Come Amazon ha creato Echo

La storia del travagliato sviluppo dello strano dispositivo che potrebbe cambiare il modo in cui interagiamo con le nostre case

di Joshua Brustein - Bloomberg

(AP Photo/Mark Lennihan, File)
(AP Photo/Mark Lennihan, File)

L’idea di dover dire a Jeff Bezos che ha torto mette sempre un po’ di paura.

Nell’autunno del 2014, tuttavia, un gruppetto di persone che stavano lavorando allo sviluppo di Echo – un dispositivo di Amazon che esegue i comandi vocali e serve per ascoltare la musica e molte altre cose – dovevano parlare a Jeff Bezos, CEO di Amazon. Il lancio di Echo era imminente ed era quasi tutto pronto. Il dispositivo aveva un bell’aspetto, il suo software per il riconoscimento vocale migliorava velocemente, le confezioni in cui sarebbe stato spedito erano già state progettate e assemblate. Rimaneva però in sospeso una questione sul nome da stampare su quelle scatole: Amazon Flash. Molte delle persone che lavoravano al Lab126 della divisione hardware di Amazon odiavano quel nome, mentre a Bezos piaceva molto.

C’era poi un’altra preoccupazione. Una delle caratteristiche principali di Echo era la presenza di una sorta di parola d’ordine, che quando pronunciata attivava il dispositivo preparandolo a riconoscere i comandi vocali. Una delle due parole prese in considerazione era “Alexa”. Bezos invece pensava che la parola migliore sarebbe stata “Amazon”; il che avrebbe creato un problema, dal momento che il termine “Amazon” viene pronunciato spesso. Nel Lab126 molte persone pensavano che il progetto stesse andando verso un potenziale disastro: il dispositivo si sarebbe attivato durante gli spot di Amazon in TV e avrebbe iniziato a comprare prodotti a caso su Internet.

Di solito gli ingegneri e i product manager del Lab126 riescono a placare i loro dissensi prima che raggiungano Bezos, concentrandosi invece nel dare al loro capo quello che pensano lui voglia. «Passavamo davvero un sacco di tempo a cercare di prevedere quello che Jeff avrebbe fatto o detto, e a leggere tra le righe di quello diceva durante le riunioni», ha raccontato un ex dipendente. «E questo ci dava molto lavoro in più». A peggiorare le cose c’era anche il clima generale che quell’estate si respirava al Lab126. A luglio Amazon aveva lanciato il suo smartphone, Fire Phone, che avrebbe dovuto fare concorrenza all’iPhone. Arrivati alla fase finale di sviluppo di Echo, Fire Phone si stava rivelando un fiasco: al laboratorio arrivò così il momento di fare i conti. Diverse persone si stavano spostando su nuovi progetti o lasciavano addirittura la società. Sembrava che il Lab126 avesse toccato il fondo. A poche settimane dalla spedizione di Echo, i “dissidenti” affrontarono Bezos, che si dimostrò disposto a cambiare: il dispositivo si sarebbe chiamato Echo e la parola d’ordine sarebbe stata “Alexa”. Volendo, gli utenti potevano decidere di cambiarla in “Amazon” o “Echo”. Le confezioni con il nome “Amazon Flash” furono distrutte e la prima infornata di Echo fu spedita a novembre.

In un panorama tecnologico dominato da touchscreen rettangolari, Echo è qualcosa di diverso. È un cilindro senza schermo, alto circa 22 centimetri e con un diametro di poco più di 8. Per il momento è in vendita solo negli Stati Uniti. Lo si può usare per ascoltare musica e può anche rispondere a domande semplici su cose di tutti i giorni, come a quanti cucchiaini corrisponde una tazza (negli Stati Uniti “tazze” e “cucchiaini” vengono usati per misurare gli ingredienti nelle ricette). L’unico modo per interagire con Echo, che è sempre in attesa di sentire la sua parola chiave, è parlarci.

