Come sono andate le cose a Fermo

A che punto sono le indagini sulla morte del profugo nigeriano aggredito da un violento razzista

La signora Chinyery, vedova del nigeriano Chidi Nnamdi, Fermo, 7 luglio 2016 (ANSA/ ALESSANDRA MASSI)
La signora Chinyery, vedova del nigeriano Chidi Nnamdi, Fermo, 7 luglio 2016 (ANSA/ ALESSANDRA MASSI)

Pur essendo largamente confermate le implicazioni razziste di quello che è successo e la responsabilità materiale dell’accusato, l’omicidio di mercoledì sera di un richiedente asilo nigeriano a Fermo è sotto indagine da parte della magistratura per capire esattamente come siano andate le cose. Ci sono infatti diverse versioni che vengono raccontate sui giornali di oggi: c’è la versione della compagna dell’uomo ucciso, quella dell’omicida sotto accusa e quella dei testimoni.

Che cosa è successo
Giovedì 7 luglio Emmanuel Chidi Namdi, un uomo nigeriano di 36 anni che aveva chiesto asilo in Italia e che da un giorno era in coma irreversibile dopo essere stato aggredito e picchiato a Fermo, nelle Marche, è morto.

L’aggressore, Amedeo Mancini, un uomo italiano di 39 anni, ultrà della Fermana descritto dai giornali come vicino a gruppi neofascisti e di estrema destra, già conosciuto dalle forze di polizia e sottoposto a Daspo, aveva incrociato Emmanuel Chidi Namdi e la sua compagna che passeggiavano per la strada e li aveva insultati con epiteti razzisti chiamando la donna “africans scimmia”: dagli insulti e dalle provocazioni era nata una discussione e poi uno scontro fisico molto violento. Anche la donna è rimasta coinvolta ed è stata lievemente ferita alle braccia e a una gamba, riportando lesioni giudicate guaribili in sette giorni.

La mattina di giovedì 7 luglio Mancini – che in un primo momento era indagato ma era libero – è stato fermato con l’accusa di omicidio preterintenzionale aggravato dalla finalità razzista e si trova in carcere. Ieri è stato interrogato.

Emmanuel Chidi Namdi e la sua compagna (chiamata Chinyere, Chinyery o Chimiary, a seconda dei giornali) vivevano dallo scorso novembre nel seminario arcivescovile della Fondazione “Caritas in veritate” guidata da don Vinicio Albanesi. La coppia era scappata dalla Nigeria dopo che l’organizzazione terrorista Boko Haram aveva incendiato una chiesa: nell’attacco erano morti i genitori di entrambi e una loro figlia. Namdi e la compagna erano arrivati in Italia attraverso la Libia; durante la traversata verso Palermo la donna, che era incinta, era stata picchiata sul barcone e aveva abortito. A Fermo i due si erano sposati, ma non avendo i documenti il matrimonio non è stato formalizzato.

Il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che ieri si trovava a Fermo per partecipare a una riunione straordinaria sull’ordine e la sicurezza, ha detto durante una conferenza stampa che alla compagna di Namdi sarà riconosciuto lo status di rifugiata.

Come sono andate le cose
Cosa sia successo esattamente non è ancora del tutto chiaro e ci sono almeno due momenti che sono molto diversi a seconda di chi racconta la storia. Chinyere ha detto che lei e Emmanuel Chidi Namdi stavano passeggiando quando sono stati prima insultati e poi aggrediti. Mancini, che è stato interrogato ieri dai pubblici ministeri, sostiene che lui e un amico avrebbero visto la coppia di nigeriani, insieme a una terza persona che si è subito allontanata, armeggiare intorno a un’auto parcheggiata. Per paura che volessero danneggiarla o rubarla avrebbero chiesto alla coppia di allontanarsi.

La seconda cosa da chiarire riguarda chi si è avvicinato per primo e chi per primo ha aggredito chi. Su questo punto le versioni di Chinyere e quella di Mancini e di due testimoni che hanno assistito alla scena sono diverse. La compagna di Namdi, intervistata oggi su Repubblica ha detto: «Eravamo usciti per comprare una crema per il corpo. Passeggiavamo, quando all’improvviso quei signori hanno cominciato a insultarmi. “Africans scimmia”, “africans scimmia”. (Mancini) mi ha preso, mi ha spinto, mi ha dato un calcio. Emmanuel mi ha difeso. Quel segnale stradale l’ha preso l’uomo italiano, però, poi lo ha colpito. Ed Emmanuel è caduto per terra».

Due donne che hanno visto la scena hanno raccontato una lite e colpi reciproci: Namdi, scrive Repubblica riportando le parole delle testimoni tra virgolette senza però chiarire a quale delle due donne si riferiscano, «sferrava colpi tipo mosse di karate, e la donna colpiva quest’ultimo con le scarpe urlando “chi scimmia?… Chi scimmia?». Dopodiché sarebbe stato Namdi a prendere «un cartello stradale munito di pedana e zavorra e, dopo averlo sollevato, a spingerlo contro l’altro uomo colpendolo a una spalla e facendolo cadere». A quel punto Mancini si è rialzato e avrebbe fatto cadere Namdi con un pugno alla testa (Mancini era un pugile).

La Stampa riporta il nome e il racconto di una delle testimoni: «La parrucchiera Pisana Bacchetti arriva che la rissa è già cominciata, “ero in macchina e non so dire chi abbia cominciato. C’era il nigeriano con un palo della segnaletica stradale in mano, blu con la freccia bianca. Ha colpito Amedeo (Mancini) allo stomaco, e poi glielo ha tirato addosso quando è caduto. Anche la ragazza picchiava. Mordeva. L’altro giovane cercava di separarli ma non c’è riuscito. Amedeo si è rialzato e ha colpito il nigeriano con un pugno. Quello è caduto. Ha sbattuto la testa sul marciapiede. Ho chiamato io la polizia». Che sia stato Namdi a prendere il cartello lo avrebbe raccontato anche Mancini durante il suo interrogatorio. Il Corriere della Sera riporta le parole di Mancini: «quello (cioè Namdi) ha cominciato a menare per primo tirandomi addosso il cartello stradale».

Il Corriere aggiunge che la Procura sembra ritenere corretta quest’ultima versione, e cioè che sia stato Namdi ad andare per primo contro Mancini con il tubo del cartello facendolo cadere a terra. Ma precisa: «A questo punto, secondo i pm, mentre Emmanuel si allontanava dal luogo della rissa — “manifestando con tale gesto di aver posto fine alla lite e abbassando la guardia” — è stato raggiunto da Mancini che gli ha sferrato un violento pugno al volto: tramortito, l’uomo è caduto rovinosamente a terra».