Guarderemo la tv accelerata

Lo sostiene un giornalista del Washington Post, che guarda film e serie tv a velocità doppia e dice che gli ha cambiato la vita

di Jeff Guo - The Washington Post

(Peter Macdiarmid/Getty Images)
(Peter Macdiarmid/Getty Images)

Ho un’abitudine che fa inorridire la maggior parte delle persone: guardo la TV e i film usando il “fast forward”. Grazie ai computer farlo è diventato sempre più semplice, con enormi risparmi in termini di tempo: quattro episodi di Unbreakable Kimmy Schmidt si guardano in un’ora, e si riesce a far stare un’intera stagione di Game of Thrones in un viaggio in treno di cinque ore. Ho iniziato a guardare la TV usando il fast forward qualche anno fa, per rendere la mia vita più efficiente. Tra webserie popolari, serie d’autore o importate da altri paesi, non ci sono mai state così tante cose da guardare.

Alcuni dirigenti televisivi temono che il settore stia andando più veloce del suo pubblico. Nel 2015 sono andate in onda 412 serie, il numero più alto di sempre, quasi il doppio rispetto al 2009. «C’è davvero troppa televisione», aveva detto l’anno scorso John Landgraf, CEO dell’emittente televisiva americana FX Networks. Il responsabile dei contenuti di Netflix Ted Sarandos – che sta commissionando la produzione di serie tv a una velocità impressionante – rispose che era una sciocchezza: «La televisione non è mai troppa», ha detto. Passiamo in media tre ore al giorno davanti a TV o computer per cercare di stare al passo con le Kardashian, gli Stark, gli Underwood e decine di altri personaggi delle serie più viste, che nell’era della frammentazione del pubblico si sono moltiplicate. Oggi per essere sulla stessa lunghezza d’onda dei diversi gruppi dei nostri amici – che si schierano a favore o contro un personaggio piuttosto che un altro – bisogna guardare serie e programmi in quantità industriale.

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È qui che entra in gioco il trucco di guardare la TV aumentando la velocità di riproduzione di una volta e mezzo o di due volte. È l’ultimo esempio nella tradizione millenaria della tecnologia che cambia la narrazione delle cose. Il concetto dovrebbe essere familiare per molte persone. I lettori di podcast e audiolibri da anni usano funzioni per aumentare la velocità, e le ricerche dimostrano che la maggior parte delle persone preferiscono l’ascolto a velocità accelerata. Negli ultimi anni i software hanno reso più facile fare lo stesso per i video, una cosa impossibile per chi guardava la TV nell’era delle videocassette. I computer oggi permettono di accelerare con facilità qualsiasi video. Anche YouTube ha una funzione per accelerare i video, e un ingegnere di Google ha sviluppato una popolare estensione di Chrome che permette di aumentare la velocità della maggior parte dei video su Internet, inclusi quelli di Netflix, Vimeo e Amazon Prime. Il plug-in è stato scaricato da oltre 100mila persone, e le recensioni sono entusiaste: «Oh mio dio! Rimpiango tutto il tempo che ho sprecato nella mia vita prima di trovare questa gemma», ha scritto un utente.

Aumentare la velocità dei video, però, non è solo una questione di efficienza. In poco tempo ho scoperto che rende anche la visione più piacevole. Guardata a velocità doppia, Modern Family fa molto più ridere: le battute arrivano più velocemente e sembrano più pungenti. Mi sento meno frustrato quando spreco il mio tempo a guardare serie con trame riempitive e violenza gratuita. Il ritmo più sostenuto rende più facile apprezzare lo scorrimento della trama e la struttura delle scene.

Visto che ormai guardo la TV solo sul computer, ho sviluppato anche altre abitudini. Per esempio, non guardo più i programmi in modo lineare: spesso vado avanti e indietro per gustarmi meglio scene complesse, saltando quelle più lente. In altre parole, guardo la TV nello stesso modo in cui leggo un libro. Salto, rileggo, a volte accelero e altre rallento.

