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  • Martedì 8 marzo 2016

C’è una specie di quasi accordo sui migranti

Il lungo incontro di Bruxelles si è concluso con la promessa di lavorare su un piano di scambio tra migranti irregolari e rifugiati siriani, ma se ne riparla la settimana prossima

Il primo ministro della Turchia, Ahmed Davutoğlu, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker (EMMANUEL DUNAND/AFP/Getty Images)
Il primo ministro della Turchia, Ahmed Davutoğlu, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker (EMMANUEL DUNAND/AFP/Getty Images)

Unione Europea e Turchia hanno trovato una specie di accordo di massima sulle misure per gestire i flussi di migranti verso l’Europa, ma hanno rinviato ogni decisione finale a un nuovo incontro previsto per la prossima settimana. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha elencato in un comunicato i punti su cui l’UE ha “concordato di lavorare” con la Turchia per affrontare ulteriormente la crisi: la proposta è che la Turchia riaccolga nel suo territorio i migranti irregolari arrivati nelle isole greche, e che l’Europa inizi a esaminare le richieste d’asilo direttamente in Turchia, senza bisogno che migliaia di persone cerchino di entrare irregolarmente in Europa. L’Unione Europea si è anche impegnata ad agevolare le procedure per l’ingresso della Turchia nella UE, oltre a fornire aiuti economici per gestire più efficacemente i rifugiati presenti in territorio turco. La prima conseguenza, già esplicitata da alcuni capi di stato europei, è che la “rotta balcanica” – il tragitto più frequentato dai migranti provenienti dal Medio Oriente, che parte dalla Grecia e prosegue verso nordovest fino ai paesi dell’Europa occidentale – è di fatto chiusa.

Le proposte fatte dal governo turco, e su cui si continuerà a discutere nei prossimi giorni, comprendono:

• un’accelerazione delle pratiche per non rendere più necessario il meccanismo dei visti per chi viaggia tra Turchia ed Europa, da mettere in piedi entro l’estate di quest’anno;
• lo sblocco di 3 miliardi di euro di fondi promessi a ottobre per aiutare la Turchia ad affrontare la crisi umanitaria legata alle centinaia di migliaia di persone scappate dalla guerra in Siria, e che ormai da anni vivono in campi in territorio turco;
• l’apertura di nuovi canali di contrattazione per accelerare il processo di integrazione europeo della Turchia.

Secondo il cancelliere tedesco, Angela Merkel, un accordo basato sui punti identificati nella riunione di ieri a Bruxelles potrebbe costituire un importante passo avanti per fermare il pericoloso viaggio dei migranti verso la Grecia, e in seguito verso il nord dell’Europa lungo la cosiddetta “rotta balcanica”. Alla fine della serie di incontri, durati quasi 12 ore, Merkel ha comunque detto che i leader europei avranno bisogno di qualche giorno per definire un accordo finale. Il prossimo incontro è previsto per il 17 e 18 marzo. Tra alcuni leader europei c’è comunque un certo scetticismo sulla possibilità di applicare nella pratica l’accordo, soprattutto per quanto riguarda il meccanismo di rinvio in Turchia dei migranti irregolari, in cambio di una rotta “legale” per consentire ai rifugiati siriani di raggiungere l’Europa: e non sarebbe la prima volta che accordi trovati e annunciati a Bruxelles risultino poi inefficaci o addirittura mai applicati.

Durante le trattative, il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi ha minacciato di mettere un veto sull’accordo con la Turchia se nel testo non fosse stato aggiunto un passaggio sulla necessità di preservare la libertà di stampa nel paese, che negli ultimi mesi ha subito ulteriori limitazioni (pochi giorni fa un importante giornale di opposizione, Zaman, è stato di fatto commissariato). Preoccupazioni simili sono state espresse da altri leader: Federica Mogherini, responsabile della politica estera dell’UE, ha chiesto alla Turchia di rispettare i principi democratici anche per quanto riguarda la tutela della libertà di espressione.

Nelle ultime settimane diversi paesi balcanici – anche quelli che all’inizio della crisi si erano dimostrati più tolleranti – hanno aumentato i controlli ai propri confini o introdotto restrizioni giornaliere sul numero di migranti da accogliere nel proprio territorio. Si è creato un effetto domino per cui la circolazione dei migranti – fluida e anzi agevolata fino a pochi mesi fa: nessuno voleva tenere troppo a lungo sul proprio territorio migliaia di persone di cui occuparsi – si è rallentata fino a bloccarsi: la situazione più grave è in corso a Idomeni, un piccolo paese della Grecia vicino al confine macedone, dove attualmente sono bloccate circa 13mila persone perché la Macedonia ammette nel proprio territorio solamente poche decine di persone al giorno.

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