• Mondo
  • Venerdì 20 maggio 2016

Cosa succede in Israele, intanto

Netanyahu sta cercando di allargare ancora la sua maggioranza a destra, il ministro della Difesa si è dimesso

Avigdor Lieberman (GALI TIBBON/AFP/Getty Images)
Avigdor Lieberman (GALI TIBBON/AFP/Getty Images)

Il governo di Benjamin Netanyahu in Israele – che con il suo partito conservatore, il Likud, aveva vinto le elezioni anticipate nel marzo del 2015 – ha un controllo politico molto fragile in Parlamento: si regge su una maggioranza di appena un voto alla Knesset, la camera unica israeliana, e Netanyahu sta ora cercando di ampliarla e consolidarla spostandola a destra.

Mercoledì 18 maggio sono ufficialmente cominciati i negoziati tra il Likud e il partito nazionalista Yisra’el Beiteinu, che dopo le elezioni aveva deciso di non partecipare al nuovo governo perché la coalizione che si stava formando, secondo i suoi dirigenti, non era abbastanza di destra. Il leader di Yisra’el Beiteinu è l’ex ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, a cui Netanyahu ha offerto il ruolo di ministro della Difesa. Circola anche il nome di Sofa Landver, esponente di Yisra’el Beiteinu, per il ministero dell’Immigrazione. Oggi l’attuale ministro della Difesa, Moshe Ya’alon del Likud, si è dimesso parlando della poca fiducia nei suoi confronti del primo ministro; la stampa israeliana scrive che i negoziati con Lieberman potrebbero concludersi nel giro di qualche ora. I colloqui con Lieberman sono iniziati dopo il fallimento di quelli con il Partito Laburista di Isaac Herzog.

La maggioranza di governo in Israele è attualmente composta da Likud, Kulanu (partito di centrodestra di cui fa parte il ministro delle Finanze, Moshe Kahlon), Casa Ebraica (partito sionista del ministro della Pubblica Istruzione Naftali Bennett) e dai partiti ultraortodossi Giudaismo Unito della Torah e Shas.

Moshe Ya’alon, da oggi ex ministro della Difesa, pur facendo parte del Likud ha avuto diversi contrasti con Netanyahu. Di recente infatti ci sono stati problemi tra Netanyahu e lo Stato maggiore dell’esercito, che ha preso le distanze dal soldato israeliano che qualche settimana fa vicino a Hebron, in Cisgiordania, aveva sparato alla testa a un attentatore palestinese ferito e immobile, sdraiato per terra. Se n’era parlato molto perché era circolato un video che mostrava la scena; il soldato ora è accusato di omicidio colposo. Netanyahu aveva invece chiamato la famiglia del soldato per esprimergli la sua vicinanza e anche Lieberman l’aveva difeso. Ya’alon ha preso le parti dello Stato maggiore. Per non alienarsi Ya’alon, che è comunque un politico molto popolare, Netanyahu aveva preso in considerazione di proporgli il ministero degli Esteri. Ya’alon, dando le sue dimissioni, ha annunciato però che intende ritirarsi dalla vita politica.

Avigdor Lieberman è un ultranazionalista, ha 57 anni e vive in un insediamento in Cisgiordania: ha ripetutamente criticato la politica di sicurezza del governo, giudicandola troppo morbida. Lo scorso marzo aveva chiesto dieci condizioni per un suo ipotetico ritorno al governo. Tra queste: il ripristino della pena di morte per i terroristi, la fine del controllo della Striscia di Gaza da parte di Hamas, la ripresa delle uccisioni mirate dei leader terroristi, la costruzione di duemila nuove unità abitative negli insediamenti in Cisgiordania e il divieto dei partiti arabi di presentarsi alle elezioni. Poco prima delle elezioni del 2015, Lieberman aveva suggerito di “decapitare” gli arabi israeliani “sleali” e di far firmare a tutti gli israeliani un giuramento di fedeltà, altrimenti la loro cittadinanza sarebbe stata revocata.

Il quotidiano Haaretz distingue però i due mandati al ministero degli Esteri di Liberman (il primo del 2009 e il secondo del 2012) e si chiede: «Sarà lo stesso ministro delle provocazioni ai media e della demagogia aggressiva, che ha ottenuto reazioni fredde da molti paesi occidentali e che ha avuto rapporti tesi con l’allora segretario di Stato Hillary Clinton, o sarà il ministro che si è comportato in modo più prudente e calcolato, che ha agito per ridurre le tensioni con l’amministrazione statunitense e ha cercato di arrivare ad una svolta con gli stati del Golfo?». La domanda è fondamentale perché, come ministro della Difesa, Lieberman avrà un ruolo molto importante su alcuni dei più significativi rapporti internazionali di Israele e avrà la responsabilità quasi esclusiva per le questioni diplomatiche che oggi sono al centro dell’attenzione internazionale, in primo luogo la questione palestinese.

Far entrare il partito di Lieberman nel governo permetterebbe al Likud di allargare la sua maggioranza ad altri sei parlamentari. Netanyahu non dovrebbe dunque costantemente preoccuparsi del ricatto interno di alcuni membri del Likud, ma questa apertura verso l’estrema destra rischia di far dipendere il suo governo dalla volontà di Lieberman, suo vecchio avversario personale (qualche settimana fa Netanyahu ha descritto Lieberman come un “dilettante” e “un chiacchierone”). Il tutto avrebbe poi delle conseguenze sui colloqui di pace con la Palestina. Martedì scorso il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi aveva parlato di una necessaria ripresa del dialogo con i palestinesi, sostenendo l’idea di un governo di unità nazionale in Israele. Il giorno dopo Netanyahu ha avviato effettivamente dei colloqui, ma con Lieberman.

Quando la notizia del possibile accordo con Lieberman è cominciata a circolare, i politici israeliani di tutti i partiti si sono detti sorpresi: sia perché Lieberman è sempre stato un avversario politico di Netanyahu sia perché la sua nomina interromperebbe la lunga tradizione di avere un’ex figura militare di alto livello per questo incarico (Lieberman, scrive il Guardian, ha poca esperienza militare: al massimo ha lavorato come buttafuori in una discoteca della Moldavia).

L’ipotesi è stata criticata anche da diversi media israeliani. Il quotidiano di sinistra Haaretz ha detto che la decisione sarebbe «sconsiderata e irresponsabile», che Netanyahu ha scelto l’estrema destra per formare una «coalizione razzista che mira a radicalizzare l’occupazione, espandere gli insediamenti, opprimere la minoranza araba e minare la democrazia nel paese». In un recente editoriale, però, ha scritto anche che potrebbe essere un’opportunità per la sinistra israeliana: per ritrovare l’unione e presentare una «chiara, coerente alternativa alla politica di destra dell’occupazione, del razzismo e dell’oppressione». Un sondaggio condotto negli ultimi giorni dopo l’inizio dei negoziati e pubblicato dal sito Walla ha mostrato che la maggior parte degli israeliani è preoccupata circa la nomina di Lieberman: il 50 per cento pensava che Moshe Ya’alon dovesse rimanere come ministro della Difesa e solo il 29 per cento pensava che Lieberman fosse un sostituto adeguato.