Com’è andata con gli arresti per terrorismo a Bari

Dopo grande allarme e accuse gravissime, un giudice ha smontato tutto: ora la discussione è su quale debba essere la soglia di timore con l'integralismo

Qari Khesta Mir Akhmazai e Mansoor Ahmadzai, due delle persone per le quali era stato emesso un mandato di arresto per terrorismo, in una foto del novembre 2015 scattata nel porto di Bari 
(ANSA)
Qari Khesta Mir Akhmazai e Mansoor Ahmadzai, due delle persone per le quali era stato emesso un mandato di arresto per terrorismo, in una foto del novembre 2015 scattata nel porto di Bari (ANSA)

Martedì scorso a Bari sono stati arrestati tre uomini accusati di far parte di un gruppo terrorista islamista e di aver favorito l’immigrazione clandestina in Italia: la notizia ha avuto grande spazio sui media e nel dibattito politico, per l’allarme che dura da diversi mesi intorno alla possibilità di attentati in Italia. Ma dopo due giorni un Giudice per le Indagini Preliminari ha già annullato il mandato di arresto per terrorismo emesso nei loro confronti: due degli arrestati sono ancora in carcere ma solo per le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. I magistrati di Bari avevano inizialmente ipotizzato che il gruppo fosse legato allo Stato Islamico (o ISIS), ma poi la storia sembra essersi ridimensionata: il GIP di Bari ha detto che «non è stata fornita in alcun modo la prova della sussistenza di attività dimostrative dell’operatività della cellula e della funzionalità di essa al perseguimento della finalità di terrorismo internazionale».

La persona arrestata che in questi giorni è finita di più su quotidiani e telegiornali è stata Hakim Nasiri, 23enne afghano arrestato a Bari per terrorismo e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e poi rilasciato per decisione del GIP, sebbene rimanga l’accusa di favoreggiamento. Secondo il Corriere della Sera, Nasiri si trova da tempo in Italia per chiedere protezione internazionale, che gli è stata garantita sotto forma di un permesso per protezione sussidiaria – una particolare forma di protezione che dura 5 anni – pochi giorni prima dell’arresto, il 5 maggio. Sul cellulare di Nasiri è stata trovata fra le altre cose una foto, poi pubblicata da vari quotidiani italiani, che lo mostra con quella che sembra una mitragliatrice, mentre alcuni giornali avevano mostrato un selfie che si era fatto col sindaco di Bari Antonio Decaro in occasione di una festa locale. Dopo essere uscito dal carcere, Nasiri ha raccontato al Corriere della Sera e a Repubblica che la mitragliatrice era un’arma giocattolo con cui si era fatto una foto in Inghilterra, e di essersi fatto un selfie con Decaro perché «era un vanto» farsi la foto col sindaco.

In Italia poco dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 furono arrestati o espulsi circa una decina di cittadini stranieri. A fine aprile quattro persone sono state arrestate in Lombardia e in Piemonte con l’accusa di far parte di una rete internazionale di terroristi. In Italia il lavoro dell’antiterrorismo è considerato molto buono, e da un paio di anni è stata notata la tendenza ad arrestare o espellere con più rapidità rispetto al passato i sospettati di terrorismo.

Un po’ di ordine
In tutto, come ha ricostruito ANSA, sono coinvolti nell’indagine cinque uomini, quattro afghani e un pakistano. Il pakistano, che si chiama Zulfiqar Amjad, è stato arrestato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e si trova ancora in carcere a Milano. Dei quattro afghani, uno è stato arrestato e poi rilasciato per terrorismo e favoreggiamento all’immigrazione clandestina, cioè Nasiri; un altro, Qari Khesta Mir Akhmazai, era ricercato per terrorismo e favoreggiamento all’immigrazione clandestina e rimane ricercato per favoreggiamento; un terzo cittadino afghano, Surgul Ahmadzai, era ricercato per terrorismo e il GIP ha annullato il mandato di arresto nei suoi confronti. Il quarto afghano, Gulistan Ahmadzai, era accusato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina: è stato arrestato e per ora rimane in carcere.

Riassumendo: al momento in carcere rimangono Amjad, il cittadino pakistano, e Gulistan Ahmadzai, il quarto afghano, entrambi con accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Tre persone erano accusate di terrorismo, ma l’arresto per terrorismo nei loro confronti è stato annullato (anche se resta valido per uno di loro, che è ancora ricercato, ma per favoreggiamento all’immigrazione clandestina). Fra questi tre c’è anche Nasiri: contro di lui le accuse di favoreggiamento sono ancora valide, ma non è stata richiesta la custodia cautelare.

