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  • Mercoledì 17 febbraio 2016

Una storia del PCI a Milano nel 1977

Il nuovo romanzo di Lodovico Festa è sia un giallo che una ricostruzione di come era la vita dei militanti del Partito Comunista negli anni Settanta

Il ritratto di Stalin davanti alla Federazione Milanese del PCI, alla sua morte nel 1953 (FARABOLAFOTO)
Il ritratto di Stalin davanti alla Federazione Milanese del PCI, alla sua morte nel 1953 (FARABOLAFOTO)

Lodovico Festa ha 68 anni ed è un giornalista e scrittore con un passato di intensa militanza e responsabilità nella FGCI e nel Partito Comunista Italiano a Sesto San Giovanni e Milano. Nel 1996 ha fondato il quotidiano il Foglio insieme a Giuliano Ferrara e ne è stato poi condirettore: poi ha continuato a scrivere su diverse testate, spostando le sue simpatie politiche più verso il centrodestra.
Sellerio ha appena pubblicato un suo romanzo, “La provvidenza rossa“, che racconta la storia di un delitto e delle parallele indagini di polizia e PCI nella Milano del 1977. Questo è il capitolo in cui la sezione del PCI a cui apparteneva la ragazza uccisa discute sul da farsi.

La sede della sezione Sempione era in via Rosmini al 12, in un edificio di cemento anni Sessanta, non privo di una sua eleganza. Aveva belle finestrone a tutta parete che davano sulla strada e illuminavano bene l’ambiente interno. Sei aperture che ricordavano quelle delle stanze che hanno le lavoratrici del sesso nel quartiere del peccato ad Amsterdam, proprio affacciate sulla strada. Mancavano solo le lucine rosse e le tendine da tirare giù quando si consumava. Lì in sezione, in realtà, quando si consumava, cioè quando si teneva una riunione, la serranda, clèr in milanese, era tirata su e la si abbassava solo al momento dell’uscita verso la mezzanotte, con quel bel rumorone che faceva quando era tirata giù di colpo, tra l’entusiasmo degli inquilini delle case intorno.

Sedie, scrivanie, tavolini per gli oratori, macchine da scrivere, ciclostili, libri e opuscoletti raccolti senza logica, armadietti con archivi, armadietti senza archivi, archivi senza armadietti: l’arredo interno era quello tipico delle sezioni del Pci. Oggetti raccolti a caso, comprati d’occasione, regalati da compagni che smontavano un ufficio.

Dopo le 18 quelli del direttivo della Sempione avevano cominciato ad arrivare in sezione. Naturalmente non c’era solo il tesseramento, che pur stava dando qualche preoccupazione. Si era diffusa la voce dell’assassinio della Calchi, la Bruna, quella ragazzona che tutti conoscevano non solo perché aveva partecipato a mille iniziative del partito e connesse organizzazioni di massa: dall’Arci alla Confesercenti alla Lega delle cooperative alla Cgil. Ma anche perché il suo chiosco era a duecento metri da via Rosmini. E ogni otto marzo si passava di lì per comprare un mazzetto di mimose, il primo maggio per un garofano rosso.

Cordoglio e dolore per la morte della ragazza certo ce n’era, ma la questione era poi, come sempre, innanzi tutto politica. Chi c’era dietro a quel vistoso delitto? Una provocazione? Una provocazione fascista? Una provocazione fascista compiuta da qualche terrorista sedicente rosso? Comunque, si presentava un chiaro problema di sicurezza da imputare a un governo che, per quanto prudentemente sostenuto dal Pci, era pur sempre espressione dei corrotti democristiani.

I membri del direttivo entrarono uno dopo l’altro, quattordici più tre probiviri, con un’arietta compunta che li distingueva da chi era arrivato lì per fare la tessera o per avere notizie sull’assassinio. L’arietta segnalava certo tristezza per la tragedia, e insieme serietà per la gravità del momento e l’autorità dei convenuti ad affrontarlo.

Il direttivo era convocato nella sala interna, che si affacciava sul cortile. Marozzi aveva discusso con Sisti l’orientamento da dare alla discussione: una risposta ferma ma senza esasperazioni, senza una sbavatura nella mobilitazione. Come aveva detto Sisti, che poi aveva mandato Luca Caligaris del comitato cittadino, un lungagnone di ventisette anni e barba bionda, che i compagni della sezione conoscevano bene perché passava a trovarli almeno una volta al mese.

Marozzi introdusse la riunione: «Compagni, siamo qui sconvolti per la scomparsa della Bruna. Ed è bene che ci scambiamo con franchezza qualche idea sul brutale assassinio della nostra valorosa militante. E valutiamo le iniziative da prendere. Tra l’altro ho parlato con la sua mamma che vuole un funerale civile con le bandiere rosse e un discorso a nome del partito in sua memoria. Parleremo io e Desiderio Verzelli che segue l’area fiori della Confesercenti. Sono stato poi al commissariato di zona dove, e c’era d’aspettarselo, i poliziotti non sanno ancora niente e fanno discorsi del cavolo su crimini passionali o d’interesse. Ho parlato con i compagni della segreteria che ci chiedono di controllare bene ogni nostra reazione. Questo non ci esenta dal domandarci che cosa c’è dietro all’omicidio della compagna Calchi. Che cosa si sta muovendo nel nostro quartiere, vi è uno spostamento di forze verso la criminalità? Si è insediata una qualche organizzazione reazionaria che vuole colpirci? Le nostre lotte hanno toccato interessi così forti che rispondono in questo modo? E, più in generale, questo governo è in grado di garantire la sicurezza dei cittadini senza lederne però i diritti democratici? Dobbiamo porci questi interrogativi. E dobbiamo ricordare come una riflessione che non porti all’azione sia sterile. Mi chiedo quindi, considerata la popolarità della nostra cara iscritta – il suo chioschetto era un centro non solo di scambi commerciali ma di vere e proprie relazioni umane e culturali –, se non dovremmo uscire con un volantino che orienti i cittadini su un fatto grave e sentito come questo assassinio». Marozzi voleva bene al Sisti, nella sostanza voleva ubbidirgli. Ma in un momento così, un minimo di protagonismo, suo e della sezione, era inevitabile.

