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  • Venerdì 20 maggio 2016

I Repubblicani che tramano contro Trump

Alcuni dirigenti del partito stanno cercando un candidato disposto a sfidare Trump da indipendente: il problema è che nessuno si vuole immolare

di Philip Rucker e Robert Costa − The Washington Post

Il senatore Repubblicano Ben Sasse (SAUL LOEB/AFP/Getty Images)
Il senatore Repubblicano Ben Sasse (SAUL LOEB/AFP/Getty Images)

Negli Stati Uniti un gruppo di Repubblicani esasperati − tra cui il candidato alle presidenziali del 2012 Mitt Romney, una manciata di consulenti e alcuni dirigenti del partito − stanno tramando per scegliere un candidato presidente indipendente che possa riuscire a tenere Donald Trump lontano dalla Casa Bianca. Questi esponenti del Partito Repubblicano stanno commissionando sondaggi privati, mettendo insieme importanti fonti di finanziamenti e corteggiando potenziali candidati, stando a quanto emerso da interviste con oltre dieci Repubblicani coinvolti nelle discussioni. Questi tentativi, che per tutta la primavera sono rimasti sporadici, si sono intensificati parecchio da quando Trump ha di fatto vinto le primarie del Partito Repubblicano. Le persone coinvolte riconoscono che organizzare una campagna indipendente a questo punto sarà probabilmente un tentativo inutile e sono convinti di avere solo un paio di settimane a disposizione per preparare una candidatura credibile.

Questo gruppo di Repubblicani − di cui fanno parte anche il giornalista William Kristol, il blogger e presentatore Erick Erickson e gli strateghi Mike Murphy, Stuart Stevens e Rick Wilson − sono così disgustati dall’idea che Trump possa diventare presidente da volere agire a tutti i costi. Le loro prospettive migliori sono l’inesperto ma apprezzato senatore Repubblicano del Nebraska Ben Sasse, un conservatore che è diventato uno dei critici più duri di Trump, e il governatore dell’Ohio John Kasich, moderato, ritiratosi dalle primarie Repubblicane il 4 maggio. Mitt Romney, ex governatore del Massachusetts, sarebbe tra le persone che avrebbero avvicinato Sasse e Kasich, secondo diverse persone a lui vicine.

In passato si era pensato anche all’ex senatore Repubblicano dell’Oklahoma Tom Coburn e a James N. Mattis, un generale dei marine oggi in pensione, oltre che all’ex segretario di stato Condoleezza Rice e al generale dell’esercito americano in pensione Stanley A. McChrystal. I “reclutatori” Repubblicani si sono spinti fino al mondo dei reality show per trovare qualcuno in grado di battere Trump con le sue stesse armi sondando Mark Cuban, uno sfacciato imprenditore miliardario proprietario dei Dallas Mavericks, una squadra di basket dell’NBA.

I Repubblicani anti-Trump però si sono sentiti dare sempre la stessa tiepida risposta: No, grazie. «Non la vedo una cosa possibile», ha scritto in un’email Cuban. Cuban − che ha partecipato a Shark Tank, un reality dell’emittente americana ABC in cui degli imprenditori presentano a degli investitori i loro progetti − ha raccontato che le persone che lo hanno contattato, di cui non ha voluto fare i nomi, gli hanno detto che «il suo atteggiamento spaccone e rumoroso, insieme alla sua capacità di stabilire un contatto con gli elettori in modo più personale» avrebbero potuto fare di lui un candidato vincente. «Potrebbe attaccarmi quanto vuole, ma sa che lo rimetterei al suo posto», ha detto Cuban parlando di Trump. «Detto questo, non la vedo una cosa possibile. Non c’è abbastanza tempo».

Per molti professionisti della politica l’idea che un candidato esterno al sistema bipartitico americano possa vincere le elezioni presidenziali è pura fantasia. L’ex sindaco di New York Michael Bloomberg aveva investito una quantità notevole di tempo e soldi per studiare quali sarebbero state le sue possibilità candidandosi da indipendente, per poi concludere a marzo che non sarebbe stata una strada percorribile. A raffreddare ulteriormente le discussioni in corso nella destra americana, poi, c’è il timore che un candidato conservatore indipendente possa essere bollato per sempre come il responsabile della dispersione del voto dei Repubblicani che ha consegnato la vittoria a Hillary Clinton. «Sarebbe la fine della sua carriera: questa persona sarebbe ricordata nella storia come quello che ha portato Hillary Clinton alla Casa Bianca», ha detto Patrick J. Buchanan, un Repubblicano che si era candidato senza successo alla presidenza nel 2000 con il Reform Party e ha un’opinione sprezzante dei tentativi del Partito Repubblicano: «Sono come i topi che nella favola cercano di mettere un campanello al gatto; peccato che non riescano a trovare un topo disposto a farlo».

