Le due strade possibili sulle unioni civili

Domani o si tira dritto votando tutti gli emendamenti o si riscrive la legge con un maxi-emendamento su cui porre la fiducia: Renzi ha detto che preferisce la seconda

Angelino Alfano e Matteo Renzi al Senato (Roberto Monaldo / LaPresse)
Angelino Alfano e Matteo Renzi al Senato (Roberto Monaldo / LaPresse)

Parlando ai senatori del PD, il segretario del partito e presidente del Consiglio Matteo Renzi ha descritto le due strade possibili per arrivare all’approvazione delle unioni civili: votare la legge così com’è con tutti i suoi emendamenti, senza poterli aggirare e contando sul promesso sostegno del Movimento 5 Stelle, oppure modificarla in accordo col Nuovo Centro Destra e porre la questione di fiducia. Nel corso del suo discorso, stando a quanto hanno ricostruito i giornali, Renzi ha detto che a questo punto non ci si può fidare del Movimento 5 Stelle e che «perseverare sarebbe diabolico»; e quindi ha fatto capire di preferire la seconda ipotesi – che però porterebbe probabilmente all’eliminazione dalla legge della stepchild adoption – per quanto debbano essere i senatori del PD a prendere una decisione finale.

La discussione al Senato sul ddl Cirinnà ricomincerà domani, mercoledì 24 febbraio, dopo la sospensione chiesta dai senatori del Partito Democratico al termine della difficile giornata di mercoledì scorso. Quel giorno la discussione sul ddl Cirinnà era stata interrotta dopo che era saltato il patto tra Lega e PD: la Lega Nord – contraria all’approvazione del ddl Cirinnà – aveva annunciato di voler ritirare la maggioranza dei 5mila emendamenti presentati mantenendone 580 e aveva chiesto al Partito Democratico – che invece ha proposto e sosterrà la legge, almeno con la maggioranza dei suoi senatori – di ritirare come stabilito il “supercanguro” di Andrea Marcucci, un emendamento all’articolo 1 che conteneva tutti i punti principali della legge e che, se approvato, avrebbe fatto cadere in un colpo solo quasi tutte le modifiche presentate dalle opposizioni.

Il PD aveva però deciso di non ritirarlo e il M5S – che in passato non ha mai votato a favore del meccanismo parlamentare del cosiddetto canguro – con i suoi 35 senatori aveva detto di non avere intenzione di dare il suo appoggio all’emendamento del PD, insieme a Forza Italia, Area Popolare e Lega. Il M5S aveva chiesto di proseguire immediatamente la discussione e di votare il ddl «articolo per articolo, emendamento per emendamento»: questo, secondo il PD, avrebbe causato un eccessivo allungamento dei tempi di discussione e avrebbe rischiato di snaturare la legge se qualche emendamento di opposizione fosse passato. Dopo una riunione dei capigruppo chiesta dal senatore del PD Luigi Zanda, quindi, la discussione era stata sospesa e rimandata a questa settimana.

Domenica 21, poi, il presidente del Consiglio e segretario del PD, Matteo Renzi, era intervenuto all’Assemblea nazionale del partito, dove, tre le altre cose, aveva parlato anche di cosa succederà al ddl Cirinnà sulle unioni civili. Renzi aveva criticato il Movimento 5 Stelle e aveva detto che per far approvare la legge avrebbe potuto essere necessario fare un nuovo accordo con la maggioranza che sostiene il governo.

L’accordo per ritrovare un patto all’interno della maggioranza di governo, dunque con Angelino Alfano di NCD e l’area cattolica del Partito Democratico, prevederebbe eventualmente la presentazione di un maxi-emendamento che riscriva in parte la legge, su cui poi dovrebbe essere chiesto un voto di fiducia. La decisione è stata confermata ieri mattina dopo una riunione a Palazzo Chigi tra Matteo Renzi, la ministra per le Riforme e i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi e i capigruppo del Pd Ettore Rosato e Luigi Zanda. Questo permetterebbe di chiudere la discussione e la questione delle unioni civili con una sola votazione entro pochi giorni. La legge passerebbe poi all’esame della Camera, dove la maggioranza del PD è molto più ampia.