Quando Echo fu lanciato, i critici di Amazon lo derisero. Alcuni lo definirono un oggetto inutile, mentre altri lo presero come esempio delle derive orwelliane di Amazon. Poi, però, è successo qualcosa di strano: i clienti lo hanno adorato. Amazon non diffonde mai dati sulla vendita dei suoi prodotti, ma secondo un rapporto della società di ricerche di mercato Consumer Intelligence Research Partners pubblicato questo mese Amazon avrebbe venduto oltre 3 milioni di Echo, di cui un milione nel periodo natalizio dell’anno scorso. Circa 35mila persone hanno scritto una recensione di Echo sul sito di Amazon, con un valutazione media di 4,5 stelle su 5. Ma per Amazon forse è ancora più importante il fatto che decine di sviluppatori indipendenti stiano progettando app compatibili con il sistema di controllo vocale di Echo.

Si può usare il comando “Alexa” per spegnere la luce (se hai montato delle lampadine collegate a Internet), sapere quanta benzina c’è ancora nella tua macchina (se hai una macchina capace di collegarsi a Internet), ordinare una pizza, farti dire come sarà il tempo domani o le notizie di oggi. Tutto questo è ancora più sorprendente se si pensa a quanto Amazon fosse distante da Apple e Google nel settore del controllo vocale. Echo può anche essere sembrato un giocattolo inutile, all’inizio, ma ora pare sia il modo con cui Amazon sta provando a diventare la società leader nella nuova era dell’interazione delle persone con computer e Internet. «Vogliamo essere una grande azienda che sforna anche invenzioni», ha scritto Bezos in una lettera agli investitori questo mese. Echo dimostra cosa succede quando Amazon riesce a centrare questo obiettivo. Bezos non ha voluto farsi intervistare per discutere dello sviluppo del suo dispositivo, ma 10 tra attuali ed ex dipendenti di Amazon hanno accettato di parlarne, a condizione di rimanere anonimi in quanto non autorizzati dalla società. Questa è la storia di come hanno costruito Echo.

Amazon creò il Lab126 nel 2004 per sviluppare Kindle, il suo e-reader. Il nome del laboratorio è un riferimento all’alfabeto, dove “1” rappresenta la lettera “A” e 26 la “Z”. A volte i dipendenti del laboratorio si riferiscono a Kindle come al “Progetto A”, mentre Fire Phone fu il “Progetto B”. I lavori per Echo, il “Progetto D”, iniziarono nel 2011; nel momento di massima intensità del progetto ci lavoravano centinaia di persone tra Seattle, l’area metropolitana di San Francisco, e Cambridge, in Massachusetts. Il progetto di Echo derivava dal “Progetto C”, dal quale provenivano molte delle persone che ci lavorarono. Amazon tiene molto a mantenere la segretezza sul “Progetto C”, nonostante sia stato interrotto. Analizzando le domande per i brevetti depositate dagli ingegneri del Lab126, però, si può capire il tema e la portata del “Progetto C”.

I primi dati risalgono al 21 e al 23 dicembre 2010, quando il Lab126 fece richiesta di cinque brevetti nei cui nomi compariva l’espressione “realtà aumentata”. Già all’epoca si parlava molto di realtà aumentata, ovvero le immagini simili a ologrammi che vengono proiettate o sovrapposte a un’immagine del mondo fisico, ma di certo una società di e-commerce non sarebbe la prima a venire in mente come leader in questo settore. Le richieste di brevetti di Amazon, tuttavia, dimostrano che l’azienda aveva un progetto che superava qualsiasi prodotto commerciale disponibile sul mercato anche oggi, a sei anni dalla prima richiesta di brevetto. Una delle prime richieste di brevetto di Amazon descriveva un dispositivo capace di proiettare immagini di realtà aumentata con cui fosse possibile interagire; un’altra di un prodotto che poteva tracciare i movimenti delle persone e reagire al battito di mani, ai fischi, e a quando si canta o parla. Presi insieme, i brevetti depositati da Amazon in questo periodo mostrano una visione di una casa in cui le immagini virtuali seguono le persone mentre si spostano da una stanza all’altra, mettendo a disposizione una serie di servizi che rispondono a comandi vocali o gesti del corpo. Lo stesso Bezos compare come inventore in due dei brevetti legati al controllo vocale e alla realtà aumentata depositati in quel periodo.

