La teoria del cigno nero e tutti noi

Più discutiamo di uno scenario improbabile – Trump che vince le elezioni, il Regno Unito che esce dall'UE – e più ci sembra plausibile (anche se non lo è)

di Leonid Bershidsky – Bloomberg

(FADEL SENNA/AFP/GettyImages)
(FADEL SENNA/AFP/GettyImages)

Fare congetture su come sarà il mondo dopo l’arrivo di un evento relativamente improbabile ma potenzialmente dirompente – come l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea o la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi – è il pane quotidiano degli opinionisti. In fondo la percezione è che questi “cigni neri” – cioè eventi inattesi con gravi ripercussioni – abbiano alte probabilità di verificarsi e in alcuni casi potrebbero essere già stati predisposti dei piani di emergenza. È però utile ricordare come Nassim Taleb, autore del saggio Il cigno nero, definì il concetto nel suo libro del 2007:

Esistono due tipi di eventi rari: a) I cigni neri raccontati, ovvero quelli che fanno parte del dibattito pubblico e di cui è probabile sentire parlare in televisione, e b) i cigni neri di cui nessuno parla, perché sfuggono ai modelli e di cui ci si vergogna a parlare in pubblico, dal momento che non sembrano essere plausibili. Il fatto che nel primo caso la frequenza dei cigni neri sia sopravvalutata e nel secondo gravemente sottovalutata è del tutto compatibile con la natura umana.

Taleb collegò questa osservazione a uno studio di Daniel Kahneman e Amos Tversky che dimostra come le persone pensino che eventi poco plausibili abbiano maggiori probabilità di verificarsi se ne hanno discusso con altri: più si parla di uno scenario, meno questo sembra impossibile.

Negli ultimi anni giornalisti, investitori ed esperti di politica hanno discusso di diversi “cigni neri raccontati”. Nel settembre del 2014 era la possibilità che la Scozia si separasse dal Regno Unito dopo un referendum sull’indipendenza. A fine luglio 2014 alcuni modelli statistici davano la possibilità di secessione al 50 per cento, ma neanche un mese dopo per gli stessi modelli era scesa al 5 per cento. Un anno fa l’argomento sulla bocca di tutti era l’uscita della Grecia dall’Unione Europea; la probabilità che questo evento di portata storica si verificasse aveva raggiunto il 50 per cento dopo che i cittadini greci avevano deciso con un referendum di rifiutare le proposte di riforme dell’UE, a cui era condizionata l’erogazione di ulteriori aiuti finanziari. Poi, quando il governo greco si arrese e approvò un accordo che prevedeva una serie di riforme in cambio di un altro prestito, fu chiaro che il referendum era stato un semplice e inefficace strumento di trattativa, e le probabilità che la Grecia abbandonasse l’UE scesero al 10 per cento.

Oggi è il turno dell’uscita del Regno Unito dall’UE e della vittoria di Trump negli Stati Uniti. Stando alle quote della società di scommesse britannica Ladbrokes la probabilità che il Regno Unito lasci l’UE è del 31 per cento. PredictIt, un sito in cui gli utenti scommettono sull’esito di un evento politico, assegna a Trump il 39 per cento di probabilità di arrivare alla Casa Bianca. A meno che non siate uno scommettitore, sono percentuali altissime per due eventi che, in realtà, hanno pochissime probabilità di accadere.

In una democrazia consolidata è più probabile che un voto popolare – o un’azione diplomatica concertata, nel caso dell’uscita della Grecia dall’UE – abbia un esito ragionevole e relativamente conservativo, piuttosto che uno dirompente e irrazionale. È difficile ricordarsi di un cigno nero per un’elezione in Europa o negli Stati Uniti in questo secolo, nonostante l’ascesa dei movimenti populisti degli ultimi anni. Ci sono stati scossoni e spostamenti nell’opinione pubblica, ma in nessun paese un candidato simile a Trump ha ottenuto la maggioranza e nessun paese ha votato per rompere o abbandonare un’importante alleanza economica. Nei paesi democratici la maggioranza delle persone vuole stabilità ed è disposta a protestare fino a un certo limite. In fondo è il semplice buon senso che fa di questi paesi delle democrazie riuscite.

I veri cigni neri si verificano per questioni su cui il dibattito pubblico è pressoché assente o addirittura inutile. Il Leicester che vince la Premier League, nonostante le quote iniziali delle agenzie di scommesse fossero di 1 a 5.000, è stato un vero cigno nero. Come la rivoluzione ucraina a cavallo tra il 2013 e il 2014. O l’invasione della Crimea da parte di Vladimir Putin nel 2014. Tutti eventi di cui ci si sarebbe vergognati a parlare in pubblico perché erano considerati troppo poco plausibili, finché non hanno iniziato a diventare realtà.

I giornali e chi si occupa di notizie ha interesse ad attribuire probabilità maggiori a eventi dirompenti ma improbabili: fanno notizia, appunto. È possibile che con i loro avvertimenti e scenari distopici i media contribuiscano a conservare il buon senso nella società e a ridurre la probabilità che si verifichino “cigni neri raccontati”, e che siano una difesa in più contro le decisioni sbagliate dell’opinione pubblica.

Taleb, che non ha una grande opinione dei media e delle cose date per scontateha pubblicato a marzo questo post su Facebook:

L’establishment composto dai giornalisti, i mezzobusti che distribuiscono str*****e con il loro bell’eloquio, i gruppetti di burocrati, gli aspiranti lobbisti, i finti intellettuali abbonati al New Yorker, i colletti bianchi attenti solo all’immagine ma vuoti dentro, quelli che cercano di infiltrarsi nei salotti importanti di Washington, e gli altri membri benpensanti delle élite sempre pronte a dire la loro, tutte queste persone non hanno capito il senso di quello che sta succedendo e la sterilità dei loro ragionamenti. Le persone non stanno votando Trump (o Sanders). Le persone stanno finalmente votando per distruggere l’establishment.

Il concetto espresso da Taleb, però, non sembra in linea con la tesi del suo libro. La probabilità che questo “cigno nero raccontato” si verifichi ha buone possibilità di essere sopravvalutata. Se non altro perché ne parlano tutti.

© 2016 – Bloomberg