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  • Domenica 10 aprile 2016

Le donne rapite da Boko Haram per farne attentatrici suicide

Sono decine, anche molto giovani: vengono costrette a convertirsi e a seguire un lungo addestramento

Yana Galang, la madre di una delle studentesse rapite a Chibok, a Lagos (STEFAN HEUNIS/AFP/Getty Images)
Yana Galang, la madre di una delle studentesse rapite a Chibok, a Lagos (STEFAN HEUNIS/AFP/Getty Images)

Boko Haram è uno dei gruppi estremisti islamici più violenti al mondo: opera nell’Africa occidentale, soprattutto in Nigeria, e un anno fa ha giurato fedeltà allo Stato Islamico (o ISIS). Tra le molte atrocità che ha compiuto negli ultimi anni – attacchi e massacri contro civili, anche all’interno di scuole e chiese – ce ne è una di cui si è cominciato a parlare più di recente: l’addestramento di donne e bambine rapite per diventare attentatrici suicide. Long War Journal, un sito specializzato nello studio del terrorismo, ha scritto che dal giugno 2014 Boko Haram ha usato almeno 105 tra donne e bambini per compiere attacchi suicidi in Nigeria e nei paesi vicini.

Il New York Times ha raccontato la storia di Rahila Amos, una donna cristiana nigeriana di 47 anni rapita da Boko Haram e addestrata per diventare un’attentatrice suicida. Amos fu rapita dal suo paese nel 2014, insieme ad altre donne e bambini: nell’attacco i due suoi fratelli furono uccisi mentre suo marito riuscì a scappare con cinque dei loro figli. Per i giorni successivi le fu dato un solo pasto al giorno e poi le fu chiesto: vuoi continuare a essere cristiana o vuoi diventare musulmana? Amos ha raccontato che tutte le donne che erano con lei accettarono di convertirsi per paura di essere uccise. Nei mesi successivi fu indottrinata da Boko Haram, che le insegnò una versione molto radicale dell’Islam e “l’arte di diventare un’attentatrice suicida”.

Il processo di addestramento si sviluppava su sei livelli: i primi due riguardavano l’insegnamento della versione del Corano adottata da Boko Haram, mentre il terzo si concentrava sugli attacchi suicidi e sulle decapitazioni. Gli ultimi tre livelli erano segreti: Amos riuscì a scappare prima di raggiungerli e non scoprì mai cosa riguardassero e dove si svolgessero. In un certo senso, scrive il New York Times, Amos fu “fortunata”: i jihadisti di Boko Haram decisero di non abusare di lei sessualmente, visto che aveva già marito e figli, ma le cose andarono diversamente per le altre 14 donne e 4 bambine che facevano parte del suo gruppo.

La carenza di cibo era un altro aspetto dell’addestramento: Amos ha raccontato che a un certo punto lei e le altre donne furono portate in una vecchia fabbrica dove erano tenute delle ragazze “grasse” e in salute, che avevano molto cibo e acqua: i jihadisti dissero alle donne del gruppo di cui faceva parte Amos che se avessero seguito le indicazioni e l’addestramento di Boko Haram avrebbero avuto da mangiare tanto quanto le ragazze nella fabbrica. Amos ha anche raccontato che alcune di queste ragazze provenivano da Chibok, la cittadina nigeriana dove nell’aprile del 2014 Boko Haram rapì più di 200 studentesse. Quest’ultima dichiarazione non è ancora stata confermata dalle autorità.

Le autorità di Camerun e Nigeria hanno detto che molte delle cose raccontate da Amos corrispondono alle testimonianze di altre donne e ragazze che sono riuscite a scappare dopo essere state rapite da Boko Haram, o che erano state arrestate prima di riuscire a farsi esplodere. Il New York Times ha scritto che «in diversi modi le attentatrici suicide sono delle armi ideali». Ai checkpoint messi in piedi da soldati maschi, le donne sono perquisite in maniera molto leggera e a volte non vengono perquisite per niente; inoltre gli abiti molto larghi che indossano permettono di nascondere meglio gli esplosivi rispetto a quanto riesca a fare un uomo. Dall’inizio dell’anno ci sono già stati diversi casi di attentatrici suicide che si sono fatte esplodere uccidendo parecchi civili: uno degli attacchi più violenti è stato compiuto a febbraio, quando tre ragazze con addosso dell’esplosivo sono state mandate in un campo profughi di persone che erano state costrette a lasciare le loro case per gli attacchi di Boko Haram. Due di loro si sono fatte esplodere, uccidendo circa 60 persone. La terza ragazza ha riconosciuto i suoi genitori tra le persone ospitate nel campo: ha lanciato l’esplosivo in un cespuglio, prima di essere fermata dalle autorità.