I sostenitori della scelta di un indipendente stanno cercando di convincere i potenziali candidati sottolineando come il ciclo elettorale del 2016 si sia già dimostrato imprevedibile e possa succedere qualsiasi cosa, per esempio che la candidatura di Trump finisca per affievolirsi sotto i colpi degli attacchi dei Democratici. Inoltre, sostengono questi Repubblicani “ribelli”, un’elezione generale a tre attirerebbe l’attenzione di tutto il mondo e offrirebbe ai candidati un’occasione irripetibile per promuovere le loro idee. Tre persone che stanno lavorando al progetto hanno raccontato che nelle ultime settimane alcuni sondaggisti stanno conducendo studi privati per valutare quanto sia plausibile una candidatura indipendente. Gli ostacoli logistici sono notevoli; la scadenza per candidarsi in Texas − il secondo stato negli Stati Uniti per numero di grandi elettori − è già stata superata (anche se secondo gli organizzatori un eventuale ricorso per inserire un nuovo candidato nelle liste verrebbe accolto), mentre si stanno avvicinando velocemente i termini per la presentazione dei candidati in altri stati, che in molti casi richiedono delle petizioni con migliaia di firme.

Alcuni dei Repubblicani anti-Trump stanno ridimensionando le loro ambizioni concentrandosi sui singoli stati. Murphy, che ha gestito un comitato indipendente a sostegno della candidatura (fallita) dell’ex governatore della Florida Jeb Bush, sta spingendo in questo senso. Il progetto di Murphy prevede un candidato indipendente per quella che ha definito «una missione onorevole» in Colorado, New Hampshire e Ohio, tre stati in bilico che hanno delle regole relativamente morbide per quanto riguarda l’iscrizione alle liste elettorali. «L’idea di portare un candidato di protesta anti-Trump in una manciata di stati in bilico mi piace molto», ha detto Murphy. «Potrebbe far sì che Trump non diventi presidente, contribuendo a importanti campagne elettorali per il Senato e per posizioni minori, dando un’alternativa agli elettori Repubblicani che detestano Hillary Clinton ma la cui morale impedisce loro di votare per Trump». Un altro obiettivo del gruppo è impedire sia a Clinton che a Trump di raggiungere la maggioranza nel collegio elettorale – l’organo che formalmente elegge il presidente – e fare quindi in modo che l’elezione del presidente venga decisa dalla Camera dei Rappresentanti, come previsto dal 12esimo emendamento della Costituzione americana (il cosiddetto scenario 1824, che prende il nome dall’anno in cui Andrew Jackson ottenne la maggioranza relativa dei grandi elettori e del voto popolare alle elezioni presidenziali ma venne sconfitto alla Camera da John Quincy Adams).

Non è chiaro se i ricchi finanziatori Repubblicani sarebbero disposti a investire su un candidato con così poche probabilità di vittoria. Dan Senor, ex consulente di Mitt Romney e amico dello speaker della Camera Paul Ryan, ha spiegato come sarebbe strutturata un’eventuale campagna indipendente ad alcuni importanti finanziatori del Partito Repubblicano anti-Trump, che si sono detti disposti a investire nel caso si facesse avanti il candidato giusto. Spencer Zwick, che nel 2012 fu il responsabile dei finanziamenti nazionali della campagna di Romney, ha detto che «se questa fosse solo un’opzione anti-Trump, senza possibilità di vittoria − una missione kamikaze, in altre parole − non sono sicuro che ci sarebbero abbastanza finanziamenti. Se ci fosse invece un’alternativa reale, le cose cambierebbero. Ma chi è disposto a farlo?».

Un candidato plausibile è ovviamente Kasich, che durante le primarie Repubblicane si è descritto come un pragmatico apprezzato da entrambi gli schieramenti. Da quando si è ritirato, Romney e altri Repubblicani hanno cercato di convincerlo a candidarsi da indipendente. I consiglieri di Kasich però hanno scartato l’idea: «Il governatore non sta prendendo in considerazione l’ipotesi e non si candiderà da indipendente», ha detto il suo portavoce Chris Schrimpf. John Weaver, il principale stratega di Kasich, parlando dei “corteggiatori” del governatore ha detto che «hanno avuto molto tempo e molte occasioni per influenzare la nomina del candidato Repubblicano in modo costruttivo, ma per qualche strano motivo non l’hanno fatto. L’idea di candidare un indipendente, soprattutto nel modo in cui vogliono farlo loro, non sarà efficace e non è concreta». Un collaboratore di Romney non ha voluto commentare. Romney ha criticato duramente Trump in pubblico in questi mesi, e in un post su Facebook di mercoledì 11 maggio lo ha attaccato per non aver reso pubblica la sua dichiarazione dei redditi.

Romney ha parlato anche con Sasse. Il 44enne è diventato il potenziale candidato preferito dalle élite conservatrici da quando l’anno scorso è diventato senatore. Il portavoce di Sasse, James Wegmann, si è rifiutato di commentare. Sasse è un conservatore convinto ma razionale e pragmatico, ed è considerato da alcuni dirigenti del suo partito come un futuro candidato alle presidenziali: si è molto discusso di un suo post sui social media in cui ha dichiarato di non poter sostenere Trump e di volere «un terzo candidato conservatore e difensore della costituzione». Gli elettori però non sembrano desiderare particolarmente che quel candidato sia lui.