Confesso che queste nuove tecniche di visione hanno avuto uno strano effetto sulla mia percezione della realtà. Non riesco più a guardare la televisione in tempo reale. Al cinema mi sembra di soffocare. Ho bisogno di poter andare avanti, tornare indietro, accelerare e rallentare, ed essere in grado di spezzettare la mia attenzione e focalizzarla dove è necessaria. L’obiezione più frequente che sento contro questa tecnica è che rovina l’esperienza del cinema. Annette Insdorf, che insegna cinema alla Columbia, mi ha detto: «A volte guardare un film è come fare l’amore: una seduzione prolungata non è forse più gratificante di brividi momentanei?». Imparando sempre più cose sulla storia e la scienza della fruizione dei media, però, mi sono convinto sempre di più che questo sarà il modo in cui guarderemo la televisione e i film in futuro. Guarderemo i video sfruttando i nostri poteri di manipolazione del tempo. Può darsi che non tutti guarderanno i video accelerandoli come faccio io, ma guarderemo tutti TV e film alla nostre condizioni.

In un certo senso, quello che sta avvenendo al settore ricorda quanto successo alla letteratura quando abbiamo smesso di leggere insieme ad alta voce per iniziare a leggere da soli, in silenzio. A partire dall’inizio del Medioevo le persone non hanno più dovuto riunirsi in gruppi per ascoltare racconti, sapere cosa fosse successo, o studiare la religione. Potevano rimanere da soli con un testo e i loro pensieri, una libertà senza precedenti che ha portato a tumulti politici e religiosi e che ha cambiato per sempre la vita intellettuale. Grazie ai computer, guardare i video sta diventando un atto solitario, fatto al proprio ritmo, e forse anche più analitico. Se come me credete nel potenziale artistico della televisione e dei film, allora forse siamo vicini a un’altra trasformazione culturale: gli utenti che prendono finalmente il controllo del mezzo, migliorandolo.

Per molto tempo, la vita è stata limitata dalla velocità con la quale parlavamo. Nonostante i sistemi di scrittura esistano da millenni, i primi testi erano stati pensati per essere letti ad alta voce, e questo ha fatto sì che la letteratura si sviluppasse al ritmo della parola umana. Molti antichi testi greci e romani, per esempio, non avevano punteggiatura, spazi o minuscole, il che rendeva difficile alla persone capirli senza pronunciare le parole sillaba per sillaba. «I testi scritti erano in sostanza delle trascrizioni, che, come la notazione musicale moderna, diventarono un messaggio intellegibile solo quando si iniziò a leggerli ad alta voce ad altri o a sé stessi», ha scritto lo storico Paul Saenger. Esistono però dei limiti fisici alla velocità con cui possiamo costruire dei suoni, come può confermare chiunque abbia provato a recitare uno scioglilingua. La bocca ha bisogno di tempo per mettersi in posizione per pronunciare la vocale o la consonante successiva. Nella lingua inglese si stima che la velocità normale con cui si parli sia di 200/300 sillabe al minuto, che equivalgono a 150/200 parole al minuto (p/m). Secondo i dati della società di audiolibri Audible, solitamente un libro viene registrato a una velocità di 135 p/m. Nel 1990, uno studio scoprì che le trasmissioni radio avevano una media di 160 parole al minuto, mentre le nostre conversazioni quotidiane, che usano parole più brevi, hanno un ritmo di circa 210 p/m.

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Per gran parte della storia dell’uomo, questa è stata la barriera del suono nella comunicazione delle idee. Non che nell’antichità leggere in silenzio fosse impossibile: era solo molto difficile. Ci sono però racconti che parlano di studiosi che sembravano capaci di assimilare i libri in silenzio. Nel quarto secolo, Sant’Agostino raccontò di uno strano monaco che leggeva senza pronunciare le parole. «Quando leggeva», raccontò, «i suoi occhi esaminavano la pagina e il suo cuore cercava il significato, ma la sua voce rimaneva silenziosa e la sua lingua immobile». Gli storici si chiedono se questi lettori silenziosi fossero considerati dei fenomeni da circo o se semplicemente la pratica fosse inusuale.