Il nome di Amazon non compare nelle richieste dei brevetti ufficiali: la società che sarebbe diventata proprietaria del brevetto era Rawles, fondata nel Delaware solo due settimane prima della presentazione delle prime richieste di brevetti sulla realtà aumentata da parte di Amazon. Negli anni successivi i dipendenti del Lab126 fecero richiesta di decine di brevetti a nome di Rawles, tutti legati alla realtà aumentata e al controllo vocale. Nessuno ha mai citato Rawles come proprio datore di lavoro su LinkedIn e la corrispondenza tra la società con l’ufficio brevetti degli Stati Uniti fu gestita da avvocati nello stato di Washington, dove ha sede anche Amazon. «Di sicuro abbiamo cercato di fare le cose con discrezione», ha detto Dave Limp, vicepresidente di Amazon responsabile dei dispositivi. «Se si viene a sapere di un prodotto prima che sia pronto per i clienti, le uniche persone a trarne beneficio sono le società concorrenti e forse la stampa». Anche se depositare i brevetti a nome di Rawles non è bastato a tenerli del tutto segreti, la mossa è riuscita a renderli più difficili da trovare. Mentre le voci a proposito dei progressi di Amazon sul progetto di uno smartphone e una specie di decoder iniziarono a circolare prima del lancio di quei prodotti, i piani della società per un’applicazione domestica di realtà aumentata restarono segreti. Lo scorso novembre, in un solo giorno, Rawles trasferì 106 brevetti ad Amazon. Un mese dopo l’ufficio brevetti americano ne approvò uno, e la notizia venne ripresa debolmente dalla stampa.

Nel frattempo il progetto sulla realtà aumentata era stato sospeso, mentre Echo era già sul mercato. Alcuni dei dipendenti di Amazon che lavorarono al “Progetto C” sostengono che il suo accantonamento sia un segnale delle minori ambizioni della società, mentre per altri Amazon si è semplicemente resa conto che era arrivato il momento di abbandonare un’idea troppo strampalata per avere successo. Secondo una persona in particolare, il progetto non fu messo da parte definitivamente finché il fallimento del Fire Phone spinse i responsabili di Lab126 a mettere in dubbio la capacità del laboratorio di portare a termine progetti più importanti. Ma Echo era stato pensato come un progetto a sé stante già da molto prima, ed era nato dal desiderio di sviluppare un prodotto commerciale un po’ meno ambizioso.

Inizialmente Echo fu pensato per essere più semplice ed economico rispetto alla sua forma attuale. Una persona che lavorò al progetto ricorda che Amazon contava di essere in grado di produrre il dispositivo a circa 17 dollari e di rivenderlo a 50. Echo oggi costa 180 dollari, e considerando anche il confezionamento, la spedizione e il marketing, si dice che Amazon lo venda in perdita. La società non ha voluto commentare questi dati. All’epoca non era ancora chiaro a cosa servisse principalmente Echo. Ovviamente lo si poteva usare per ascoltare musica, ma non era chiaro per quale altro motivo le persone avrebbero mai voluto un altoparlante con cui si poteva parlare. Bezos aveva diverse idee a proposito. «C’era come un’aspettativa irrazionale sulle funzionalità del dispositivo», ha raccontato un ex dipendente di Lab126. «Jeff aveva in mente di integrarlo completamente a ogni fase degli acquisti online».

Amazon assunse alcune persone che avevano lavorato per Nuance, una società che si occupa di riconoscimento vocale, e comprò anche due start-up che lavoravano nello stesso settore, Yav ed Evi. Gli ingegneri nella sede di Cambridge iniziarono a lavorare a un sistema di riconoscimento vocale che potesse essere all’altezza di quello di Google o Apple, un compito gigantesco se si considera il vantaggio ottenuto dalle due società dopo aver sviluppato le funzioni per il software dei loro smartphone. Quando iniziarono a costruire Echo, gli ingegneri di Amazon capirono che il dispositivo avrebbe avuto bisogno di una potenza di elaborazione superiore del previsto. Sostituirono quindi il microcontroller – un computer usato per controllare dispositivi come un telecomando – con un vero microprocessore, capace di gestire richieste più complesse. I responsabili di Lab126 erano convinti che Echo fosse quasi pronto. Per tre anni di seguito però la data di spedizione del prodotto fu prevista entro sei mesi, mentre l’obiettivo di venderlo a 50 dollari sembrava sempre più improbabile.

