Le previsioni del FMI per l’Italia

Qualcosa si muove, ma lentamente: e oltre alla fragilità delle banche ci sono diversi altri problemi

Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan (FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)
Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan (FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)

Il Fondo Monetario Internazionale ha diffuso il proprio rapporto annuale sull’Italia (Rapporto Articolo IV) e scrive che le cose non vanno molto bene, che il paese è vulnerabile e la sua situazione – dovesse deteriorarsi – potrebbe avere effetti a catena sul resto d’Europa e del mondo. In particolare, il Fondo Monetario Internazionale dice che l’Italia non potrà recuperare quanto perso con il crollo finanziario del 2007 almeno fino alla metà del 2020: «L’economia italiana sta recuperando gradualmente», ma il processo di guarigione sarà molto probabilmente «prolungato e soggetto a diversi rischi». Durante questo lento recupero, il paese crescerà poco rispetto ad altri paesi che usano l’euro come moneta, mentre le sue banche continueranno a essere fortemente esposte a shock economici.

Come hanno già scritto negli ultimi giorni altri analisti e giornali internazionali, uno dei punti più deboli dell’Italia è la fragilità delle banche, che dopo il referendum su Brexit hanno perso moltissimo valore in borsa, come già capitato altre volte in concomitanza di altri guai economici mondiali. Unicredit, la più grande banca d’Italia e una delle più grandi d’Europa, ha perso un terzo del suo valore dal 23 giugno, e le sue azioni sono scese di quasi il 4 per cento. Il principale problema sono i “non performing loans” (NPL), ossia i crediti che le banche italiane non riescono più a riscuotere, che pesano su tutto il sistema finanziario e rendono difficile erogare nuovi prestiti. Di fatto circa il 18 per cento del totale dei crediti erogati dalle banche italiane rischia di non essere restituito, dice l’FMI, e questo tasso è «uno dei più alti della zona euro». Le regole internazionali stabiliscono che le banche devono aver un certo rapporto tra il denaro che conservano liquido o quasi (il capitale di “alta qualità”) e i prestiti che erogano. La misura serve a evitare che le banche prestino troppi soldi e si ritrovino esposte ai rischi.

(I guai delle banche italiane, spiegati)

I rischi a cui è esposta l’Italia non derivano solo dai ritardi nell’affrontare la situazione delle banche, ma anche dal rallentamento del commercio mondiale in generale che pesa sulle esportazioni, dall’afflusso di rifugiati e dalle minacce alla sicurezza che potrebbero complicare ulteriormente la situazione. Altre debolezze individuate dal Fondo Monetario Internazionale sono la bassa produttività, l’alto tasso di disoccupazione (11,4 per cento nel 2016) e il debito pubblico stimato al 132,9 per cento del PIL nel 2016 e al 132,1 per cento nel 2017: «In termini nominali è il debito più alto nell’area euro. In percentuale al PIL è il secondo più alto dopo la Grecia».

Per tutti questi motivi, secondo il Fondo sarebbe dunque a rischio la crescita economica del paese, le cui previsioni sono state abbassate rispetto alle previsioni iniziali e che si stima rimarrà sotto l’1 per cento per quest’anno e intorno all’1 per cento nel 2017: «Se i rischi al ribasso della crescita italiana dovessero materializzarsi, le ricadute regionali e globali sarebbero consistenti, visto il peso specifico dell’economia italiana». La fiducia nell’Italia, c’è scritto ancora nel rapporto, «è migliorata» per «gli importanti sforzi di riforma» del governo che dovranno però essere completati e messi in pratica. Inoltre sarà fondamentale continuare a sostenere, conclude l’FMI, le riforme del settore finanziario italiano.