Nel Quinto e Sesto secolo la lettura era ancora un’attività di gruppo, in cui una persona leggeva ad alta voce mentre le altre ascoltavano. Anche per gli scrivani che copiavano manoscritti in solitudine, l’atto della lettura era strettamente legato al parlare. A molti monaci del primo Medioevo che avevano fatto voto di silenzio veniva consentito di parlare a bassa voce mentre leggevano, scrive Saenger, dal momento che parlare era considerato parte del processo di lettura. Durante il Medioevo gli scrivani iniziarono a introdurre gli spazi e la punteggiatura nei testi, che resero molto più facile per tutti leggere in silenzio. La pratica fu introdotta nei monasteri attorno al Decimo secolo, per poi diffondersi lentamente nelle biblioteche universitarie qualche secolo più tardi, e nell’aristocrazia europea nel Quattordicesimo e nel Quindicesimo secolo, secondo lo storico Roger Chartier. La tecnica della lettura silenziosa e solitaria liberò le persone dalla lentezza del linguaggio parlato e dal giudizio dei propri pari. Leggere in privato offriva lo spazio necessario per stabile un contatto con il testo e la libertà di pensare in modo critico e a volte eretico. Le opinioni troppo controverse per la lettura di gruppo potevano essere diffuse e consumate in privato. Il risultato, secondo gli storici, fu una fioritura intellettuale, scientifica e spirituale in Europa.

«La lettura silenziosa, in segreto e in privato, spianò la strada a gesti coraggiosi che prima erano impensabili», ha scritto Chartier. «Nel tardo Medioevo, anche prima dell’invenzione della stampa, i testi eretici circolavano sotto forma di manoscritti, venivano espresse idee critiche, e i libri erotici illustrati con le miniature avevano un discreto successo». Chartier definisce la lettura silenziosa come «l’altra rivoluzione», che insieme a quella della stampa e dell’alfabetizzazione di massa, contribuì a creare sia la domanda che l’offerta di una grande quantità di testi scritti. L’aumentata velocità della lettura silenziosa accelererò la diffusione di nuove idee, proiettando la società occidentale verso una scissione religiosa e politica. «La “privatizzazione” della lettura è innegabilmente uno dei principali sviluppi culturali dell’inizio dell’era moderna», ha spiegato Chartier.

Un altro aspetto messo in luce dalla lettura silenziosa fu che la velocità del pensiero umano supera di gran lunga quella della parola. Nelle emittenti televisive si parla a una velocità di circa 160 parole al minuto, ma gli studenti universitari possono divorare un testo senza difficoltà a 300 p/m, che, in media, sembra essere anche il ritmo migliore per la comprensione di un testo. Ovviamente ci sono persone che leggono più lentamente o più velocemente. La bellezza di leggere un testo è che possiamo assorbirlo con il nostro ritmo. Nel caso delle registrazioni audiovisive – perlomeno per gran parte del ventesimo secolo – le cose funzionano diversamente. Se si riavvolge una cassetta o una registrazione di un fonografo troppo velocemente, le voci diventano gracchianti e incomprensibili. Scorrere le registrazioni è rimasta una cosa difficile fino agli anni Cinquanta, quando ci furono una serie di scoperte importanti sulla capacità di parlare.

Pare che i suoni delle parole che pronunciamo siano molto ridondanti. Vocali e consonanti si trascinano più a lungo di quanto sia necessario per essere comprensibili. Alla fine degli anni Quaranta, dei ricercatori di Harvard scoprirono che era possibile “coprire” oltre metà della registrazione di un discorso senza compromettere la comprensione di chi lo ascoltava. Lo stratagemma consisteva nel togliere e rimettere rapidamente l’audio. I vuoti dell’audio erano abbastanza brevi da permettere al cervello di chi ascoltava di riempirli con facilità. Le parole avevano un suono irregolare ma rimanevamo perfettamente comprensibili. «È un po’ come guardare un panorama attraverso una staccionata», hanno scritto i ricercatori, «Nonostante le assi di legno interrompano la vista a intervalli regolari, da dietro la staccionata il panorama viene percepito come se fosse continuo».

