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  • Domenica 6 marzo 2016

La storia dell’ex cosmonauta siriano che ha disertato dall’esercito di Assad

Muhammed Faris fu il primo siriano ad andare nello Spazio, con l'inizio della guerra si è schierato con i ribelli

Muhammed Faris
Muhammed Faris

Il 22 luglio del 1987 Muhammed Faris, un siriano sunnita di Aleppo, partecipò assieme a due cosmonauti russi a una missione sulla MIR, la storica stazione spaziale sovietica (poi russa) rientrata in atmosfera nel marzo del 2001. Faris fu il primo cosmonauta siriano a partecipare a una missione spaziale e il secondo arabo ad andare nello Spazio dopo Sultan Bin Salman Al Saud, un membro della famiglia reale saudita. In Siria Faris è ancora considerato un eroe nazionale, ma negli ultimi cinque anni sono cambiate molte cose: all’inizio della guerra siriana, nel 2011, Faris decise di disertare dall’esercito di Assad e di passare al fronte dei ribelli. Oggi ha 64 anni e vive a Istanbul, dove c’è il suo nuovo ufficio e le sue vecchie medaglie al valore che ottenne negli anni di collaborazione con l’Unione Sovietica. Il Guardian ha raccontato la sua storia, quella del «disertore di più alto rango del regime di Assad».

Faris si unì all’accademia aeronautica nel 1969; nel giro di pochi anni aderì al partito Baath, il partito di cui fa parte anche Assad, e iniziò a fare il pilota e l’istruttore per l’aeronautica militare siriana. Nel 1985 fu selezionato per il programma spaziale sovietico Interkosmos, ma il processo che lo portò a partecipare alla missione spaziale del 1987 non fu affatto facile: il governo siriano – allora guidato da Hafez Assad, padre di Bashar – si oppose alla sua candidatura: Faris era sunnita, come la maggior parte della popolazione siriana, mentre Assad faceva parte degli alauiti, un gruppo religioso associato allo sciismo. Il governo siriano mandò a Mosca una sua delegazione per “aiutare” i sovietici a scegliere il candidato siriano ideale per la missione: Faris non era il preferito dai siriani ma fu l’unico che dimostrò di avere i requisiti fisici e le capacità per partecipare a un programma di quella difficoltà. I sovietici – nonostante fossero in ottimi rapporti con i siriani – decisero di fare di testa loro e lo scelsero. Dopo la missione sulla MIR – che durò pochi giorni – Faris tornò ad Aleppo, si unì di nuovo all’aeronautica militare, raggiunse il grado di generale e cominciò ad addestrare nuovi piloti.

I problemi per Faris cominciarono dopo l’inizio della guerra in Siria. Tre mesi fa Faris ha raccontato a Middle East Eye – un sito specializzato di cose di Medio Oriente – che la situazione in Siria non era mai stata troppo buona, ma che la vera crudeltà del governo di Assad cominciò a emergere con la guerra: «C’erano questi piloti, alcuni dei quali avevo addestrato personalmente, che stavano bombardando la nostra stessa popolazione. Era una cosa insostenibile e inaccettabile». Dopo le prime proteste iniziate sulla scia delle cosiddette “primavere arabe”, il governo di Assad cominciò a reprimere gli oppositori con la violenza. Nel giro di poco tempo gli scontri diventarono qualcosa di più, trasformandosi in una guerra civile. Faris cominciò a collaborare con l’Esercito Libero Siriano, uno dei primi gruppi di opposizione ad Assad, e iniziò a pianificare la sua fuga dalla Siria: nell’agosto del 2012 riuscì a scappare in Turchia insieme alla moglie e ai suoi tre figli.

Faris ha raccontato al Guardian di avere ricevuto offerte di aiuto da alcuni amici russi, ma di avere risposto con disgusto all’idea di chiedere asilo politico in Russia: «Putin non è l’Unione Sovietica. Questi russi sono assassini e criminali e sostenitori di altri assassini». Faris ha rifiutato anche l’aiuto offerto da alcune organizzazioni non governative europee, dicendo di non voler essere usato come uno strumento politico. Oggi lavora regolarmente come consulente per il governo turco sulle politiche da adottare con i rifugiati siriani e fa parte di un gruppo di opposizione siriana che ha le sue basi principali in Turchia e in Spagna. Di recente ha detto: «Preferirei morire piuttosto che tornare in una Siria governata ancora da Assad».