Il modo migliore per scegliere un politico

Non bisogna scambiare la sicurezza per competenza, ma guardare a una cosa in particolare: come se la cava col futuro?

di Adam Grant − The Washington Post

I candidati alle presidenziali americane del Partito Democratico Bernie Sanders e Hillary Clinton durante un dibattito a Milwaukee, Wisconsin, l'11 febbraio 2016 (Win McNamee/Getty Images)
I candidati alle presidenziali americane del Partito Democratico Bernie Sanders e Hillary Clinton durante un dibattito a Milwaukee, Wisconsin, l'11 febbraio 2016 (Win McNamee/Getty Images)

Quando valutiamo un candidato presidente (o un potenziale primo ministro) ci concentriamo molto sulla sua esperienza. Scegliere un presidente basandosi sui suoi risultati passati però è difficile: è come cercare di capire quale tra due ragazzini corre più veloce, dopo averne visto uno tirare una palla da basket e l’altro calciare un pallone. L’analisi dei curriculum non fornisce indicazioni particolarmente utili, dal momento che tutti i candidati avranno avuto incarichi diversi, nessuno dei quali molto attinente alla presidenza. Come si fa quindi a valutare chi è il candidato più adatto a ricoprire la più alta carica di una nazione? I grandi presidenti sono in grado di intravedere cosa riserva il futuro e definire la propria visione di conseguenza. Invece di giudicare i candidati esclusivamente sulla base del loro passato dovremmo valutare se hanno le caratteristiche fondamentali per fare previsioni efficaci.

Nel caso degli Stati Uniti la presidenza è stata contrassegnata da eventi inaspettati. Herbert Hoover non aveva previsto il crollo della borsa del 1929, che scambiò per una normale flessione; Franklin Delano Roosevelt non si aspettava l’attacco a Pearl Harbor; Harry Truman non aveva previsto la Guerra di Corea; John F. Kennedy fu preso alla sprovvista dalla crisi dei missili a Cuba; Jimmy Carter non si aspettava la Rivoluzione iraniana; e George W. Bush fu colto di sorpresa dagli attacchi dell’11 settembre e dalla crisi finanziaria del 2007. Anche se le circostanze specifiche di un dato evento possono comunque essere difficili da affrontare, un presidente sarà meglio attrezzato a guidare una nazione durante una crisi se è già preparato all’eventualità di uno scenario simile. Facendo previsioni più affidabili, poi, potrebbe essere in grado di sventare alcune di queste crisi.

Per capire cosa serve per fare delle previsioni efficaci, lo psicologo politico Phil Tetlock ha analizzato per vent’anni l’accuratezza delle previsioni di eventi geopolitici fatte da esperti e non. Il suo studio ha evidenziato quali sono alcune delle caratteristiche fondamentali che rendono certe persone più accurate di altre. Secondo lo studio l’ideologia non conta: Tetlock ha scoperto che «il modo in cui si pensa è più importante di quello che si pensa». A destra come a sinistra, le persone si dividono in due categorie, le volpi e i ricci (un concetto di cui ha parlato per primo Isaiah Berlin): le volpi sono le persone interessate a molte idee differenti, che vedono il mondo con diverse sfumature e mettono sempre in dubbio quello che sanno; i ricci invece si concentrano su un’unica grande idea che vedono in bianco e nero, e hanno una fede incrollabile nelle loro convinzioni più radicate. Secondo lo studio di Tetlock, i ricci di solito sono le persone che fanno le previsioni peggiori, in quanto non possono fare a meno di cedere alla tentazione di semplificare in modo eccessivo un mondo che invece è complesso. Le volpi se la cavano molto meglio, perché tendono a fidarsi meno delle loro previsioni, ed è proprio questa apertura a una serie di possibilità diverse a produrre previsioni più efficaci. Il problema è che nonostante le volpi siano più brave a prevedere il futuro, gli elettori tendono a preferire i ricci, perché siamo abituati a scambiare la fiducia in se stessi per competenza. Più una persona appare risoluta maggiori sono le capacità che gli attribuiamo, nonostante tra le due cose non ci siano legami. Come spiega Susan Cain, autrice del libro Quiet: «Non esiste nessuna correlazione tra i migliori oratori e le persone con le idee migliori».