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L’onda sonora usata dai ricercatori di Harvard per il loro esperimento. In alto l’onda originale, in basso quella con i vuoti (Miller and Licklider, 1950)

Poco tempo dopo, un gruppo di ingegneri della University of Illinois ebbe un’altra idea: invece di lasciare dei vuoti, pensarono di eliminarli e accorpare le parti restanti della registrazione. Cancellando un millisecondo su due, per esempio, la durata della registrazione si sarebbe dimezzata. Questa nuova tecnica per accelerare il suono, che venne definita come “metodo del campionamento”, aveva il vantaggio di non far sembrare la voce delle persone simile ai versi di roditori.

Negli anni Sessanta, uno psicologo cieco chiamato Emerson Foulke iniziò a condurre esprimenti su questa tecnica. Foulke, che insegnava alla University of Louisville, era frustrato dalla lentezza degli audiolibri per ciechi e decise così di accelerarli. Il metodo del campionamento si rivelò sorprendentemente efficace. Negli esperimenti di Foulke, le parole potevano essere accelerate fino a un ritmo di 250-275 p/m senza influire sui risultati dei test di comprensione del testo delle persone che l’avevano ascoltato.

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Questi limiti si avvicinavano in modo sospetto alla velocità media di lettura degli studenti universitari. Foulke aveva il sospetto che superando le 300 parole al minuto venissero sovraccaricati alcuni processi cerebrali a livello più profondo. Gli esperimenti hanno mostrato che a un ritmo di 300-400 p/m le parole sono ancora comprensibili; il problema era che a quella velocità molte persone non riescono a seguire il flusso rapido delle parole, probabilmente a causa del sovraccarico della loro memoria a breve termine. Per alcune persone ovviamente i risultati erano migliori che per altre. Come per la velocità di lettura, che varia da persona a persona, anche la capacità di comprensione di un discorso accelerato varia a seconda del soggetto. Altri studi hanno trovato un legame con la capacità cognitiva: le persone con intelligenza maggiore, oltre a essere lettori più veloci, erano anche in grado di comprendere meglio le registrazioni accelerate (in passato, l’Agenzia per la sicurezza nazionale statunitense aveva preso in considerazione l’idea di usare i discorsi accelerati nel processo di selezione dei candidati a diventare operatori di codice morse).

La notizia più sorprendente, tuttavia, fu che alle persone ascoltare registrazioni audio accelerate piaceva. Foulke e i suoi colleghi notarono che gli studenti universitari preferivano le registrazioni accelerate del 30 per cento, dalle 175 alle 222 parole al minuto. Secondo studi più recenti, poste davanti alla scelta, le persone aumenteranno la velocità dell’audio in media dal 40 al 50 per cento, accelerandola da 1,4 a 1,5 volte tanto. La tendenza si applica anche ai video, come dimostrato da esperimenti fatti con video conferenze e programmi di Discovery Channel. Sembra che aumentare la velocità di una registrazione prevenga la noia e contribuisca a mantenere le persone coinvolte. «Con un ritmo più lento la mia capacità di attenzione vacilla, e mi concentro troppo sui dettagli», ha raccontato uno dei soggetti di un esperimento a dei ricercatori di Microsoft.

A volte le persone non si accorgono nemmeno di guardare dei video in “fast forward”. Le società via cavo aumentano già oggi la velocità delle serie tv per avere più spazio per la pubblicità. La differenza può essere difficile da percepire, anche perché il cervello si adatta alla maggiore velocità.