Il 4 maggio i sostenitori di Sasse hanno fondato un comitato non ufficiale chiamato “Scegliete Sasse”, che oggi ha poco più di 700 follower su Twitter e 120 “mi piace” su Facebook. In pubblico Sasse ha ripetutamente scartato l’idea di una sua candidatura − «La risposta è no», ha ribadito Wegmann − anche se i Repubblicani che hanno parlato con lui sostengono che non avrebbe ancora chiuso del tutto la porta. Nel frattempo Sasse non disdegna l’attenzione pubblica: lunedì 16 maggio ha tenuto il discorso di apertura all’American Enterprise Institute, un centro studi di Washington, parlando di economia. In generale, prendere posizione su Trump potrebbe dare a Sasse un vantaggio sui suoi ambiziosi rivali nel caso Trump perdesse le elezioni a novembre, in un periodo in cui il Partito Repubblicano sta cercando nuove figure di spicco per ricostruire il partito. Uno dei sostenitori di Sasse è Stevens, l’ex stratega di Romney. Come molte delle altre persone che stanno discutendo della possibilità di una candidatura indipendente, Stevens considera Sasse come un ottimista che sarebbe l’antidoto perfetto a Trump e Clinton, due candidati estremamente polarizzanti. «Non ho mai incontrato Ben Sasse e non sono in contatto con lui, ma quello che dice mi tocca davvero», ha detto Stevens, «il suo modo di parlare è fantastico e ha ragione. Se Ben Sasse si candidasse sarei pronto a scommettere che alla fine avrebbe un gradimento più alto di qualsiasi altro politico nazionale».

I Repubblicani che stanno lavorando a una candidatura indipendente sono solo una piccola parte di un movimento nato durante le primarie e noto come “Never Trump”. Molti dei Repubblicani che sono stati contro Trump in passato − dall’ex governatore del Texas Rick Perry al senatore della Florida Marco Rubio − ora si stanno schierando con lui, anche se non sempre in modo entusiasta. «È un gruppo molto superficiale», ha detto Ed Cox, presidente della sezione di New York del Partito Repubblicano e sostenitore di Trump. Secondo Cox la maggior parte degli organizzatori sono Repubblicani a cui interessano più «i loro costrutti intellettuali» che «la voce del popolo».

Due figure centrali nelle discussioni sulla scelta di un candidato indipendente sono Kristol, direttore del settimanale americano Weekly Standard, ed Erickson, un conduttore radiofonico. Mentre Kristol si muove da solo e ha incontrato in privato Romney e altri Repubblicani, Erickson guida con l’ex membro del personale del Senato Bill Wichterman e altre persone un gruppo chiamato “Conservatori contro Trump” che si riunisce regolarmente da mesi. Per un certo periodo Coburn, conosciuto per il suo conservatorismo fiscale, e Sasse sono state le prime scelte del gruppo; Wichterman è tra le persone che hanno contatto Coburn. Secondo alcuni suoi amici, Coburn starebbe ascoltando le proposte ma difficilmente accetterà di candidarsi, in parte per le preoccupazioni sul suo stato di salute.

Questa primavera Kristol aveva anche pensato al generale James Mattis, apprezzato dai conservatori per le sue critiche pubbliche all’amministrazione Obama. A metà aprile Mattis ha incontrato Kristol, Wilson e il consulente del Partito Repubblicano Joel Searby al Beacon Hotel di Washington per discutere dell’organizzazione di un’eventuale campagna. Poco dopo però Mattis ha però preso le distanze dall’idea perché non era pronto a politicizzare la sua reputazione con una campagna con poche possibilità di successo, stando a quanto riportato da persone a lui vicine e informate delle discussioni, che hanno accettato di parlare a condizione di restare anonimi. Tramite un portavoce Mattis ha rifiutato un’intervista.

Kristol ha poi chiesto aiuto a Romney e il 5 maggio i due si sono incontrati all’hotel J.W. Marriott di Washington per discutere dei possibili candidati. Il giorno dopo Kristol ha poi raccontato nei dettagli la conversazione con Romney al Washington Post, irritando alcuni dei suoi collaboratori. La settimana scorsa Kristol ha rifiutato di fare altri commenti. «Queste cospirazioni per il bene pubblico richiedono molto tempo e lavoro!», ha scritto Kristol in un’email, «Ora siamo in una fase delicata ed è meglio non parlare. Posso solo dirvi che sono in corso discussioni serie e c’è una vera programmazione».

Nel frattempo, McChrystal non è più un’opzione. «Non sto prendendo in considerazione l’idea di candidarmi», ha scritto l’ex comandante dell’esercito americano in Afghanistan in un’email. «Ma questa è senza dubbio una campagna elettorale particolare», ha aggiunto.

© 2016 − The Washington Post