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  • Venerdì 25 marzo 2016

Perché l’intelligence europea non funziona

Il Belgio è messo malissimo – è considerato un "buco nero" dell'antiterrorismo – ma anche le altre agenzie europee si sono dimostrate incapaci di collaborare

Poliziotti belgi all'entrata di una stazione della metropolitana di Bruxelles. (PHILIPPE HUGUEN/AFP/Getty Images)
Poliziotti belgi all'entrata di una stazione della metropolitana di Bruxelles. (PHILIPPE HUGUEN/AFP/Getty Images)

A tre giorni dagli attentati di Bruxelles, uno dei temi più dibattuti dalla stampa internazionale e dalle istituzioni europee continua a essere l’inefficienza delle autorità del Belgio, che nonostante diverse avvisaglie non sono state capaci di fermare gli attacchi prima che fossero compiuti. Il problema del Belgio con il terrorismo – che esiste, ed è legato tra le altre cose all’alto numero di foreign fighters belgi e alla complicata struttura amministrativa del paese – è stato reso ancora più evidente dall’apparente incapacità dell’intelligence belga di affrontare e gestire la concreta minaccia degli attentati, sia prima che dopo gli attacchi di Parigi. Il problema non riguarda però solo il Belgio, ma anche la scarsa cooperazione tra le intelligence dei vari paesi europei. E non è un tema nuovo: se n’era parlato molto anche dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre scorso, compiuti dalla stessa cellula franco-belga che ha colpito a Bruxelles.

Il via vai dei terroristi in Europa
Uno degli aspetti più sorprendenti dell’intera faccenda è la facilità con cui gli attentatori di Parigi e Bruxelles sono entrati e usciti dal Belgio alla Francia, dalla Turchia alla Siria: nonostante molti di loro fossero già nelle liste dei sospetti terroristi di alcuni paesi, non furono fermati. Come ha scritto efficacemente Adam Nossiter sul New York Times, «I cospiratori di Parigi si spostarono facilmente dentro e fuori l’Europa: elaborarono i loro piani in un paese, il Belgio, prima di metterli in pratica in un altro, la Francia. Poi uno di loro superò il confine di nuovo, sfruttando il vantaggio dell’apertura delle frontiere, un fondamento dell’Unione Europea». Nossiter si riferisce a Salah Abdeslam, il terrorista francese che cambiò idea poco prima di farsi esplodere allo Stade de France di Parigi e che rientrò in Belgio superando il confine tra i due paesi in macchina.

Nelle ultime settimane sono emersi altri tre episodi simili che hanno messo in imbarazzo l’intelligence belga, ma più in generale il sistema di intelligence europeo. Il primo si è verificato a settembre del 2015, due mesi prima degli attentati di Parigi: Salah Abdeslam, Najim Laachraoui (considereato l’artificiere dello Stato Islamico in Europa, uno dei due attentatori morti all’aeroporto di Bruxelles) e Mohamed Belkaid (ucciso in un appartamento a Forest, a sud di Bruxelles, durante una perquisizione della polizia) furono fermati dalle autorità ungheresi al confine tra Ungheria e Austria, ma presentarono documenti belgi falsi e furono lasciati andare. Si sa per certo che Laachraoui era già stato in Siria a combattere ma non fu riconosciuto e fermato dagli ungheresi.

Il secondo si è verificato nel giugno del 2015: il belga Ibrahim el Bakraoui, uno degli attentatori suicidi dell’aeroporto di Bruxelles, fu fermato dalle autorità turche mentre cercava di entrare in Siria. La Turchia ha detto che il Belgio fu avvisato che el Bakraoui era pericoloso, ma che il Belgio non riuscì a trovare elementi sufficienti per formalizzare le accuse contro di lui. El Bakraoui fu rimpatriato nei Paesi Bassi, su sua richiesta, e poi da uomo libero tornò in Belgio. Secondo una fonte di Reuters, el Bakraoui tornò di nuovo in Turchia nell’agosto del 2015, di nuovo con l’intenzione di unirsi alle milizie jihadiste in Siria. Fu ancora fermato dalle autorità turche e rimpatriato in Europa. La storia è aggravata anche da un altro elemento: el Bakraoui era stato arrestato in Belgio nel 2010 per rapina e condannato a 10 anni di carcere. Nel 2014 era stato liberato con la condizionale, con l’obbligo di non lasciare il Belgio e di presentarsi alle autorità giudiziarie una volta al mese. Secondo alcuni giornali belgi, il giorno del primo arresto in Turchia era anche l’ultimo prima della scadenza del termine per presentarsi alle autorità giudiziarie di Bruxelles. Di fatto el Bakraoui aveva anche violato la libertà provvisoria (il rimpatrio si concluderà a luglio). Il tribunale di Bruxelles decise per la revoca della libertà vigilata solo ad agosto, ma el Bakraoui non tornò mai in prigione.