I dipendenti di Lab126 di solito non hanno idea degli altri progetti in corso nel laboratorio, perciò per anni la squadra che lavorava a Echo non ha saputo che altre persone stavano sviluppando un telefono, e viceversa. Quando Bezos presentò Fire Phone, nel giugno 2014, il progetto di Echo proseguiva bene. Il flop di Fire Phone, però, destabilizzò tutto il Lab126. La linea ufficiale di Amazon su Fire Phone è che i passi falsi occasionali fanno parte del lavoro. In una recente lettera agli azionisti, Bezos ha definito il fallimento come il “gemello inseparabile” dell’invenzione. Secondo Limp i dipendenti di Amazon si sono consolati con il successo di Kindle e Fire TV. «Poter vedere l’incredibile popolarità di alcuni prodotti è sempre compensato dal fatto che ce ne sia uno che non va altrettanto bene», ha detto Limp. Le persone che all’epoca lavoravano al Lab126 descrivono quel periodo come molto doloroso e deleterio per la sicurezza dell’intero reparto. Amazon non licenziò subito i dipendenti che avevano lavorato a Fire Phone. Nel team di Echo, però, arrivarono nuovi dirigenti che avevano altre idee e diversi livelli di entusiasmo verso il dispositivo. Alcune delle persone che avevano lavorato al progetto dall’inizio ne furono infastidite. Il fatto che la posta in gioco si fosse alzata, poi, non era d’aiuto: Echo ora doveva risollevare la reputazione di Amazon. Come se non bastasse nel laboratorio iniziavano a serpeggiare dei dubbi sul fatto che Amazon fosse in grado di produrre dispositivi di fascia alta per i propri clienti.

Echo subì diverse modifiche fondamentali all’ultimo minuto. Il dispositivo doveva essere in grado di emettere e captare suoni contemporaneamente, una sfida che ha accompagnato con preoccupazione gli ingegneri per tutto il processo di sviluppo. Cosa sarebbe successo se la musica fosse stata tanto alta da soffocare le voci delle persone? Inizialmente gli ingegneri avevano creato dei prototipi di dispositivi che assomigliavano a dischetti da hockey, da distribuire per la casa e in grado di captare i comandi vocali anche quando le persone si trovavano lontane dal dispositivo principale. I responsabili del laboratorio scartarono la cosa per concentrarsi sullo sviluppo del dispositivo principale; l’idea però è riemersa recentemente con il nome di Echo Dot, che Amazon ha presentato lo scorso mese e ora vende in edizione limitata.

Nell’autunno del 2014 c’erano ancora opinioni diverse sul fatto che la capacità di riconoscere i suoni di Echo fosse abbastanza buona. Bezos e i suoi dirigenti più importanti erano fermamente contrari ad affidarsi a un sistema diverso dal controllo vocale. Lo consideravano un imbroglio. Alcuni ingegneri non erano d’accordo e spinsero per sviluppare un telecomando al quale inviare comandi vocali da qualsiasi punto della casa. Per fortuna Amazon aveva appena realizzato un telecomando per Fire TV. Le due “fazioni” arrivarono a un compromesso e decisero di includere un telecomando nella prima serie di Echo, con l’idea di raccogliere informazioni sulla frequenza con cui i clienti lo avrebbero usato per poi aggiustare il tiro. I timori si rivelarono esagerati: gli utenti di Echo non usavano quasi mai il telecomando, che fu quindi eliminato dalla confezione nelle spedizioni successive. La possibilità di collegare Echo a lampadine e termostati connessi a Internet prodotti da altre società non fu tra le priorità del Lab126 fino agli ultimi mesi del 2014, quando uno degli ingegneri modificò per scherzo il dispositivo in modo che potesse gestire con il controllo vocale un sistema di streaming televisivo. Per Bezos fu un’illuminazione, secondo un dipendente che lavorava a stretto a contatto con il CEO di Amazon: «Bezos iniziò ad abbracciare l’idea in modo molto convinto». Oggi i progetti per Echo si affidano molto all’idea che il dispositivo possa funzionare da “hub” per le cosiddette “case intelligenti”. Limp sostiene scherzando che è solo questione di tempo prima che qualche sviluppatore intraprendente crei un programma che sfrutti i comandi vocali di Echo per azionare lo sciacquone del bagno.