Negli anni Settanta e Ottanta il Dipartimento della difesa statunitense iniziò a esaminare la possibilità di usare i discorsi compressi come metodo per migliorare l’apprendimento. Gli esperimenti finanziati dal dipartimento dimostrarono che le persone possono essere addestrate a comprendere meglio le registrazioni accelerate. Solo qualche settimana di esposizione regolare sembrava sufficiente ad alterare il modo in cui le persone percepivano ed elaboravano il linguaggio, portandole a preferire un ritmo di ascolto sempre più rapido. Alcuni di questi cambiamenti avvengono nel giro di minuti. Un esperimento del 1997 ha scoperto che l’ascolto di solo cinque frasi a velocità accelerata migliorava la comprensione del 15 per cento. Questo processo può essere legato al modo in cui il nostro cervello si adatta agli accenti a cui non siamo abituati. Avete mai notato che parlare con una persona con un accento straniero diventa sempre più facile con il passare del tempo? Non sono loro: è il vostro cervello che mette in atto degli adattamenti a breve termine.

Il nostro cervello, però, è capace di adattarsi ai discorsi accelerati anche sul lungo termine. L’allenamento continuo aumenta il tasso di precisione delle persone e la loro abitudine alle registrazioni accelerate. Le scansioni mostrano dei cambiamenti nei modi in cui il cervello reagisce ai discorsi, e molti soggetti dopo essere stati esposti ripetutamente a discorsi accelerati trovavano strani quelli pronunciati a velocità normale. A quanto pare, a me è successa la stessa cosa. Dopo aver guardato video accelerati al computer per qualche mese, la televisione in diretta ha iniziato a sembrarmi insopportabilmente lenta. Ilya Grigorik, l’ingegnere di Google che ha inventato l’estensione per Chrome, ha avuto la stessa esperienza. Grigorik guarda regolarmente video a velocità doppia, accelerandoli o rallentandoli a seconda della complessità degli argomenti. «Tutte le volte che lo spiego, le persone mi guardano in modo strano», ha raccontato, «poi li convinco a provare. All’inizio lo trovano scomodo, ma una volta che si fanno prendere, si fanno prendere davvero».

Facciamo tutti un percorso personale all’interno di un testo. Mi capita raramente di leggere un libro dall’inizio alla fine. Faccio deviazioni, torno indietro, e do sempre una scorsa al riassunto della trama su Wikipedia per sapere cosa succede dopo. Alcuni psicologi della University of California, a San Diego, hanno scoperto che le persone si godono una storia di più se ne conoscono già il finale. Pare che la suspense sia sopravvalutata. Secondo il romanziere russo-americano Vladimir Nabokov, la rilettura era l’unico modo per godersi davvero un romanzo. Riusciamo a percepire gli schemi e i segreti meravigliosi di un romanzo solo alla seconda o terza volta che lo leggiamo. A proposito della prima lettura, Nabokov disse una volta: «Quando leggiamo un libro per la prima volta, il processo molto laborioso dello spostamento degli occhi da sinistra a destra, una riga dopo l’altra, pagina dopo pagina, questo complicato lavoro fisico sul libro, il processo dell’apprendimento del vero tema del libro in termini di spazio e tempo: tutto questo si mette tra di noi e la comprensione artistica».

Non esiste un modo giusto di godersi un libro. Il critico letterario e semiologo francese Roland Barthes incoraggiava a non leggere i romanzi in modo letterale o lineare, ma di girovagare in cerca dei nostri significati. Perché guardiamo ancora la televisione in modo lineare? Perché ci rassegniamo al ritmo deciso dal regista di un film? Non possiamo trovare modi più interessanti per stare sul divano a guardare la televisione? Per molto tempo, la risposta è stata che la tecnologia non lo permetteva. Con l’ascesa dei video sui computer, però, chiunque può decidere come esplorarli. Spesso guardo i reality show a velocità doppia, o ancora maggiore, perché conosco bene i linguaggi di questi programmi. Per me guardare un reality è come sgusciare un granchio: so dove sono le parti succose e quali non sono commestibili. Aumentare la velocità facilita la percezione della struttura di una storia, mentre diminuirla mi permette di gustarmi i dettagli cinematografici. Questi stili alternativi di visione non sono meno illuminanti.

