La rinascita di Volvo

Come i produttori delle auto da "radical chic" – vi risulta? – sono riusciti a rialzarsi dopo la crisi di sei anni fa, grazie a un compratore cinese

Hakan Samuelsson, amministratore delegato e presidente di Volvo, vicino a un nuovo modello di XC-90 (AP Photo/Keystone,Sandro Campardo)
Hakan Samuelsson, amministratore delegato e presidente di Volvo, vicino a un nuovo modello di XC-90 (AP Photo/Keystone,Sandro Campardo)

Volvo, grande società svedese produttrice di auto, sta vivendo un momento di rinascita dopo la grave crisi che all’inizio del decennio la portò vicino alla bancarotta. Nel primo trimestre del 2016 il suo margine operativo, una delle principali misure della redditività di una società, è passato da 0 nello stesso periodo del 2015 a +7,5 per cento, più dei principali operatori del settore “premium”: BMW, Mercedes-Benz e Audi. Il suo principale SUV, l’XC-90, ha vinto più di cento premi in tutto il mondo ed è arrivato vicino a ottenere il riconoscimento “Auto europea dell’anno”, oltre ad aver vinto il “North American Truck of the Year” del 2016. Secondo gli esperti e gli stessi amministratori della società, questi successi derivano proprio dagli anni della crisi e dalla fiducia che i nuovi proprietari cinesi hanno dato ai manager della società.

Fondata nel 1927, Volvo è una casa automobilistica europea storica. Il suo settore è quello dei veicoli “premium”, di cui è il quinto produttore in Europa, anche se a una certa distanza dai suoi principali concorrenti. Fino ad anni piuttosto recenti, Volvo produceva automobili considerate molto sicure ma piuttosto brutte (“boxy”, dicono gli anglosassoni, cioè “squadrate”). Soprattutto negli Stati Uniti erano accompagnate dalla fama di auto preferite delle élite di sinistra. Si tratta di un’associazione che deriva probabilmente dal fatto che le Volvo sono sicure ma poco appariscenti, più attente ai consumi che alle prestazioni. Una ricerca del 2011 ha confermato che la Volvo C30 era la seconda auto preferita dagli elettori del Partito Democratico, dopo la Honda Civic Hybrid. Tuttora, quando i conservatori devono dipingere lo stereotipo del ricco di sinistra (il “radical chic”, diremmo in Italia), indicano tra le sue caratteristiche l’amore per la Francia, per il cappuccino e, appunto, per le Volvo: ma è stata ed è ancora anche una macchina amata da surfisti, fricchettoni e gente di Portland, nelle sue versioni più vintage.

Alla fine degli anni Novanta, Volvo e Saab, un altro produttore di auto svedese, furono acquistate da società americane, rispettivamente Ford e General Motors, ma entrambe le acquisizioni andarono molto male. Dieci anni dopo l’industria automobilistica svedese entrò in crisi ed entrambe le società furono vicine al fallimento. Saab iniziò le procedure di bancarotta, fu acquistata da una società olandese che smise di produrre auto con questo marchio nel 2014. Volvo riuscì a salvarsi, ma a un prezzo che gli svedesi considerarono molto caro: nel 2010 fu ceduta da Ford al gruppo cinese Geely Holding Group, una società che non aveva alcuna esperienza precedente nel mercato delle automobili. L’accordo da 1,8 miliardi di dollari resta ancora oggi una delle principali acquisizioni di società europee o americane effettuate da società cinesi, un tipo di operazione che spesso viene visto con sospetto dalle autorità di controllo occidentali.

I timori che l’acquisizione fosse solo un modo di ottenere le conoscenze tecniche di Volvo per poi liquidare la società si sono rivelati infondati: sei anni dopo, Volvo è rinata. «Il sospetto nei confronti dei cinesi è gradualmente scomparso», ha detto al Financial Times Christer Karlsson, professore alla Copenhagen Business School. Oggi i manager della società dicono che il gruppo Geely ha ridato indipendenza a Volvo, che durante l’era Ford era divenuta sostanzialmente una succursale della società americana, limitando così le sue capacità di sviluppo. Li Shufu, fondatore e amministratore del gruppo Geely, ha detto che con l’acquisizione «gli abbiamo ridato la libertà». Oggi la Cina è il primo mercato di Volvo, con oltre 80 mila auto vendute all’anno.

Le prospettive del gruppo adesso sono molto buone. «Sono ottimista sul futuro della società. Il buon momento di Volvo non è destinato a esaurirsi nel breve termine», ha detto Ian Fletcher, analista della IHS Automotive. Secondo la società di ricerca, Volvo potrebbe quasi riuscire a raggiungere il suo obiettivo di 800.000 auto vendute all’anno entro il 2020. Ma ci sono anche dei rischi. I suoi volumi di vendita sono molto ridotti: mezzo milione di automobili, cioè meno di un terzo rispetto a BMW, Mercedes-Benz e Audi, i suoi principali concorrenti nel segmento “premium”. Significa che la società ha pochi margini di manovra e non può permettersi di sbagliare un modello. Essere così piccoli in un mercato aggressivo rischia di essere un grosso problema: non tutti gli osservatori sono d’accordo nel dire che Volvo riuscirà a far fronte alla sua agguerrita concorrenza.