Il maxi-emendamento, per come è stato descritto, prevede però un indebolimento del ddl Cirinnà: stralcia innanzitutto l’articolo 5, quello che estende la stepchild adoption anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso, a cui NCD è contraria, e prevede l’inserimento degli emendamenti del senatore del PD Giuseppe Lumia all’articolo 3 per cancellare dal codice civile ogni riferimento che rischi di sovrapporre matrimonio e unione civile. Diversi giornali scrivono che le trattative in corso con NCD sul testo del maxi-emendamento riguardano anche altri punti: la questione della reversibilità della pensione e quella sul cognome del compagno o della compagna, punti che il partito di Alfano vorrebbe eliminare perché porterebbero le unioni civili sullo stesso piano del matrimonio. Roberto Formigoni e altri senatori hanno anche chiesto che la gestazione per altri (che in modo peggiorativo si continua a chiamare “utero in affitto”) venga riconosciuta come «reato universale».

Di fronte all’ipotesi del maxi-emendamento con fiducia, il M5S – che ha ribadito anche negli ultimi giorni di sostenere la legge e di non mettersi di traverso sulla votazione degli emendamenti – si è appellato al presidente del Senato, Pietro Grasso, e ha chiesto di convocare con urgenza una riunione di capigruppo «per definire una tempistica certa ed evitare il maxi-emendamento e la fiducia, con cui il governo vuole esautorare il Parlamento». Anche all’interno del PD sono arrivate diverse critiche allo stralcio della stepchild adoption. La minoranza bersaniana ha chiesto a Renzi che su questo preciso punto potesse votare l’aula. Miguel Gotor ha detto che «i voti ci sono, ma non li si vuole cercare. I grillini sono usati come alibi». Cesare Damiano ha spiegato che «la strada dell’accordo di maggioranza è sbagliata». E il sottosegretario al ministero delle Riforme Luciano Pizzettilo ha spiegato: «Renzi ha messo lì due opzioni e io penso che quella migliore rimanga il percorso parlamentare».

Domani
Domani pomeriggio la discussione in aula al Senato dovrebbe cominciare dalla dichiarazione di inammissibilità degli emendamenti “canguro”. Il governo – se avrà superato positivamente la riunione di oggi – annuncerà la presentazione del maxi-emendamento. Il voto di fiducia potrebbe arrivare giovedì o al massimo nei primi giorni della prossima settimana. E sul voto di fiducia non dovrebbero esserci particolari problemi. Nell’ultimo voto di fiducia al Senato sul ddl di riforma costituzionale c’erano stati 180 voti a favore della maggioranza (la maggioranza, se tutti i senatori sono presenti, è a 161 voti). Il Corriere della Sera ha riassunto in un’infografica i voti di fiducia ottenuti dal governo al Senato in diversi passaggi importanti.

Il Partito Democratico ha 112 senatori, NCD 32. Per arrivare ai 161 voti necessari mancherebbero 17 voti che potrebbero arrivare dal gruppo misto (14 dei 26 senatori che compongono il gruppo misto avevano dichiarato il loro sostegno alla legge) o dal gruppo Per le autonomie che conta 20 senatori dalla provenienza più disparata e che nei mesi scorsi hanno votato sia contro che a favore del governo. Nel caso del ddl di riforma costituzionale avevano sostenuto la maggioranza di governo anche 2 senatori di Forza Italia e 2 di Grandi Autonomie e Libertà. Ma potrebbero arrivare i voti favorevoli anche dei cosiddetti “verdiniani” che nel gruppo Alleanza Liberalpopolare-Autonomie contano su 19 senatori e che in passato hanno quasi sempre votato con il governo: se votassero la fiducia, sarebbe la prima volta.

Sel con i suoi 6 senatori ha fatto sapere invece che non voterà una fiducia «gravissima e sbagliata». Non voteranno la fiducia nemmeno Forza Italia, 40 senatori, Conservatori e Riformisti, 9 senatori, Lega Nord, 15 senatori. Resta da vedere che decisione prenderanno i senatori del Movimento Cinque Stelle. Nunzia Catalfo, capogruppo del Movimento al Senato, ha dichiarato che «la fiducia non si può votare». La loro strategia per il dibattito parlamentare potrebbe prevedere anche l’abbandono dell’aula.