Molte delle persone che hanno contribuito a creare Echo non lavorano più per Amazon. Per diverse ragioni, secondo loro: il senso di chiusura del cerchio che nasce dopo aver portato a termine un grande progetto, una ricca offerta arrivata da un concorrente, la tentazione di mettersi in proprio, la mancanza di energie per le lunghe giornate di lavoro, o l’amarezza dopo anni di lotte politiche intestine. Nessuno degli ex dipendenti intervistati per quest’articolo ha avuto da ridire sulla reputazione di Amazon di essere un posto di lavoro brutale. Quando gli è stato chiesto se lavorare per un prodotto come Echo è stato “divertente”, un ex dipendente ha risposto dicendo che nessuno ha mai usato davvero quella parola per descrivere Amazon.

Il successo di Echo sta attirando nuove persone nel laboratorio, che sostituiscono chi se n’è andato. A febbraio Amazon ha organizzato a Seattle un evento per l’assunzione di nuovo personale. Si sono presentati centinaia di programmatori e ingegneri, molti dei quali lavoravano in Microsoft. Hanno ascoltato i dirigenti di Amazon fare discorsi sugli ambiziosi progetti della società per usare Echo per collegarsi a tutti i dispositivi domestici connessi a Internet che arriveranno sul mercato. «È arrivato il momento che le case intelligenti diventino realtà», ha detto al pubblico Charlie Kindel, il responsabile per le case intelligenti dell’azienda. Grazie a Echo, Amazon ha trovato il modo di inserirsi nelle interazioni tra i clienti e altri dispositivi o servizi. Parte del merito va al tempismo. L’industria tecnologica è alla ricerca della prossima importante piattaforma di computing dopo i cellulari. Investire in forme per combinare il controllo vocale e l’intelligenza artificiale è stata una mossa lungimirante, soprattutto considerando che nessun altro ci è ancora riuscito. Apple, Google e Microsoft hanno tutti i loro assistenti virtuali, ma li hanno concepiti per migliorare i loro smartphone. Echo, invece, rappresenta un taglio più netto con il passato.

Per certi versi il successo di Echo è il risultato del fallimento di Fire Phone. Dal momento che Amazon ha già abbandonato il suo smartphone, i suoi progetti per il controllo vocale dovevano dirigersi necessariamente altrove. Nonostante gli smartphone siano celebrati come il massimo della comodità, in realtà tirare fuori il proprio telefono e cliccare su un’app per sapere che tempo fa mentre ci si abbottona la camicia sembra essere piuttosto impegnativo, rispetto a fare una domanda ad alta voce in una stanza. Echo ha più di 500 software che creano comandi vocali e permettono di controllare il proprio conto, avviare una stazione radio su Internet o riprodurre il verso dell’animale preferito da tuo figlio. Amazon tiene un elenco interno dei suggerimenti dei clienti per nuovi comandi, ordinandoli per popolarità per decidere l’ordine in cui realizzarli.

Secondo Julie Ask, un’analista di Forrester Research, il prossimo passo importante per Amazon sarà cercare di unire servizi diversi in modi innovativi. Poter chiedere a Echo di prenotare un’auto su Uber è divertente, ma non cambia molto le cose, dice Ask. «Tra cinque anni il mio Echo mi dirà: “Ehi, è ora di andare in aeroporto. Devo prenotarti un’auto?”, e io dirò solo “sì”. È questa la differenza tra dove siamo oggi e dove vogliamo arrivare». Come società, Amazon preferirebbe concentrarsi su queste sfide rispetto a quelle che hanno complicato la creazione di Echo. Limp sembra più a suo agio a descrivere lo sviluppo generale di Echo, e minimizza il ruolo delle improvvise illuminazioni nel corso del suo sviluppo. Dal suo punto di vista, la parte più importante è stata ridurre il tempo che intercorreva tra il comando impartito a Echo e la sua risposta: da circa 9 secondi a 1,5. Limp dice di non sapere niente del panico dell’ultimo secondo sul nome da dare al dispositivo, e ricorda solo che alla fine erano tutti d’accordo. «Ve lo posso assicurare», ha raccontato, «a Jeff il nome “Echo” piace molto».

© 2016 –  Bloomberg