Per eleggere il presidente con la visione più accurata del futuro dobbiamo concentrarci meno su cosa i candidati dicono e più sul modo in cui pensano. Sarebbe interessante che i candidati alla presidenza americana nel 2020 partecipassero a una gara di previsioni: si dovrebbe fare in modo che nei quattro anni prima delle prossime elezioni chiunque prenda in considerazione l’idea di candidarsi alla presidenza consegni le sue previsioni su decine di importanti eventi internazionali, che sarebbero poi condivise pubblicamente durante le primarie. Putin sarà ancora in carica? La Corea del Nord userà un’arma nucleare? Ci saranno paesi in cui le macchine che si guidano supereranno quelle pilotate dall’uomo? Alle loro previsioni i candidati dovrebbero aggiungere anche delle stime di probabilità. Personalmente, voterei per il candidato che dimostra di eccellere in due parametri: l’accuratezza nelle previsioni e, altrettanto importante, quanto le sue previsioni migliorano con il tempo. Parafrasando Václav Havel, il drammaturgo che divenne presidente della Cecoslovacchia e guidò la Rivoluzione di velluto, preferirei che venisse eletto un presidente che cerca la verità piuttosto di uno che pensa di averla trovata.

Si potrebbe obiettare che con questo sistema i candidati potrebbero aggirare l’ostacolo assumendo degli esperti di previsioni particolarmente abili; in realtà, non sarebbe un problema: dovremmo eleggere un candidato che ha la saggezza di mettere insieme la squadra migliore. Questo potrebbe comportare dover tendere la mano al partito avversario, come fece il Repubblicano Abraham Lincoln quando invitò il Democratico Edwin Stanton a diventare un membro del suo governo. Iniziare a lavorare il prima possibile con degli esperti di previsioni fa sì che i candidati alla presidenza siano più attrezzati a svolgere bene il loro incarico. Studi dimostrano che lavorando insieme i cardiochirurghi abbassano il tasso di mortalità dei loro pazienti, gli sviluppatori di software realizzano progetti di alta qualità finendoli entro la scadenza, le squadre di basket dell’NBA vincono più partite, e l’equipaggio stanco di un aereo che ha volato insieme per qualche giorno fa comunque meno errori di uno riposato ma che non ha mai volato insieme prima.

Lo stesso concetto si applica al campo delle previsioni: un gruppo formato da persone che hanno esperienze in comune fa previsioni migliori rispetto a quelli composti da persone con le stesse qualifiche ma che non hanno mai lavorato insieme. Un passato di esperienze condivise aiuta i gruppi di lavoro a imparare a sfruttare i propri punti di forza e a compensare le debolezze, a coordinarsi in modo più efficace e a sviluppare una routine produttiva. Non sono i gruppi di lavoro formati dalle persone con più esperienza a ottenere i risultati migliori, ma quelli che hanno lavorato più insieme. Una gara di previsioni darebbe ai candidati un incentivo ad accumulare prima quell’esperienza con i loro consiglieri più importanti.

Le elezioni dovrebbero essere un confronto sulle capacità. La popolarità e l’ideologia dovrebbero avere un peso minore di quanto ne hanno oggi nella scelta di un presidente o di un primo ministro. Trovare il leader migliore significa premiare i candidati che hanno la saggezza di sapere cosa non sanno, che hanno abbastanza fiducia nelle loro capacità di fare previsioni da essere disposti a metterle alla prova, che sono capaci di circondarsi dei collaboratori giusti, con cui condividono del tempo. In questo modo avremo presidenti e primi ministri non solo più preparati a reagire agli eventi del futuro, ma che sono anche in una posizione migliore per determinarlo.

L’autore di questo articolo, Adam Grant, è un professore di management e psicologia alla Wharton School della University of Pennsylvania, ed è l’autore del libro Originals: How Non-Conformists Move the World

© 2016 − The Washington Post