Le accuse formulate dai magistrati di Bari sono molto gravi: la Procura aveva motivato i mandati di arresto spiegando che le persone coinvolte «si associavano tra loro e con altre persone non identificate allo scopo di compiere atti di violenza con finalità di terrorismo internazionale, in Italia ed all’estero, realizzando anche in Italia (oltre che in Francia, in Belgio) un’associazione criminale, costituente articolazione o comunque una rete di sostegno logistico di una organizzazione eversiva sopranazionale di matrice confessionale, funzionalmente collegata all’organizzazione terroristica internazionale denominata Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS)». Insomma, la Procura riteneva che tutti loro fossero in qualche modo legati all’ISIS. Il 10 maggio l’edizione di Bari di Repubblica, attribuendo una dichiarazione ai pubblici ministeri Giuseppe Drago e Roberto Rossi e in un passaggio successivo riassumendo le accuse dei magistrati, ha scritto:

«In particolare – dicono [Drago e Rossi] – l’organizzazione, che aveva disponibilità di armi, predisponeva, tramite la preventiva ispezione dello stato dei luoghi (anche con documentazione fotografica e video), attentati terroristici presso aeroporti, porti, mezzi delle forze dell’ordine, centri commerciali, alberghi oltre che di altri imprecisati attentati terroristici in Italia  e Inghilterra». Gli indizi in tal senso sono le decine di foto e filmati rinvenuti nei telefonini dei componenti della presunta cellula terroristica: sono veri e propri sopralluoghi davanti ad aeroporti (ci sono i video degli interni dello scalo di Palese), porti, centri commerciali, alberghi, sia nel nostro Paese sia in Inghilterra. Gli è stato trovato anche molto materiale ideologico di propaganda jihadista.

Dopo che aveva emesso i mandati di arresto per terrorismo, la procura di Bari aveva diffuso gli screenshot di alcuni video ritrovati nei cellulari sequestrati alle persone arrestate, che sembrano appartenere a video di propaganda islamica. Per quanto riguarda le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ancora Repubblica ha scritto: «due di loro avevano organizzato parallelamente un gruppo internazionale di sostegno all’immigrazione clandestina che tra Bari, Calais e l’Ungheria gestiva i flussi di migranti in tutta Europa».

Cosa dice il GIP
Il 12 maggio, il GIP di Bari ha smontato le accuse di terrorismo che i magistrati di Bari avevano avanzato, ritenendo che malgrado le inclinazioni degli accusati verso il fanatismo islamista non ci fossero indizi sufficienti a far pensare a loro intenzioni violente. «Dall’esame degli elementi probatori deve escludersi la sussistenza di un gruppo impegnato in attività di ricerca, selezione, riproduzione di documenti idonei a diffondere l’idea terroristica, indicando comportamenti e modelli operativi a cui ispirarsi».  Secondo il GIP non è stata provata nemmeno «l’eventuale raccolta di denaro per il finanziamento di attività terroristiche».

Per Nasiri, in particolare, il GIP ha escluso «in maniera decisa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di associazione finalizzata al terrorismo internazionale. […] Nel cellulare di Nasiri Hakim e dalla visione della pagina Facebook sono assenti la riproduzione e la conservazione di scene di martirio, dovendosi quindi escludere che i video ed i fotogrammi estrapolati avessero finalità di addestramento e di allenamento personale al Jihad». In un altro passaggio il GIP sostiene che le indagini hanno evidenziato «al più, l’appartenenza del Nasiri al mondo dell’integralismo islamico», mentre non è stata dimostrata la sua adesione a un gruppo terroristico.

Come si è difeso Nasiri
Repubblica e il Corriere hanno pubblicato diverse dichiarazioni di Nasiri a sua difesa, piuttosto sconclusionate: a Repubblica, Nasiri ha raccontato che suo padre è stato ucciso dai Talebani, che in Afghanistan ha lasciato sua madre e sua sorella piccola e che è venuto in Italia per lavorare. Al Corriere, Nasiri ha detto di vivere in Italia da circa cinque anni, ma a Repubblica ha raccontato che la foto in cui tiene in mano una finta mitragliatrice risale a un anno e mezzo fa, quando lavorava nel Regno Unito. Repubblica lo accusa implicitamente di aver risposto in maniera sfuggente a una domanda sul terrorismo islamico, e gli attribuisce questa dichiarazione: «Ci sono persone buone e persone cattive, l’Europa è piena di telecamere per questo la polizia sa chi sono le persone cattive e deve andare a prenderle. Io non sono bravo a fare discorsi politici, non c’è bisogno di parlare di queste cose, sono complicate». Non è ben chiaro dove Nasiri abbia vissuto negli ultimi anni e quando sia davvero arrivato in Italia: il Corriere della Sera sostiene che il suo domicilio sia il CARA di Bari, che però è una struttura per l’accoglienza temporanea per i richiedenti asilo.

L’avvocato di Nasiri è Adriano Pallasca, che in passato si è già occupato di casi che riguardavano migranti. Pallasca ha raccontato di conoscere da tempo Nasiri, e che l’intera vicenda è stata «ingigantita» a causa di una «semplice foto di una persona con un mitra giocattolo in mano».

Il dibattito
Le decisioni del GIP sembrano ridimensionare e smontare del tutto la sostanza dell’indagine che aveva condotto agli arresti. Ma per alcuni commentatori il tema di dibattito è ora un altro, ed è quello che occupa gran parte delle discussioni nel mondo occidentale sulla sicurezza e la tutela preventiva rispetto agli attentati: ovvero quanto forzare il garantismo e le regole inquisitorie in presenza di rischi straordinari ed emergenziali, e quindi in quale considerazione prendere le inclinazioni fanatiche o integraliste degli accusati anche in assenza di quelle che normalmente sono le prove di concreti progetti criminali. Se, insomma, abbassare l’asticella.