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  • Mercoledì 6 aprile 2016

Breve storia della procura di Potenza

Quella famosa per Henry John Woodcock, il controverso magistrato che per anni ne è stato il simbolo, e che secondo Renzi «non arriva mai a sentenza»

Henry John Woodcock. (ANSA)
Henry John Woodcock. (ANSA)

Nel corso dell’ultima direzione nazionale del PD, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha fatto un commento molto duro sulla procura di Potenza, quella che sta conducendo le indagini sulle infrastrutture petrolifere della Basilicata che hanno portato alle dimissioni del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. «Le indagini sul petrolio in Basilicata si fanno ogni quattro anni», ha detto Renzi: «E non vanno mai a sentenza».

Proprio mentre parlava, i giudici del tribunale di Potenza erano in riunione da oltre tre ore. Poco dopo le 16 hanno annunciato la sentenza di un’inchiesta sugli appalti legati al petrolio iniziata nel 2008. Sono state condannate nove persone: ex dirigenti della società petrolifera Total, imprenditori e politici locali. Altre 18 sono state assolte. Poco dopo Renzi ha precisato che intendeva dire che le sentenze partite da Potenza non vanno mai a “sentenza definitiva”. Dopo otto anni dall’inizio delle indagini il processo è arrivato soltanto al primo grado e buona parte delle condanne saranno probabilmente prescritte. Il tribunale di Potenza, infatti, è uno dei più lenti d’Italia, ma anche uno di quelli più sotto organico.

La procura di Potenza
Con il 62,7 per cento di processi penali che durano più di due anni, Potenza è al 131° posto sui 133 tribunali che hanno risposto al censimento della giustizia penale realizzato nel 2014 dal ministero della Giustizia. Ma Potenza è anche uno dei tribunali con la percentuale più alta di incarichi scoperti. A novembre del 2014 mancavano a Potenza otto magistrati: il 24 per cento della pianta organica prevista: la media nazionale è al 14 per cento. Potenza è il 110° tribunale con più posti vacanti su 139. A Potenza, inoltre, parecchie indagini finiscono con l’archiviazione ancora prima di arrivare al processo: i giudici per le indagini preliminari (GIP) archiviano il 74,3 per cento delle indagini. In questa classifica, Potenza è in “buona compagnia” insieme a tribunali molto più prestigiosi: i GIP del tribunale di Roma, per esempio, archiviano più o meno la stessa percentuale di procedimenti e quelli del tribunale di Torino una percentuale addirittura superiore.

La situazione di Potenza è simile a quella di molti altri piccoli tribunali del sud. Secondo Leo Amato, giornalista del Quotidiano della Basilicata che segue la cronaca giudiziaria, in Basilicata c’è un problema in più: il petrolio. «C’è un grosso divario tra le forze di cui dispone il tribunale di Potenza e la dimensione delle risorse che circolano nella regione». L’estrazione petrolifera e la presenza di grandi società internazionali portano grossi afflussi di denaro e spesso, nel clima clientelare della politica locale, si è sospettato che questi soldi fossero stati usati in maniera illecita. Le indagini su questi temi però sono complicate e i processi lo sono ancora di più: «A Potenza non ci sono le risorse per affrontare un maxi-processo come per esempio quello dell’ILVA di Taranto. È giusto chiedere che si arrivi a una sentenza in fretta, ma allora bisogna organizzarsi per tempo e far sì che a Potenza ci sia un collegio giudicante con le risorse per poter fare udienza ogni due settimane».

Ma la procura di Potenza non è diventata famosa per la lunghezza dei suoi processi: la sua fama è legata a quella di Henry John Woodcock, un magistrato che, arrivato 17 anni fa, trasformò una piccola città della provincia meridionale in uno dei principali capoluoghi della cronaca giudiziaria italiana.

Henry John Woodcock
Henry John Woodcock ha 49 anni ed è nato a Taunton, nell’Inghilterra occidentale. Figlio di un professore di inglese e di una donna italiana, è cresciuto a Napoli dove ha iniziato la sua carriera nella giustizia. Nel 1999 fu nominato al suo primo incarico: sostituto procuratore presso la procura della Repubblica del tribunale di Potenza. Quello della Basilicata è un distretto giudiziario piccolo e apparentemente poco movimentato: in tutta la regione ci sono una media di 4-5 omicidi l’anno. Con 67 mila abitanti, un’unica linea ferroviaria a binario unico, nessuna autostrada e l’aeroporto più vicino a cento chilometri di distanza, Potenza è una città isolata e sonnolenta, dove esistono ancora dinamiche che sembrano arcaiche in gran parte del resto del paese. «Qui il magistrato ha ancora un ruolo sociale importante», racconta Fabio Amendolara, collaboratore del quotidiano Libero che da 16 anni segue il tribunale della città. «Appena insediati, c’è la corsa a portarli in giro come in una processione della statua della Madonna».

A Potenza, come in molti altri luoghi del sud, politica e imprenditoria locali intrecciano spesso relazioni clientelari. Dal dopoguerra fino ad anni molto recenti, la regione è stata governata dalla stessa classe dirigente, espressione di poche famiglie locali. Anche la magistratura a volte finisce con il far parte di queste reti di potere. «Spesso in queste relazioni non c’è nulla di penalmente rilevante», spiega Amendolara, anche se per due volte la procura di Catanzaro, competente per indagare sui giudici di Potenza, ha ritenuto che si fossero verificati dei reati. La prima inchiesta – “Toghe Lucane”, portata avanti da Luigi de Magistris, oggi sindaco di Napoli – si è risolta in un nulla di fatto. La seconda, “Toghe Lucane-bis”, è diventata un processo che è in corso ancora oggi.