Il terzo episodio particolarmente imbarazzante per l’intelligence e le autorità belghe riguarda Khalid el Bakraoui, fratello di Ibrahim e attentatore alla metropolitana di Bruxelles. Lo scorso dicembre furono spiccati due mandati di cattura per Khalid – uno europeo e uno internazionale – entrambi pubblicati sul sito dell’Interpol ed entrambi riferiti a reati di terrorismo legati agli attentati del 13 novembre a Parigi. L’avviso dei due mandati di cattura non fu però ripreso dal sito della polizia federale belga, nonostante Khalid fosse già sospettato dalla magistratura belga di avere affittato un appartamento a Charleroi usato dalla cellula franco-belga per progettare gli attentati di Parigi.

Il problema dell’intelligence europea
Nonostante molte di queste inefficienze siano da attribuire ai belgi – come hanno riconosciuto anche loro stessi, tra l’altro – il problema del Belgio va capito anche guardando altro: soprattutto le molte mancanze nel sistema europeo di condivisione delle informazioni raccolte dalle agenzie nazionali di intelligence. Dopo Bruxelles, così come dopo Parigi, diversi analisti e politici europei hanno chiesto che venisse finalmente creata un’agenzia di intelligence dell’Unione Europea, che oggi non esiste. Quello che esiste da una decina d’anni è il “coordinatore antiterrorismo”, una figura istituita dopo gli attentati di Madrid del 2004 e creata dal Consiglio europeo, ma considerata “debole” e senza capacità operative da un recente rapporto del Parlamento francese. Ci sono poi un’altra serie di organi e iniziative, sempre relative al problema del terrorismo: una delle iniziative più recenti è stata presa del Servizio europeo per l’azione esterna (che si occupa degli affari esteri dell’UE) e ha previsto l’invio di alcuni ex funzionari dell’intelligence e della sicurezza in paesi considerati sensibili al problema del terrorismo.

Le misure prese finora sembrano però non essere state sufficienti. In Europa ci sono ancora troppe agenzie di intelligence e troppi database di raccolta dati dei sospettati. Molti di questi database sono incompleti o inaccessibili per le stesse autorità, ha raccontato Nossiter sul New York Times. Per esempio un database fondamentale è il Schengen Information System (SIS), che però è sostenuto e aggiornato solo dalle intelligence di alcuni paesi membri – come quella francese – e per lo più ignorato dalle altre. L’Europol, l’agenzia di polizia europea, ha detto che circa 5mila cittadini dell’Unione Europea si sono radicalizzati e sono andati a combattere in Siria e Iraq unendosi a vari gruppi jihadisti, tra cui lo Stato islamico. Il database dell’Europol contiene però solo 2.786 nomi di foreign fighters: secondo Guido Sternberg dell’Institute for International and Security Affairs in Germania, «il problema più grande dipende nei diversi livelli di professionalità tra i servizi di sicurezza in Europa. Abbiamo un grande numero di stati ben equipaggiati, come la Francia e il Regno Unito, qualche stato più debole, come la Germania, e degli stati che sono completamente sopraffatti dagli eventi, come il Belgio». Un altro database contiene 90mila impronte digitali ma non prevede alcuna possibilità di trovare informazioni con un “cerca”. La tanto dibattuta proposta di condividere le informazioni sui PNR dei passeggeri aerei (Passenger Name Record, il codice che include tutte le informazioni relative a un passeggero) è ancora ferma.

Creare un’agenzia comune dell’intelligence viene vista spesso come l’unica soluzione possibile, ma non è semplice. Per prima cosa a causa delle molte resistenze delle intelligence dei paesi membri, che spesso non vogliono condividere informazioni su indagini ancora in corso: condividere l’intelligence viene visto un po’ come condividere il settore della Difesa, una proposta che finora è sempre naufragata perché minaccia la sovranità di ciascuno stato membro. E poi perché non si sta parlando di mettere d’accordo una sola agenzia di intelligence per ciascun paese membro: molti paesi hanno l’intelligence per l’interno e per l’estero, quella civile e quella militare, e così via (per esempio in Francia ci sono più di 30 agenzie che si occupano di intelligence e che già faticano a collaborare tra loro). Dopo gli attentati di Bruxelles, comunque, i governi degli stati membri hanno cominciato a discutere con più urgenza di alcune di queste proposte. La direttiva sul PNR e la maggiore condivisione di informazioni sono state individuate come due delle iniziative da realizzare il prima possibile dalla riunione dei ministri degli Interni e della Giustizia che si è tenuta giovedì a Bruxelles.