Caligaris lo guardò con un filo di perplessità, ma convenne che un volantino in più non avrebbe prodotto troppa tensione politica. Soprattutto se non si fosse ecceduto nei toni.

Il primo a intervenire fu Giuseppe Paternò, operaio della Tamoil di Buccinasco, nato in provincia di Catania, trentenne, un metro e 55, simpatico, affabile, scuro di capelli e carnagione con due baffetti da carabiniere. Nessuno riusciva mai a capire bene quello che dicesse, perché parlava un dialetto molto stretto e storpiava tutte le consonanti possibili: le esse, le ti, le di, le gi, le ci, le pi, le erre, le vi e qualcun’altra ancora. Paternò era stato messo nel direttivo perché era l’unico operaio «attivo in produzione e attivista nella militanza» e si sa: un partito che si considera l’avanguardia della classe operaia deve avere almeno un vero operaio in ognuno dei suoi organismi dirigenti. Pur con qualche difficoltà, riuscì a far arrivare il suo messaggio: attenzione a non eccedere se poi si scopre che le ragioni dell’omicidio sono personali (robba di corni disse pressappoco Paternò).

L’obiezione colpì l’assemblea. Valerio Farucchini, funzionario dell’assessorato regionale alla Cultura e che dunque si considerava un fine intellettuale e uno stratega, spiegò come fosse indispensabile alzare il tiro. Posizione contestata dall’amendoliano della sezione, Oreste Trotti, un maestro, che richiamò la drammaticità della situazione nazionale. Fernando Cattani, professore di greco in uno dei principali licei cittadini e anche lui seguace – come gran parte della sezione – di Pietro Ingrao, appoggiò Farucchini. Cesira Sarti, un’ambulante di Forlì che aveva sposato la causa femminista, insistette sull’aspetto sentimentale della vicenda e sul fatto che la «Bruna merita almeno un duro volantino di denuncia». Marozzi capì dove buttava il vento e per ammorbidire i toni della discussione usò l’espediente che gli aveva suggerito Sisti. Parla della «fase», gli aveva detto. A dei comunisti se gli parli della fase e gli dici con convinzione che questa è una fase che richiede prudenza, vedrai che si calmano. Parlare della fase fu come gettare sabbia sulle fiamme.
 Alla fine Farucchini propose un testo, che voleva avere un tono elevato in onore della scomparsa: «Abitanti del Sempione conoscevate bene Bruna Calchi: la bella fioraia comunista che con il suo lavoro ingentiliva il nostro quartiere. Forse conoscevate le sue battaglie per i diritti dei fiorai, per una piazza 6 Febbraio più dolce, i suoi cuba libre alla festa dell’Unità all’Arco della Pace, le sue recite teatrali al garage di via Eupili. Era una ragazza piena di vita e d’amore. Se è morta per una provocazione anticomunista, lo scopriremo e faremo condannare i colpevoli. Comunque le mancanze di un governo che lascia insicure aree così importanti come il nostro quartiere, sono evidenti. Testimoniate con noi, firmando il cordoglio per la sua morte nella camera ardente che sarà allestita presso la sezione Sempione, via Rosmini 12».

«Come? Vuoi fare la camera ardente in sezione? Ma c’è il tesseramento» sbottò Loris Gnocchi, impiegato delle poste, quarantacinquenne, il tesoriere della sezione.

«Certe volte le questioni materiali passano in secondo piano» rispose Cattani.

«Ottima idea, mettiamo la salma nella sala davanti e qui nella saletta dietro possiamo continuare a fare le tessere» concluse Marozzi.

Caligaris si fece passare il testo scritto da Farucchini e precisò un paio di parole sul governo, attenuando il pathos del volantino e allineandolo meglio alle posizioni del partito.

Marozzi con piglio decisionale corse al telefono, parlò con la vecchia Calchi, affranta dal dolore, strappò un impegno a portare la salma in sezione quando si fosse finito con l’autopsia. Poi corse alla macchina da scrivere per battere il volantino sulle micidiali matrici del ciclostile. Solo i più abili riuscivano in questa impresa. E dopo ancora, si dovette fissarlo, buchi della matrice su spunzoni del ciclostile, e tirare i volantini: un’impresa eroica da cui si poteva uscire vivi ma mai puliti.

“La provvidenza rossa” sarà presentato a Milano giovedì 18 febbraio alle 19,00 presso la Libreria Parole e Pagine di via della Moscova 24, con Lodovico Festa, Gad Lerner e Pierluigi Panza.