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  • Domenica 8 maggio 2016

Eddy Merckx se li mangiava tutti

Un pezzetto del libro di Claudio Gregori su uno dei più grandi ciclisti di sempre, e sulla sua prima Milano-Sanremo

A marzo la casa editrice 66thand2nd ha pubblicato il libro Merckx, il Figlio del tuono, scritto dal giornalista Claudio Gregori, che in passato ha seguito 12 Olimpiadi e 26 Giri d’Italia. L’ultimo libro di Gregori racconta la storia di Eddy Merckx, il fortissimo ciclista belga nato il 17 giugno 1945: una frase spesso citata nel mondo del ciclismo dice “Coppi è il più grande, Merckx il più forte”. Nella sua carriera Merckx ha vinto di tutto, più volte: cinque Tour de France, cinque Giri d’Italia, una Vuelta di Spagna, tre campionati del mondo su strada e decine di classiche, le più importanti corse di un giorno. Merckx è stato per 12 anni il detentore del record dell’ora e ha vinto sette Milano-Sanremo. La sua prima Milano-Sanremo Merckx l’ha corsa più di cinquant’anni fa, il 20 marzo 1966. Per raccontare la sua storia – “scritta sul pavé, nel fango, nelle tormente di neve, punteggiata di cadute rovinose, nobilitata dai duelli con Gimondi, Ocaña e Fuente” – Gregori parte dalla prima Milano-Sanremo di Merckx, conosciuto come il Cannibale per la sua grande voglia di vincere sempre, tutto. Già il 20 settembre 1966 Merckx la vinse, quella sua prima Sanremo.

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Il ciclista insegue il vecchio sogno persiano di Montesquieu, «la civiltà dell’uccello», in contrasto con «la civiltà dell’elefante». Cerca la leggerezza, la velocità, il volo, l’avventura. Tutto l’opposto del passo lento, pesante, ritmato, legato dalla gravità alla terra. Preferisce la novità alla routine, lo spazio libero a un mondo di volumi.
Il ciclista è un migratore. Anche la sua vita è legata alle stagioni. Appartiene al movimento, al sole, all’immensità. Le sue ruote sono ali.
La corsa, però, non è solo avventura all’esterno, è anche viaggio all’interno, nei labirinti profondi dell’uomo. La bici esplora la grandezza e il dolore. Ha bisogno di perfezione. Pretende alta pazienza, illimitato sacrificio. Attraversa lo spazio, ma anche il cuore.
La bicicletta ha la sua Mecca. Un punto di luce che cattura e strega, dove il ciclista-migratore ritorna sempre. La Milano-Sanremo non è una gara, è un viaggio rituale. È la prima grande corsa dell’anno. Al suo richiamo le biciclette escono di letargo e planano verso il mare.
Irrompe la primavera col suo scialle di vento, la camicetta blu illuminata dal diamante del sole, la gonna trapunta di mimose. Il mare regala bagliori di fuoco. La pioggia di marzo feconda. Tutto germoglia. Le gemme si aprono. Le imposte si schiudono. Occhi curiosi si affacciano. Gli sguardi si incontrano. Il sorriso fiorisce. La strada freme di vita nel frinire delle ruote. È la bellezza dell’inizio.

La Sanremo è la metafora della nascita. La discesa del Turchino è un tuffo nell’azzurro. Sotto c’è il mare di Shelley e Pound, Montale e Quasimodo. Il corridore trasmuta in sibilo di vento. Il gruppo in uno sciame di petali che cade. Giù verso l’acqua che splende come una lastra di metallo, arabescata di spume. Verso il Mare nostrum, che ha affascinato saraceni e vichinghi.
È il 20 marzo 1966. Un ragazzo si schiera al via per la prima volta. La maglia bianca a scacchi neri. Il numero 131. È il più giovane del campo: ha vent’anni. Non ha mai disputato una corsa così lunga. Davanti ha 288 chilometri. Corre in una piccola squadra, la Peugeot, con i belgi Bracke e Mertens, i francesi Pingeon, Letort e Niel. Dall’ammiraglia lo guida Gaston Plaud.
Quel ragazzo viene da Bruxelles. Scende a Sud seguendo le orme di Rubens e Van Dyck. Gli occhi aperti a catturare una luce nuova, abbagliante, colori stupendi. Il suo è un viaggio di scoperta. Non conosce l’alfabeto della Sanremo: il Turchino, i tre Capi, il Poggio.
Ha un nome criptico come un geroglifico, misterioso come un’equazione da risolvere: Merckx. La x è l’incognita, l’enigma e la chiave.

Più avanti nel libro Gregori racconta le reazioni alla settima ed ultima Milano-Sanremo vinta da Merckx:

Il Figlio del tuono è un sole che abbassa la linea dell’orizzonte per splendere ancora. Sul palco viene premiato da Gianni Rivera, «l’Abatino» del Milan. Intorno il tifo esulta. Merckx ha offerto un brano straordinario di ciclismo. Fossati spiega così quell’esecuzione memorabile: «Del percorso si conosce ogni ruga: i colli del finale sono ostacoli, lungo i quali i nostri scoppiano o si imballano e i mezzofondisti alla maniera di Merckx, invece, temporeggiano, proprio come accade ai purosangue dello steeple, che tirano il fiato nella parabola del salto. Il Poggio, invece, è un cono su cui ci si arrampica azionando l’arma dello scatto e da cui si scende a tomba aperta. Una corsa belga, insomma, per il più grande corridore belga e per uno dei più grandi campioni che siano mai esistiti».

Merckx ha ravvivato l’antica musica con un trillo nuovo. L’emozione che ha regalato è bene espressa sul «Corriere della Sera» dal- lo scrittore Manlio Cancogni, un suiveur che aveva scoperto il ciclismo mezzo secolo prima. Cancogni conosce il disincanto. Eppure chiude così un pezzo intitolato Amore a prima vista: «È arrivato Merckx. E quando l’ho visto emergere dietro le moto e le automobili agitando in alto il braccio destro col pugno stretto come a dire che ormai il record (sette Milano-Sanremo) era nella sua mano, an- ch’io uguale a tutte le migliaia di spettatori ho gridato il suo nome (gridato per modo di dire, perché la commozione era così forte che quel mezzo urlo che mi è uscito dalla bocca somigliava più al rantolo di un gallinaccio arrochito che ad una voce umana)».

Nessuno era mai riuscito a vincere una classica per sette volte. «Bisogna scrivere che quest’uomo sempre eguale a un ragazzo e dotato di una forza misteriosa (da racconto delle fate, scriverebbe Vergani) sembra avere raggiunto in bicicletta il dono dell’immortalità» scrive Raschi, che lo riconosce «protagonista del più bel ciclismo atletico che mai si sia visto»47.

Questa Sanremo è una goccia solitaria, ma è una gemma pura, che splende. Guardandola a posteriori, è il canto del cigno di Merckx. Socrate assicura che «i cigni, quando sentono che inevitabile si approssima la morte, essi, che pur cantano anche prima, in quel momento cantano con maggiore frequenza e in modo magnifico. Immensa gioia è la loro, perché s’avvicina l’istante in cui andranno via di qui…». Sacri ad Apollo, dio del sole, i cigni sono dotati di senso profetico. Hanno a che fare con la religione e la teleologia. Come Merckx. La sua non è una vittoria, ma un atto liturgico.

© 66thand2nd