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  • Martedì 14 giugno 2016

Telefonata a un cacciatore di nazisti

Un estratto del primo capitolo di "I ragazzi che venivano dal Brasile" di Ira Levin, che scrisse anche "Rosemary's Baby"

Gregory Peck nei panni del medico nazista Josef Mengele in I ragazzi venuti dal Brasile (1978) di Franklin J. Schaffner.
Gregory Peck nei panni del medico nazista Josef Mengele in I ragazzi venuti dal Brasile (1978) di Franklin J. Schaffner.

Ira Levin (1929-2007) è noto soprattutto per essere l’autore di Rosemary’s Baby, il romanzo da cui Roman Polanski trasse l’omonimo film del 1968 con John Cassavetes e Mia Farrow, ma ha scritto molti altri libri e opere teatrali da cui sono stati tratti dieci film. Uno tra questi è I ragazzi venuti dal Brasile, girato da Franklin J. Schaffner e interpretato da Gregory Peck e Laurence Olivier, tra gli altri. Racconta la storia di un gruppo di gerarchi nazisti rifugiati in Sudamerica che negli anni Settanta progettano un piano per far rinascere il Reich cercando di far nascere un nuovo Hitler. Peck interpreta Josef Mengele, il medico responsabile degli esperimenti di eugenetica ad Auschwitz, mentre Olivier l’ebreo Ezra Liebermann, un cacciatore di nazisti che scopre il piano di questi superstiti. Nel romanzo Liebermann si chiama Yakov: il personaggio è modellato su Simon Wiesenthal (1908-2005), un famoso cacciatore di nazisti austriaco di origine ebrea. Peck accettò il ruolo di Mengele per poter lavorare insieme a Olivier.

Dopo aver già proposto Rosemary’s Baby lo scorso autunno (il Post ne ha pubblicato un estratto qui) la casa editrice Edizioni Sur ha ripubblicato anche I ragazzi venuti dal Brasile, la cui prima edizione italiana risale al 1977. La storia raccontata nel romanzo è ispirata alla presenza documentata di ex ufficiali delle SS nei paesi sudamericani dopo la Seconda guerra mondiale: Mengele (che visse in Brasile con il nome falso di Wolfgang Gerhard) era uno di loro. L’organo che organizzò e finanziò la fuga degli ex membri delle SS in Sudamerica si chiamava O.D.E.SS.A. (Organisation Der Ehemaligen SS-Angehörigen, cioè Organizzazione degli ex-membri delle SS). Secondo lo storico argentino Uki Goñi i paesi sudamericani furono scelti perché erano rimasti neutrali durante la Seconda guerra mondiale, perché erano a maggioranza cattolica ed erano in molti casi guidati da governi filo-nazisti. Tra i nazisti che vissero in Sudamerica prima di essere trovati e arrestati ci sono  Adolf Eichmann ed Erich Priebke, il responsabile del massacro delle Fosse Ardeatine.

Tra gli altri film tratti da opere di Ira Levin ci sono Trappola mortale (1982) di Sidney Lumet con Christopher Reeve e Michale Caine; Un bacio prima di morire (1991) con Matt Dillon e Sean Young; Sliver (1993) con Sharon Stone; La moglie perfetta (2004) con Nicole Kidman.

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Nel brano, tratto dal primo capitolo di I ragazzi venuti dal Brasile, l’americano Barry Koehler telefona a Yakov Liebermann per dirgli di aver trovato Mengele e di avere ascoltato una sua conversazione con altri nazisti.

