Non si fanno più trilogie (a parte quella lì)

Una nuova tendenza del cinema americano fa sì che le saghe più di successo rimangano "aperte": e secondo Vulture c'è un colpevole ben preciso

(Da "Toy Story 3")
(Da "Toy Story 3")

Alcune settimane fa Kyle Buchanan di Vulture, un sito che si occupa di cinema e tv, ha scritto un articolo intitolato “Indiana Jones la fine delle trilogie cinematografiche“. L’articolo parte dalla notizia di un nuovo film su Indiana Jones, il quinto, ma contiene una riflessione più generale e molto valida soprattutto in questo momento, dopo l’uscita di Batman v Superman e poco prima che arrivi Captain America: Civil War. Cioè due film importanti per costo di realizzazione, cast e aspettative che però non fanno parte di trilogie – la struttura per eccellenza della saga cinematografica – e dei quali è anzi difficile dire dove si inseriscano all’interno dei due universi letterari-cinematografici creati rispettivamente dalla DC Comics e dalla Marvel, composti ormai da innumerevoli film. Ma esiste una ragione precisa per cui non si fanno più trilogie (con alcune notevoli eccezioni come Star Wars)?

Buchanan scrive: «Negli ultimi decenni, le storie che andavano meglio erano quelle divise in tre film»: quelle cioè nelle quali al termine del terzo film «l’eroe vinceva, il cattivo finiva male e alle avventure del protagonista si poteva mettere un punto conclusivo». Buchanan spiega che la regola dei tre film era uno dei paradigmi di Hollywood, per ragioni che arrivano da lontano e sono state poi riprese da Syd Field, il più importante maestro di sceneggiatura del cinema, sui cui libri finisce per studiare chiunque si occupi di cinema. In breve: dividendo una storia in tre atti c’è modo di organizzare per bene un’introduzione alle vicende e ai personaggi, un confronto tra buoni e cattivi – o tra ragioni e altre ragioni – e una conclusione, quasi sempre risolutiva. Scrive Buchanan:

Sembra invece che le storie con un finale e che si sviluppano in tre film siano ormai una cosa del passato. Chiedete a Matt Damon o a Johnny Depp, che all’inizio avevano impacchettato i loro film – i film sull’agente Bourne e la saga dei Pirati dei Caraibi – in delle piccole e carine trilogie e che ora si ritrovano a fare quei ruoli per una quarta o persino quinta volta, senza che ci sia in vista alcun finale. Oppure chiedete a quei grandi registi che erano soliti non impegnarsi per più di tre film [per volta] e che ora sembrano felici di dedicare importanti pezzi della loro vita alle stesse storie.

Buchanan spiega di riferirsi soprattutto a James Cameron, Michael Bay, Ridley Scott e Steven Spielberg: Cameron ha passato anni a fare Avatar e già si sa che sono in programma altri tre film ambientati in quello stesso mondo. Bay, il regista dei vari Transformers, aveva detto, dopo il terzo film, che quello era l’ultimo. Al momento si sta preparando per girare il quinto. Scott sta invece girando in questo periodo il primo dei tre film che collegheranno il suo Alien, un thriller spaziale del 1979, al suo Prometheus, uscito nel 2012. E poi c’è Spielberg, che dopo i tre Indiana Jones ne ha girato un quarto e ne girerà un quinto.

Secondo Buchanan, e la sua opinione è condivisa da molti altri critici di cinema, la risposta ha a che fare con Hollywood e con il suo fiuto per il successo economico. Gli studios, spiega, non sono soliti lasciarsi scappare dalle mani una cosa che funziona. Se i film legati a un certo personaggio o a una certa storia fanno soldi, si continua a sfruttare il filone e fare film di quel tipo. Anche se, come nel caso di Divergent o The Hunger Games si finisce per alterare la saga di libri da cui vengono tratti, cioè delle trilogie. Una cosa del genere è successa anche con Harry Potter: sette libri diventati otto film, perché l’ultimo libro è raccontato in due film.

Buchanan spiega però che questi film sono solamente delle conseguenze della “fine delle trilogie”, e non la loro vera causa. Secondo Buchanan il vero colpevole è la Marvel, la casa editrice di fumetti poi entrata nel cinema, che ha creato storie immense e apparentemente senza fine. Ogni film Marvel si svolge in uno stesso Universo e ogni film Marvel è in qualche modo collegato agli altri. Prima dei film Marvel i contratti tipici di Hollywood prevedevano un film e una qualche specie di pre-accordo per due eventuali sequel, tali appunto da comporre una trilogia “classica”. La Marvel ha invece iniziato a far firmare agli attori contratti per sei o più film. Robert Downey Jr., che ha interpretato Tony Stark nei tre Iron Man della Marvel ha detto, parlando di Captain America: Civil War, che lo si può considerare una sorta di Iron Man 4.

Preso atto del trend che riguarda la fine delle trilogie cinematografiche Buchanan dice che, a ben vedere, la cosa non è necessariamente un problema. Capitava infatti spesso che molti film sembravano strutturati per funzionare come primo film di una trilogia: non sempre i successivi due film venivano poi realizzati, e anche quando questo succedeva il primo film finiva per essere un po’ povero, dando l’idea di voler tenere il meglio per il suo secondo e terzo capitolo. C’erano poi casi opposti in cui i terzi capitoli di una trilogia non riuscivano invece a tenere testa ai film che li avevano preceduti:

Nessuno pensa che Il Padrino – Parte III o The Matrix Revolutions fossero il punto più alto della trilogia ed è anche successo che un inatteso quarto film – è il caso di Mad Max: Fury Road ma anche di Scream 4 —abbia rimesso a posto le cose, rimediando agli errori dei precedenti e insoddisfacenti finali.

Ci sono però anche casi opposti: Toy Story 3 è andato bene – tra critica e pubblico – proprio perché ha puntato molto sul concetto “tutte le cose prima o poi finiscono”. Nonostante questo nel 2018 uscirà Toy Story 4.