Quando arrivò a Potenza, «Woodcock era scollegato da questi sistemi: tutto quello che trovava lo iscriveva nel registro degli indagati», racconta Amendolara. Nei dieci anni che trascorse alla procura di Potenza, Woodcock indagò comandanti provinciali della Guardia di Finanza, dei Carabinieri, persino un capo divisione del SISDE, il servizio segreto civile. Indagò magistrati, avvocati e politici locali. Nel 2006 il giornalista del Corriere della Sera Marco Imarisio lo descrisse così: «Uno che lavora dalle 7 del mattino alle 22, e raggiunge l’ufficio in sella alla sua Harley Davidson, pioggia o neve non importa, deciso ad applicare il suo metodo. Da una scintilla lucana, l’immane incendio. Woodcock parte da reati commessi in loco e poi allarga, allarga a tutta la Penisola». Furono proprio le inchieste di portata nazionale a renderlo un personaggio noto in tutto il paese.

La più famosa è quella che i media ribattezzarono “Vallettopoli”, iniziata nel 2006 in seguito alle indagini sulla gestione di alcune slot machines: arrivò a coinvolgere decine di personaggi pubblici come Salvo Sottile, portavoce dell’allora ministro degli Esteri Gianfranco Fini, il manager televisivo Lele Mora, il fotografo Fabrizio Corona e Vittorio Emanuele di Savoia. Le accuse erano disparate: dall’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione nella gestione di casinò e slot machines, allo sfruttamento della prostituzione, fino al peculato per aver utilizzato auto pubbliche per trasportare showgirl. Buona parte dell’inchiesta, costituita da migliaia e migliaia di pagine disordinate, dove atti e intercettazioni si accumulavano alla rinfusa, finì stralciata o archiviata. Diversi filoni furono sottratti alla procura di Potenza per incompetenza territoriale. Vittorio Emanuele fu prosciolto dal tribunale di Como e assolto da quello di Roma, insieme a numerosi altri imputati. Altri, come Sottile, furono condannati.

Molte sue altre inchieste seguirono un percorso simile, come le cosiddette “Vallettopoli 2”, “Vipgate” e “Somaliagate”. Le ordinanze con cui chiedeva gli arresti erano quasi sempre lunghe e disordinate. Le sue inchieste, a pochi mesi dall’inizio, arrivavano a coinvolgere decine di persone con accuse di reati disparate. A differenza di altri magistrati molto noti all’epoca, come lo stesso De Magistris, gran parte delle inchieste di Woodcock sono arrivate a processo: cioè sono state ritenute “solide” da almeno un giudice terzo, ma quasi altrettanto spesso i suoi imputati sono stati assolti o prescritti oppure le inchieste sono state spostate in altre procure per ragioni di competenza territoriale. «Errori ne faceva tanti», racconta Amendolara, «si innamorava di molte tesi, arrivava all’arresto e poi si perdeva. In alcune cose ci aveva visto giusto. Come nel caso “Tempa Rossa” di questi giorni, dove sono coinvolte persone che lui era stato il primo a indagare».

Altri commentatori sono meno teneri nei suoi confronti. Per molti la sua abitudine di allargare continuamente il raggio delle indagini, invece che concentrarsi su un aspetto e cercare di arrivare a una condanna, era un segno di narcisismo e di amore per l’attenzione mediatica che gli procuravano. Sul sito Cinquantamila, il giornalista Giorgio dell’Arti ha raccolto alcune delle critiche più dure che sono state rivolte a Woodcock. Nel 2007 il giornalista Filippo Facci scrisse sul Giornale: «Le sue inchieste più note sono state una collezione di incompetenze territoriali, nomi altisonanti assolti, ministri prosciolti, valanghe di richieste d’arresto ingiustificate». Mattia Feltri, che oggi lavora alla Stampa, scrisse: «Si potrebbe dire che Woodcock ha fra le mani la stessa indagine da sempre. Insomma, ne comincia una e da questa ne scaturisce un’altra e così via».

Di certo c’è che Woodcock iniziò molte più indagini di quante avrebbe mai potuto portare a compimento. Quando fu trasferito alla DDA di Napoli, nel 2009, a Potenza lasciò decine di fascicoli aperti; i magistrati rimasti a Potenza, raccontano i giornalisti che seguono la cronaca giudiziaria locale, “tremavano” all’idea di dover mettere mano alle migliaia di pagine confuse che aveva lasciato dietro di sé.

La procura oggi
«C’è un’era prima e un’era dopo Woodcock», dice Amendolara. Oggi in molti pensano che la stagione di Woodcock, con i suoi lati positivi e quelli negativi, sia terminata. Tra gli altri lo pensa il senatore Salvatore Margiotta, indagato da Woodcock nel 2008, quando il magistrato chiese alla Camera l’autorizzazione ad arrestarlo per corruzione. Il suo processo è durato otto anni e lo scorso 26 febbraio, Margiotta, oggi senatore del PD, che dichiara di essere favorevole allo sfruttamento del petrolio in Basilicata, è stato assolto per insussistenza del fatto. In un’intervista al Corriere della Sera, Margiotta ha detto: «Ho stima degli attuali magistrati della procura di Potenza e penso che dietro l’inchiesta Tempa Rossa non ci sia la volontà di alzare un polverone politico».