmente Hillary Clinton come candidata. È atteso per venerdì, intanto, l’annuncio del candidato vicepresidente di Clinton.