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  • Martedì 7 giugno 2016

Il Regno Unito a due settimane dal referendum sulla “Brexit”

Si vota il 23 giugno, per la prima volta un sondaggio ha detto che sono avanti i favorevoli all'uscita dall'Unione Europea

(Stephanie Pilick/picture-alliance/dpa/AP Images)
(Stephanie Pilick/picture-alliance/dpa/AP Images)

Il prossimo 23 giugno il Regno Unito voterà per decidere se restare nell’Unione Europea. La scorsa settimana, per la prima volta, un sondaggio ha mostrato una maggioranza di persone a favore della cosiddetta “Brexit”, cioè l’uscita dall’Unione. Il sondaggio è stato realizzato da Opinium per il Guardian, che spiega che i dati vanno presi con molta cautela: utilizzando altre metodologie di calcolo, i favorevoli alla permanenza nell’UE sono ancora la maggioranza. È certo però che i due campi sono molto vicini e che l’uscita del Regno Unito dall’Unione, con tutti i rischi e le conseguenze anche per il nostro paese, è una possibilità concreta.

Chi è a favore e chi è contro?
Tutti i partiti di centrosinistra – i Laburisti con qualche esitazione, lo Scottish National Party e i LibDem, cioè il secondo, il terzo e il quarto partito in Parlamento – sono favorevoli a restare nell’Unione Europea. Il Partito Conservatore ha lasciato libertà di scelta ai suoi elettori, ma il suo leader, il primo ministro David Cameron, fa attivamente campagna per restare nell’UE. Il fronte dei contrari è guidato da un altro dirigente dei Conservatori, l’ex sindaco di Londra Boris Johnson (un accanito anti-europeista, famoso per inventare notizie false sulle istituzioni europee quando negli anni Ottanta lavorava come corrispondente da Bruxelles), mentre i partiti che appoggiano il comitato per uscire sono lo UKIP di Nigel Farage e altre piccole formazioni radicali.

Secondo i sondaggi, i favorevoli a restare nell’UE hanno avuto fin dall’inizio della campagna un vantaggio che si è continuamente ridotto, fino ad arrivare alle ultime rilevazioni che danno le due opzioni praticamente alla pari. Gli indecisi, ha notato il Guardian, sono ancora molti: se forzati a una scelta, una significativa maggioranza di loro tende verso il “no” a uscire dall’UE piuttosto che verso il “sì” all’uscita. Il risultato è ancora molto incerto, ma la possibilità di una vittoria del “sì” è diventata realistica, mentre fino a pochi mesi era considerata quasi impossibile.

Perché alcuni nel Regno Unito vogliono andarsene?
Per ragioni non molto diverse per cui lo vorrebbero fare diversi leader politici italiani. Riprendersi pezzi di sovranità ceduti all’Europa, avere più libertà nella scrittura delle leggi, poter controllare in maniera più efficace l’immigrazione e così via. Il tema dell’immigrazione, in particolare, ha sfumature diverse rispetto a come se ne parla di solito nel “continente”. Negli ultimi anni il Regno Unito ha ricevuto una frazione trascurabile di richiedenti asilo rispetto a paesi come Germania, Austria, Grecia e Italia. Per molti britannici il problema sono gli immigrati che arrivano dalla stessa Unione Europea, in particolare dal sud-est Europa (anche noi italiani, insomma).

Cosa succede se vincono i “sì”?
È difficile da dire, ma ci sarebbero di sicuro moltissimi problemi da risolvere. Il più urgente è che i trattati che regolano il passaggio di merci, capitali e persone tra Regno Unito e Unione Europea andrebbero riscritti. I sostenitori del “sì” all’uscita dicono che questo non è un problema: il Regno Unito potrebbe fare come la Norvegia, cioè entrare a far parte dell’area economica di libero scambio europea ma senza immischiarsi nei suoi processi politici. Il Regno Unito importa dall’Europa più di quanto esporti, quindi è probabile che questo procedimento non sarà ostacolato dai paesi europei, ma ci vorranno tempo e negoziati il cui esito non è mai scontato.

Molte aziende europee o che fanno affari in Europa hanno la loro sede nel Regno Unito, per ragioni fiscali e perché Londra è una delle principali capitali finanziarie del mondo. In caso di uscita del Regno Unito dall’UE, e con l’incertezza che regna sui futuri negoziati, è probabile che molte di queste società decidano di ridurre il loro personale a Londra e trasferirlo direttamente sul continente (è così, per esempio, per molte aziende di moda). Ci sarebbero anche grosse conseguenze sul cambio della sterlina e sulla quantità degli investimenti che arrivano nel paese. Secondo gran parte delle istituzioni internazionali, delle grandi banche e dei fondi di investimento, tutta questa incertezza sarebbe potenzialmente molto dannosa per l’economia del Regno Unito, ma non solo.

Perché ci dovrebbe interessare?
È una regola dell’economia: non appena le cose cominciano a mettersi male, mercati e investitori mollano chi gli sembra più debole. La “Brexit” genererebbe certamente preoccupazioni e incertezza: e l’Italia è uno dei paesi dalla situazione più delicata, con bassa crescita, alta disoccupazione e un debito pubblico inferiore soltanto a quello greco. In particolare, è probabile che gli investitori inizino a chiedere immediatamente un premio al rischio più alto per acquistare il debito pubblico italiano, cioè chiedano all’Italia di pagare tassi di interesse più alti, e questo porterebbe a un aumento dello spread, in un momento in cui i conti pubblici italiani sono in delicato equilibrio. È una preoccupazione molto seria: la scorsa settimana il governatore della BCE, Mario Draghi, ha detto che la banca centrale è «preparata a ogni evenienza» in caso di Brexit.