***

Ascoltò per cinque minuti, poi interruppe, riavvolse il nastro e ricominciò da capo, dal punto in cui finivano di ammirare quel che diavolo era che ammiravano, e «Aspiazu» diceva: «Lasst uns jetzt Geschäft reden, meine Jungens» e passava, effettivamente, a parlare d’affari. Affari! Gesù!
Questa volta ascoltò per intero il nastro, dicendo «Gesù!» e «Dio onnipotente!» di tanto in tanto e «Oooh, cazzo!», e dopo il tonfo e il lungo silenzio che dovevano corrispondere al tempo impiegato dalla cameriera per portare la ciotola da basso, interruppe e riavvolse in parte il nastro e ne riascoltò alcuni brani, tanto per essere sicuro che esisteva davvero e che non era la fame o qualcos’altro a giocargli un brutto scherzo.
Poi prese a camminare su e giù nei limiti concessigli dalla stanza, scuotendo il capo e grattandosi la nuca, cercando di capire che cazzo doveva fare, in quel letamaio dove chis-sà-chi-non-è-uno-di-loro-o-almeno-uno-pagato-da-loro.
C’era un’unica cosa da fare, decise finalmente, e più presto la faceva meglio era, senza preoccuparsi della differenza di fuso orario. Portò il registratore al comodino e lo posò accanto al telefono; si tirò fuori dalla tasca il portafogli e si sedette sul letto. Trovò il biglietto da visita col nome e il numero, lo infilò sotto l’apparecchio telefonico e sollevò la cornetta, rimettendosi in tasca il portafogli. Chiese il numero del centralino delle interurbane.
La centralinista aveva una voce tenera e sexy: «La chiamo io quando avrò la comunicazione».
«Resto in linea», disse lui, diffidando della ragazza per paura che se ne andasse a ballare il samba da qualche parte. «Presto, per favore».
«Ci vorranno cinque o dieci minuti, senhor».
La ascoltò dare il numero a una centralinista d’oltreoceano e ripassò mentalmente quello che avrebbe detto. Sempre che naturalmente Liebermann ci fosse e non fosse andato a parlare chissà dove o a seguire una pista. Sia a casa, per favore, signor Liebermann!
Si udì bussare piano all’uscio.
«Era ora», disse in inglese e, senza lasciare la cornetta, si alzò, allungò una mano e riuscì a malapena a girare la maniglia quel tanto che bastava per aprire la porta. L’uscio si aprì e il cameriere con i baffi alla tartara entrò reggendo un vassoio coperto da un tovagliolo con la bottiglia di Brahma, ma senza un bicchiere. «Mi spiace d’averci messo tanto tempo», disse. «Alle undici scappano via tutti. Ho dovuto arrangiarmi da solo».
«Va benissimo», disse il giovanotto in portoghese. «Posi il vassoio sul letto, per favore».
«Ho dimenticato il bicchiere».
«Va benissimo. Non mi serve il bicchiere. Mi dia il conto e la matita, per favore».
Firmò il conto, appoggiandolo al muro e tenendolo fermo con la mano in cui stringeva la cornetta; aggiunse una mancia oltre alla percentuale di servizio.
Il cameriere uscì senza ringraziarlo e nel chiudere la porta ruttò.
Non avrebbe mai dovuto lasciare il Del Rey.
Si risedette sul letto, con la cornetta che gli sibilava a vuoto all’orecchio. Si voltò a raddrizzare il vassoio e guardò con un cattivo presentimento il tovagliolo giallo con la scritta Miramar stampata in un angolo a grossi caratteri neri, a prova di furto. L’afferrò e, che diamine, lo strappò via di scatto: il panino era imbottito con generosità, tutto pollo, senza lattuga o altre porcherie. Perdonando il cameriere, ne prese una metà, chinò la testa per addentarlo e ne staccò un grosso morso delizioso. Dio, moriva di fame!
«Ich möchte Wien», disse una centralinista. «Wien!»
Il giovane pensò al nastro e a cosa avrebbe detto a Yakov Liebermann ed ecco, si sentì la bocca piena di cartone; masticò e masticò e in qualche modo il boccone gli andò giù. Posò il panino e prese la birra. Era una birra di ottima qualità, eppure gli parve che avesse un pessimo sapore.
«Non c’è più molto da aspettare», disse la Centralinista Tenera e Sexy.
«Lo spero. Grazie».
«Ecco, senhor».
Un telefono squillò.
Bevve un altro sorso e posò la bottiglia, si asciugò la mano sul ginocchio, si girò un po’ di più verso il telefono.
L’altro telefono squillò, e squillò, e poi qualcuno alzò la cornetta: «Ja?» – chiaro come se parlasse da dietro l’angolo.
