Dieci belle canzoni di Renato Zero

Per farlo conoscere a chi lo ha solamente sentito nominare, e rinfrescare la memoria agli altri: ieri è stato ospite alla serata finale di Sanremo

(ANSA/ARTIOLI)
(ANSA/ARTIOLI)

Renato Zero è un noto cantautore italiano la cui carriera è cominciata negli anni Settanta. Sabato 13 febbraio ha partecipato come ospite alla serata conclusiva del Festival di Sanremo. Queste sono le dieci canzoni di Renato Zero che Luca Sofri, peraltro direttore del Post, scelse per il suo libro Playlist, La musica è cambiata.

Renato Zero (1950, Roma)
Tutta la parte dei lustrini, del melodramma da palcoscenico, dell’attaccarsi alle tende, della passione sincera con cui ha sempre vissuto qualsiasi cosa fino all’ultima paillette, tutta quella parte lì è insieme essenziale ed accessoria. Renato Zero ha anche semplicemente cantato delle gran canzonette, buttandocisi dentro senza pudori e misure, con conseguenze in cui il confine tra il kitsch e il commovente è negli occhi di chi guarda e nelle orecchie di chi ascolta. E un tempo fu una cosa nuova e rivoluzionaria per lo spettacolo italiano.

No! Mamma no!
(No! Mamma, no!, 1973)
Ritratto ironico del mammonismo nazionale, dove il protagonista sostiene che siano state le troppe coccole materne ad averlo reso così squinternato e fragile che ora lei lo vuole lasciare da solo in una clinica: “tutta colpa tua, se io non sono come vuoi”.

Motel
(Trapezio, 1976)
Grande ballata appassionata e romantica, che descrive “i nostri incontri… e il nostro solito rifugio in quel motel”. Bellissima. “Qui, siamo entrati così, siamo usciti così, come due senza nome”, e un amore che esiste solo in questa stanza.


Un uomo da bruciare

(Trapezio, 1976)
Poi dice come mai Renato Zero aveva così tanto successo. Perché raccontava ansie vere e concrete, mentre gli altri scrivevano di amori straordinari e indefiniti: “Adesso che sei il garzone del droghiere, e con le mance in tasca sei un signore”. “Un uomo da bruciare” è un commovente racconto di piccole prospettive e grandi speranze, cantato un po’ sopra le righe. Il dialogo con la signora sul prosciutto e il formaggino è fantastico. Uscì in 45 giri assieme a “Madame”.

Salvami
(Trapezio, 1976)
Delle vite segnate e delle occasioni di salvarsi che non arrivano. Lui una volta studiava da ingegnere, ma ora sotto i ponti ci vive e sulla strada ci lavora: “Salvami, dalla notte che verrà, senza mai un nome, senza identità”.

Morire qui
(Zerofobia, 1977)
Proclama retorico di indipendenza da una relazione materiale ed egoista – “senza più un avvenire, senza più dignità” – che sarà reiterato sovente nella carriera canora di Zero. Qui con un gran ritmo.
“Non è finita lo sento! Potrà cambiare il vento! E sarà dolce morire così, morire fuori di qui!”. Applausi.

Il cielo

(Zerofobia, 1977)
“Gli spermatozoi, l’unica forza, tutto ciò che hai”. “Il cielo” è per metà un manifesto di fricchettonismo conservatore (e antiabortista) e per metà una grandissima ballata sentimentale all’altezza delle più grandi canzoni pop italiane. Scritta a Ventotene, è probabilmente la sua canzone più amata.

Il triangolo
(Zerolandia, 1978)
Un pezzo di storia, l’introduzione allegra nella familiarità italiana della prospettiva di un rapporto a tre, a cui il Paese reagì fingendo di cadere dalle nuvole divertito: “il triangolo no, non l’avevo considerato”. Fu un gran successo, e l’ingresso nello starsystem nazionale.

Sbattiamoci
(Zerolandia, 1978)
Le canzoni di Renato Zero sono di tre tipi: i lenti appassionati, i divertissement sfrontati, e le altre. Capolavoro del secondo genere (a cui appartiene anche “Sgualdrina”, cover di “Dreamer” dei Supertramp), “Sbattiamoci” si definisce tutta in quel fantastico “spogliati!”, e nel racconto di sesso decisamente scanzonato e foriero di sorprese:

Non ci sbattiamo più, non potevi dirmelo anche tu, che ti chiami Massimo, è uno scherzo pessimo, vatti a fare sbattere più giù!.
(Sei triste? Eh, un pochino… E perché sei triste? Perché non ci sbattiamo più… Ma proprio più più più? Ma che più più più: meno meno meno!)”

Nascondimi
(EroZero, 1979)
La strofa è terribile, urlacchiata e ansiogena. Il che rende ulteriormente liberatoria l’apertura “nascondimi ti prego in una canzone, in un pensiero che non sia una prigione”. Il tema è antiproibizionista (lui annaffia il suo garofano spesso, ma siamo prima del craxismo), lui è una specie di Truman nel Truman Show: “Ogni sbadiglio è controllato, fare l’amore qui è peccato”. Versi migliori: “lasciami un giorno ancora al mio carnevale, lasciami un Cristo ancora da ritrovare”.

Amico
(Tregua, 1980)
Per quel che valgono le hit-parade italiane, “Amico” fu prima per dieci settimane. Ha quel verso di discussa qualità: è più riprovevole l’uso del termine “fico” in una canzone sentimentale, o più efficace il suono di “il più fico amico”? “E ti ricorderai, del morbillo e le cazzate tra di noi” anticipa sull’amicizia giovanile “come eravamo stupidi, Gaetano” di Rudy Marra. E certo, anche “tu ragazza pure tu, che arrossivi se la mano andava giù”, non è proprio poesia pura, ma famo a capirsi.