A velocità doppia, la scena delle Nozze Rosse di Game of Thrones passa dall’essere un momento estremamente drammatico a una grande farsa. Si nota lo sforzo dei registi per realizzare un momento molto traumatico, emerge come le scene di morte siano recitate in modo esagerato e come i massacri funzionino nello stesso modo di un tritacarne meccanico industriale.

Di recente ho parlato di come guardo i video a Mary Sweeney, montatrice del film cult e cerebrale Mulholland Drive. Sweeney ha reagito ridendo inorridita: «Tutto quello che hai appena detto è un anatema per un montatore», ha detto. «Se non hai rispetto per il montaggio di un video, prova a farlo tu! È difficilissimo». Sweeney, che insegna anche alla University of Southern California, crede nei privilegi del regista e mi ha raccontato di come riuscirono a eliminare la divisione in capitoli nella versione in DVD di Mulholland Drive per preservare la visione del regista. «Ci sono voluti due anni per realizzare il film, che è stato pensato per essere visto dall’inizio alla fine ininterrottamente», ha detto Sweeney. Personalmente, non sono d’accordo. Mulholland Drive è uno dei miei film preferiti, ma a tratti è volutamente surreale e incomprensibile. La versione in DVD conteneva addirittura degli indizi del regista, David Lynch, per aiutare le persone frastornate dalla trama a capire il film. Consiglio a chi lo guarda per la prima volta di farlo con un telecomando in mano per evitare di finire disorientati. Un uso libero dei pulsanti “fast-forward” e “rewind” permette alle persone di creare connessioni tra sezioni diverse del film.

Peter Markham, che insegna regia all’American Film Institute Conservatory è stato più solidale. «Quest’idea di privacy, di guardare qualcosa in privato e crearsi una propria cattedrale narrativa, è interessante», ha detto. «Ma credo sia soprattutto un’esperienza intellettuale o cerebrale. La narrazione drammatica crea un’esperienza emotiva, viscerale e inconscia: è qualcosa che ha un proprio ritmo e la propria tenacia». Secondo Markham un film è più di un semplice flusso di dialoghi o una di sequenza di eventi. Il tempo delle immagini si imprime nel nostro cervello in modo speciale. «Se si accelera La finestra sul cortile di Hitchcock non si vive la stessa esperienza», ha detto Markham. «È come provare ad accelerare un pezzo di Beyoncé: non serve, è già alla velocità perfetta». Non ci ho pensato subito, ma ovviamente le persone scombinano i pezzi di Beyoncé in continuazione: e funziona. I dj spezzettano le sue canzoni, le remixano, le spalmano su nuovi beat e prendono la sua voce per comporre nuovi pezzi. Anche gli appassionati di cinema di oggi si dedicano a forme creative di remix: mettono insieme montaggi dei loro personaggi preferiti e creano nuovi programmi rimontando scene di altri. L’attore Topher Grace, per esempio, ha realizzato una famosa versione non autorizzata della trilogia prequel di Star Wars, chiamato Episodio III.5: Il Montatore Colpisce Ancora. Chi l’ha visto dice che è una versione riordinata magistrale di quei tre film imperfetti.

Henry Jenkins, esperto di media della University of Southern California, mi ha ricordato che nelle comunità degli appassionati questo riutilizzo creativo avviene da decenni. Per tutta la sua carriera, Jenkins si è occupato dell’ascesa della «cultura partecipativa», cioè dei modi i cui i fan prendono il controllo delle loro storie preferite attraverso le fanzine, la fan art, la fan fiction e, più recentemente, i video. «Gli appassionati rifiutano l’idea che la versione definitiva di un’opera venga prodotta, autorizzata, e regolata da qualche grande società di media», scrisse Jenkins dieci anni fa. «Gli appassionati, invece, immaginano un mondo in cui tutti noi possiamo partecipare alla creazione e alla diffusione di miti culturali fondamentali».

