La sentenza della Cassazione sulla stepchild adoption

Ha confermato una precedente sentenza della Corte d'Appello di Roma che aveva autorizzato una donna ad adottare la figlia di sua moglie

(RAUL ARBOLEDA/AFP/Getty Images)
(RAUL ARBOLEDA/AFP/Getty Images)

Mercoledì 22 giugno la Corte di Cassazione ha confermato una decisione della Corte d’Appello di Roma che aveva dato il permesso di adozione di una bambina di sei anni alla convivente della madre naturale. Nelle motivazioni della sentenza, la numero 12962/16, la Cassazione ha spiegato che l’adozione oggetto del ricorso «non determina in astratto un conflitto di interessi tra il genitore biologico e il minore adottando, ma richiede che l’eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice», e ha aggiunto che «prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempre che, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore».

La madre della bambina e la sua compagna si sono sposate in Spagna e due sentenze, di primo e secondo grado, avevano stabilito che la bambina potesse essere adottata dalla compagna della madre naturale. La prima sentenza era arrivata nell’agosto del 2014. La procura di Roma aveva però fatto ricorso contro la decisione della Corte d’Appello, sostenendo che senza una decisione della Cassazione ci fosse il rischio che alcuni tribunali approvassero la “stepchild adoption”, cioè la possibilità che il genitore non biologico adotti il figlio, naturale o adottivo, del partner, e altri no. La decisione della Corte d’Appello riguardo all’adozione della bambina è stata però confermata dalla prima sezione civile della Cassazione, presieduta da Salvatore Di Palma. La sentenza della Cassazione si è basata sulla legge 184 del 1983, che regolamenta le adozioni “in casi particolari”.

La “stepchild adoption” era stato il punto più discusso del disegno di legge sulle unioni civili presentato da Monica Cirinnà: dopo lunghe e dure discussioni e trattative tra i partiti al governo la “stepchild adoption” era stata eliminata dalla legge poi approvata, conosciuta come “legge Cirinnà”. Come spiega il Corriere della Sera:

La stepchild adoption riconosciuta dai giudici è però una forma di «adozione in casi particolari» e come tale limita moltissimo diritti e doveri dei genitori e dei bambini. In particolare con questo tipo di adozione il bambino non acquista la parentela da parte del secondo genitore. Diventa cioè figlio del genitore sociale (in questo caso la seconda mamma che non l’ha partorito), ma non entra nella linea familiare. Non vede quindi riconosciuti cioè né i fratelli, né i nonni, né gli zii, né eventuali cugini dalla parte del genitore sociale. E ha comunque meno diritti di un bambino nato da una coppia eterosessuale.