«Signor Liebermann?»
«Ja. Wer’st da?»
«Sono Barry Koehler. Ricorda, signor Liebermann? Sono venuto da lei ai primi di agosto, volevo lavorare per lei. Barry Koehler di Evanston, Illinois, ha presente?»
Silenzio.
«Signor Liebermann?»
«Barry Koehler, non so che ora sia nell’Illinoise, ma a Vienna è così buio che non riesco neppure a vedere l’orologio».
«Non sono nell’Illinois, sono a São Paulo, in Brasile».
«Non è che per questo a Vienna faccia più chiaro».
«Mi spiace, signor Liebermann, ma ho i miei buoni mo-
tivi per chiamarla. Aspetti di sapere».
«Non me lo dica, tiro a indovinare; ha visto Martin Bormann. A una fermata dell’autobus».
«No, non Bormann. Mengele. E non l’ho visto, ma ho un nastro con incisa la sua voce. Mentre parla in un ristorante».
Silenzio.
«Il dottor Mengele, ha capito?», ripeté. «L’uomo che comandava ad Auschwitz. L’Angelo della Morte».
«Grazie. Pensavo che intendesse tutt’altro Mengele. L’Angelo della Vita».
Barry disse: «Mi spiace. Lei era così…»
«L’ho inseguito fin dentro la giungla; lo conosco, Josef Mengele».
«Lei stava zitto, dovevo pur dire qualcosa. Mengele è uscito dalla giungla, signor Liebermann. Stasera era in un ristorante giapponese. Non usa forse il nome Aspiazu?»
«Usa un sacco di nomi: Gregory, Fischer, Breitenbach, Rindon…»
«E anche Aspiazu, giusto?»
Silenzio. «Ja. Ma penso che forse il nome sarà usato anche da gente che si chiama davvero così».
«È lui, le dico», insistette Barry. «Aveva con sé metà delle SS. E li spedisce ad ammazzare novantaquattro uomini. C’era Hessen, e Kleist. Traunsteiner. Mundt».
«Senta, non sono sicuro di essere sveglio. E lei? Sa almeno di che sta parlando?»
«Sì! Le faccio sentire il nastro! Ce l’ho proprio qui vicino!»
«Un momento. Cominciamo da principio».
«D’accordo». Barry prese la bottiglia e bevve un sorso di birra; ci restasse lui, stavolta, ad ascoltare il silenzio.
«Barry?»
Ecco, visto? «Sono qui. Stavo solo bevendo un goccio di birra».
«Ah».
«Soltanto un sorso, signor Liebermann; muoio di sete. Non ho ancora cenato e il nastro mi ha messo una tale nausea che non riesco a mangiare. Ho qui davanti a me un magnifico panino imbottito di pollo e non riesco neppure a mandarlo giù».
«Che sta facendo a São Paulo?»
«Lei non ha voluto saperne di me, e così ho pensato di venire quaggiù per conto mio. Sono molto più motivato di quanto lei creda».
«Il problema sono le mie finanze, non la sua motivazione».
«Le ho detto che avrei lavorato gratis; chi mi paga ora?
Comunque, lasciamo perdere. Sono venuto quaggiù, e ho curiosato un po’ in giro, e alla fine ho pensato che la cosa migliore da fare era tener d’occhio la fabbrica della Volkswagen, quella dove lavorava Stangl. E così ho fatto. E un paio di giorni fa ho individuato Horst Hessen; o almeno così mi è parso, non ne ero certo. Adesso ha i capelli argentei, e deve essersi sottoposto a qualche intervento di chirurgia plastica. Comunque, mi è parso che fosse lui e mi sono messo a pedinarlo. Oggi è rientrato a casa presto: abita nella villetta più graziosa che si sia mai vista, con una moglie che è uno schianto e due figlie; e alle sette e mezza, eccolo che esce di nuovo e prende un autobus per il centro. Lo seguo fino a un elegante ristorante giapponese e lui sale di sopra per una riunione privata. C’è un nazista di guardia alle scale, e il pranzo è offerto dal “senhor Aspiazu”. Degli Aspiazu di Auschwitz».
Silenzio. «Vada avanti».
«Così mi sono infilato sul retro del ristorante e ho parlato con una delle cameriere. Duecento cruzeiros più tardi, la ragazza mi ha consegnato un’intera cassetta di Mengele Che Arringa Le Truppe. La voce di Mengele è chiarissima; quelle delle truppe vanno dall’abbastanza chiaro al vago borbottio. Signor Liebermann, partono domani… per la Germania, l’Inghilterra, gli Stati Uniti, la Scandinavia, dappertutto! È un’operazione della Kameradenwerk, ed è una cosa grossa e pazzesca e rimpiango amaramente di essermi andato a cacciare in tutta questa faccenda, si tratterebbe di…»
«Barry».
«…adempiere il destino della razza ariana, per l’amor di Dio!»
«Barry!»
«Cosa?»
«Si calmi».

© Ira Levin, 1967
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