Forse è la cultura dei fan a offrire la visione più ottimistica del futuro della fruizione dei media. Il potere dei registi sta diminuendo, ma la nostra comprensione della loro forma d’arte cresce. Guardiamo sempre di più la tv sul computer, alle nostre condizioni, creando i nostri significati e ottenendone un piacere personale e privato. «Credo che la tua esperienza sia molto simile alla mia», ha detto Jenkins. «Tratto la televisione sempre più come un libro. Capisco pienamente l’analogia, che è un buon modo per pensare al livello di controllo che oggi abbiamo su quello che guardiamo, e che nel tempo è aumentato prima con i videoregistratori, i DVD poi, e oggi con lo streaming e la distribuzione digitale. Stiamo imparando a pensare alla televisione in modo diverso», ha aggiunto Jenksins. Netflix ha semplificato molto questo tipo di visione più attenta. È uno dei motivi che hanno reso le serie tv così popolari negli ultimi anni. Dal momento che il pubblico può recuperare facilmente gli episodi persi – anche se molte persone li guardano uno dopo l’altro per diverse ore – chi crea i programmi può raccontare storie più lunghe e complicate, inserendo meno ripetizioni. Il tasto rewind consente alla televisione di essere un po’ più sofisticata. Se non capisci la prima volta, basta riguardare.

La diffusione della visione solitaria e personalizzata, però, non implicherà la fine della cultura televisiva. Al contrario: le persone guardano un episodio e poi lo sezionano su Twitter; condividono le loro scene preferite e le riguardano di continuo. «Se da una parte la visione dei programmi è diventata un’attività più solitaria e personale, il rovescio della medaglia è che le comunità di fan sono diventate più forti», ha detto Jennifer Holt, una studiosa di media della University of California a Santa Barbara. «Le persone vogliono ancora relazionarsi e avere quel tipo di esperienza sociale, solo che oggi succede tutto online». Questa pratica ha esteso il dialogo tra chi produce e chi consuma la televisione. «I creatori dei programmi, gli autori e i registi oggi sono molto sensibili a quello che la gente su Internet dice dei loro programmi», aveva detto qualche anno fa Paris Barclay, presidente del Directors Guild of America, il sindacato dei registi americano. Braclay, che ha lavorato a programmi come Glee, Empire e Scandal, guardava a questo sviluppo con diffidenza. «Alcuni programmi sono diventati sempre più noiosi perché prendersi dei rischi viene disincentivato», ha detto. «Il pubblico di solito vuole vedere una versione diversa del programma che ama, ma non vuole davvero che diventi qualcos’altro». Ma come sottolinea Jenkins, l’esperto di media, i creatori dei programmi hanno sempre adattato il loro lavoro al pubblico. «Lo storytelling è un mezzo bardico», ha detto, «i bardi come Omero raccontavano una storia in una stanza piena di persone, facendo attenzione a cosa piaceva al pubblico, e cosa no. Era così anche per Dickens, i cui romanzi erano pubblicati in serie. Cambiava punti della trama e personaggi al volo».

Ora che la tecnologia rende sempre più facile modificare il flusso di come guardiamo i film e la televisione, gli spettatori avranno anche la facoltà di cambiare la trama e i personaggi di un programma a seconda dei loro gusti. Dovremmo essere impazienti di vivere in un futuro con una maggiore contaminazione, più teorie assurde dei fan, più equivoci creativi, il tutto reso possibile dai nuovi modi di fruire la televisione, che sia guardando un episodio dietro l’altro, cercando i video sui social network, o addirittura guardando film e programmi usando il fast-forward. Rischiamo di trasformare, forse definitivamente, i modi in cui il nostro cervello percepisce le persone, lo spazio e le emozioni. Non è meraviglioso?

©2016 – The Washington Post