Cosa si sa e cosa non si sa dell’inchiesta sull’infermiera di Piombino

È accusata di aver ucciso 13 pazienti, ma le notizie circolate vanno spiegate meglio e sono ancora parziali, scrive il sito Altra Toscana

(ANSA/FRANCO SILVI)
(ANSA/FRANCO SILVI)

Il 31 marzo scorso è stata arrestata Fausta Bonino, un’infermeria dell’ospedale di Piombino, in provincia di Livorno: è accusata di aver ucciso 13 pazienti del reparto di rianimazione iniettando loro una dosa letale di eparina, un farmaco anti-coagulante. Negli ultimi giorni, giornali e televisioni hanno raccontato la storia – terribile e di grande risalto – come un caso praticamente chiuso, in cui la colpevolezza dell’infermiera sarebbe oramai accertata. Andrea Lazzari, sul sito Altra Toscana ha messo in ordine più accuratamente le cose che si sanno e quelle che ancora non si sanno, invitando i colleghi a maggiori prudenze.

La procura e i carabinieri del Nas stanno conducendo una delicatissima indagine sulle morti sospette all’ospedale di Piombino. Direttori e cronisti di giudiziaria sanno che questa è la fase in cui gli inquirenti cercano di gestire le informazioni da fornire all’opinione pubblica con lo scopo sia di raggiungere nuovi traguardi investigativi sia di non fornire “armi” agli avvocati della difesa.

E’ un gioco delle parti che c’è sempre stato ma che, negli ultimi anni, è salito di intensità fino a sforare il limite dell’equilibrio e del rispetto della verità, partecipando alle distorsioni del circo mediatico. Tutti ricorderanno il caso dei filmati forniti dai carabinieri alle Tv (poi risultati un assemblaggio) che ritraevano il furgoncino di Bossetti aggirarsi dalle parti della palestra della povera Yara. Quello è stato un caso limite e i Nas di Livorno non sono i Ros. Pertanto è doveroso avere fiducia e rispetto verso il lavoro degli apparati della giustizia e invitare sempre i cittadini a collaborare con essi. Proprio per questo è indispensabile mantenere nervi saldi e grande lucidità oltre all’immancabile senso critico che è il sale di chi fa il giornalista.

Allo stato dei fatti, l’impianto accusatorio che si sta delineando si basa su alcuni capisaldi. Provo a schematizzarli ricordando sempre che sono notizie rese pubbliche in questi frangenti dalla procura livornese ed è quindi probabile che altri indizi vengano tenuti gelosamente segreti dal magistrato.

1. Ogni volta che moriva qualcuno l’infermiera era presente.

2. Quando l’infermiera è stata trasferita di reparto sono cessate le morti “anomale”.

3. La sospettata beveva e faceva uso di psicofarmaci.

4. Un parente di una vittima era presente quando l’infermiera ha fatto un’iniezione.

5. Ci sono intercettazioni che rivelano quanto la sospettata fosse allarmata dagli interrogatori svolti in fase di indagini preliminari.

Se gli indizi fossero solo questi, è evidente che siamo ancora in alto mare e che manca la prova regina.

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