“Veloce come il vento”: la storia e le recensioni

È un film con Stefano Accorsi, sulle corse d'auto in Italia: è uscito il 7 aprile e se ne parla molto bene

(Dal film "Veloce come il vento")
(Dal film "Veloce come il vento")

Veloce come il vento è nei cinema dal 7 aprile: è un film italiano, anche se secondo molti critici non lo sembra. La cosa è da intendersi come un complimento: Veloce come il vento è infatti un film sportivo e d’azione sulle corse automobilistiche. È stato pensato anche per l’estero, dove sarà distribuito con il titolo Italian Race. Il regista è Matteo Rovere, che nel 2011 ha diretto il film drammatico Gli sfiorati, tratto da un omonimo romanzo di Sandro Veronesi. I due attori principali sono entrambi bolognesi: Stefano Accorsi e Matilda De Angelis, al suo primo film.

Veloce come il vento è ambientato in Emilia Romagna: De Angelis interpreta Giulia, una ragazza che si trova a dover crescere da sola il fratello minore, Nico, e che – per soldi ma non solo – fa la pilota nel campionato italiano GT (macchine, insomma). Per provare a vincere, Giulia accetta l’aiuto di suo fratello maggiore Loris, interpretato da Accorsi. Loris è un ex pilota che si è ritirato ed è diventato tossicodipendente. Il film racconta il difficile rapporto tra i due e mostra moltissime scene di corse d’auto.

La figura di Loris è in qualche modo ispirata a quella di Carlo Capone, un vero ex pilota nato nel 1957 e che nel 1984 vinse il Campionato Europeo Rally con una Lancia Rally 037. Parlando di Capone, che oggi si trova in una struttura psichiatrica del Piemonte, il regista Rovere ha detto:

La sua vita è ai limiti dell’incredibile e noi, attraverso il nostro racconto, lo abbiamo voluto ricordare e omaggiare. Dopo aver lasciato la carriera da pilota, negli anni Novanta, Capone aveva accettato di lavorare come trainer per una pilota, mentre tragicamente scivolava nel tunnel della dipendenza, e così abbiamo deciso di prendere questi personaggi veri e costruirci attorno una vicenda di fantasia ispirata alla loro storia.

Nel film Accorsi guida una Peugeot 205 Turbo, prestata dal Musée de l’Aventure Peugeot di Sochaux, in Francia, e usata per alcune scene: è l’auto che nel 1985 e nel 1986 vinse il Campionato del mondo di rally. «I piloti che hanno lavorato con me la guardavano come una reliquia», ha detto Accorsi. Le gare che si vedono in Veloce come il vento sono state girate sui circuiti di Imola, Monza e Vallelunga, e ci sono anche un inseguimento per le strade di Imola e una corsa clandestina a Matera. Gran parte delle riprese sono state fatte durante delle vere gare, non ricreate apposta. Lo stunt-man e il consulente di Accorsi durante le riprese è stato Paolo Andreucci, nove volte campione italiano di rally e pilota ufficiale di Peugeot Sport Italia.

Parlando del film la Gazzetta dello Sport ha scritto che «la pellicola è schietta come un bicchiere di Lambrusco dell’Emilia. Arrivi alla fine e hai anche versato qualche lacrima, ma soprattutto hai tifato e corso in macchina accanto ai due protagonisti». La recensione di MyMovies spiega invece:

Lo stile è quello del film di genere, ma più che al motor movie stile Rush Rovere attinge all’underdog movie di matrice atletica alla Rocky o alla Flashdance, aggiungendo un pizzico della follia da race movie farsesco alla Quei temerari sulle macchine volanti.

Panorama ha paragonato Veloce come il vento a un altro film italiano, uscito qualche settimana fa: «Dopo Gabriele Mainetti con Lo chiamavano Jeeg Robot, un altro giovane italiano sforna un film “diverso”, dove l’intrattenimento non si declina nella forma usata e abusata della commedia». Wired ha invece scritto che Veloce come il vento è “il miglior film sulle auto mai fatto in Italia”: è però anche vero che i film di questo genere sono stati davvero pochi. Wired comunque scrive: «Con pochissima computer grafica e molte auto, piloti veri del campionato GT a fare controfigure, scene riprese durante vere gare e altre girate appositamente, oltre ad un buon inseguimento cittadino (girato ad Imola), sembra onestamente più di quello che ognuno avrebbe mai osato chiedere al cinema italiano».