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  • Mercoledì 10 febbraio 2016

Le altre elezioni americane del 2016

Nello stesso giorno delle presidenziali si eleggeranno nuovi deputati, senatori, governatori e si voterà per diversi referendum locali: le cose da sapere

(AP Photo/David Goldman)
(AP Photo/David Goldman)

L’8 novembre del 2016 negli Stati Uniti non si terranno solamente le elezioni presidenziali: ai cittadini americani sarà chiesto anche di eleggere il proprio deputato locale per la Camera federale, mentre alcuni eleggeranno anche nuovi senatori e governatori. In tutto saranno in ballo 435 seggi alla Camera (cioè tutti: vengono rinnovati ogni due anni), 34 seggi al Senato (sui 100 totali) e 12 posti da governatore. Inoltre in 20 stati si terranno dei referendum, per un totale di 44 referendum previsti per il momento in tutti gli Stati Uniti.

Benché durante queste campagne elettorali si parlerà probabilmente più di temi locali che di interesse nazionale, è inevitabile che il loro esito sarà collegato alle presidenziali: negli Stati Uniti si tende spesso a legare elezioni locali e referendum ai due appuntamenti elettorali più importanti della politica nazionale, e cioè le elezioni presidenziali e quelle di metà mandato. Il risultato quindi è che gli elettori assistono praticamente a due distinte campagne elettorali che si intrecciano l’una con l’altra, e l’affluenza incide: un candidato presidente che porta a votare molte persone spesso finisce per trascinare in qualche modo i candidati locali del suo partito.

Per questo motivo Bloomberg spiega che al Senato, dove il divario fra Democratici e Repubblicani è più sottile rispetto alla Camera, «la cosa più probabile che succeda è che il risultato delle elezioni segua quello che succederà alle presidenziali, cosicché il prossimo presidente avrà probabilmente anche una maggioranza risicata al Senato». Potrebbe anche succedere la cosa opposta, e che cioè un candidato deputato o governatore particolarmente forte attiri voti per il candidato presidente dei Democratici e Repubblicani, anche se per il momento siamo ancora in alto mare e non è chiaro dove questo potrebbe succedere.

Camera e Senato
Alla Camera negli ultimi anni è andata molto bene ai Repubblicani per due volte, nel 2010 e nel 2014, e benino ai Democratici nel 2012 (l’anno della rielezione di Obama, in cui i Democratici hanno guadagnato qualche seggio pur restando minoranza). Il risultato è che la Camera è saldamente nelle mani dei Repubblicani, che possono anche permettersi di perdere qualche seggio. Un completo ribaltone per i Democratici teoricamente è possibile, ma decisamente improbabile: va tenuto conto che nella maggior parte dei seggi l’esito del voto è scontato a causa della costante polarizzazione della politica americana avvenuta negli ultimi anni, come sottolineato spesso da diversi analisti politici, e dei risultati del cosiddetto gerrymandering, cioè il ridisegno strumentale dei collegi al fine di favorire un certo partito. Nel 2012 i candidati Democratici alla Camera avevano ottenuto complessivamente più voti su base nazionale di quelli Repubblicani, ma i Repubblicani avevano comunque ottenuto la maggioranza dei seggi. Come scrive Bloomberg, insomma, «se per i Repubblicani era possibile sottrarre qualche seggio ai Democratici, l’hanno già fatto».

La situazione potrebbe essere resa un pelo più incerta dal fatto che ci sono 33 deputati uscenti che non si sono ricandidati, e di questi 20 sono Repubblicani e 13 Democratici. Tra l’altro lasceranno il loro incarico quasi uno su cinque dei deputati Repubblicani eletti nel 2010, quindi dopo una carriera parlamentare piuttosto breve: USA Today se lo spiega col fatto che si è un po’ esaurita la spinta anti-establishment e anti-Washington che prese forma coi cosiddetti tea party, movimenti di destra radicale che pescavano parecchio nella società civile e nelle associazioni conservatrici. Una delle storie più esemplari della “classe del 2010” è quella del deputato Repubblicano Reid Ribble, del Winsconsin: nel 2010 lasciò la direzione dell’azienda di famiglia locale, che si occupava di riparazione di tetti, per candidarsi fra i Repubblicani con un forte sostegno della destra radicale. Sei anni più tardi, e dopo una fruttuosa e sorprendente collaborazione con alcuni Democratici, Ribble ha parlato in termini molto chiari della decisione da parte di alcuni deputati di non ricandidarsi: «C’entra una combinazione di più ragioni: per alcuni, c’entrano motivi personali. A volte invece, come nel mio caso, c’è la sensazione di aver compiuto la propria missione, nel senso di “ero venuto qui per una ragione specifica e durante un periodo particolare”».

La prima campagna per l’elezione di Ribble: molto di destra e “anti-Washington”

In Senato i Democratici sono messi meglio: sui 34 seggi che saranno in ballo attualmente ne controllano solo 10, mentre i restanti 24 sono nelle mani dei Repubblicani. Come ha scritto il Washington Post, poi, «il meglio deve ancora arrivare: sette di questi 24 seggi sono in stati in cui Obama ha vinto due volte, sia nel 2008 sia nel 2012: Florida, Illinois, Iowa, New Hampshire, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin». Oggi il divario fra Repubblicani e Democratici al Senato è solo di 10 seggi: nel caso i Democratici riuscissero a mantenere tutti e 10 i propri seggi, basterebbe loro sottrarne 5 ai Repubblicani per ottenere la maggioranza (nel caso vincessero anche la presidenza: il vicepresidente è anche il presidente del Senato con diritto di voto). In estate il Washington Post ha elencato i 10 seggi dei Repubblicani che i Democratici hanno più probabilità di vincere. Le tre situazioni più aperte sono in Florida, Wisconsin e Illinois.

In Florida c’è il posto lasciato vacante da Marco Rubio, uno dei candidati dei Repubblicani alla presidenza più popolari, che ha ottenuto un ottimo terzo posto alle primarie presidenziali dell’Iowa, ma un brutto quinto posto in New Hampshire. In Wisconsin il senatore locale Ron Johnson ha accumulato una serie di figuracce – in passato ha difeso il cattivo di Lego Movie, Lord Business, mentre di recente ha chiamato la governatrice del South Carolina “un’immigrata” (ha origini indiane ma è nata negli Stati Uniti) – e l’unico candidato dei Democratici ha già un considerevole vantaggio nei sondaggi. In Illinois invece la probabile nomination di Hillary Clinton per i Democratici dovrebbe avere un effetto positivo anche sulle elezioni del senatore locale, dato che lei è nata e cresciuta a Chicago. Sia nel 2012 sia nel 2008 Obama – che ha vissuto per molto tempo a Chicago – per esempio ha vinto molto nettamente in Illinois.

I governatori 
Bloomberg scrive che «mentre i seggi del Senato che nel 2016 saranno oggetto di un’elezione sono stati assegnati nel 2010, un buon anno per i Repubblicani, le elezioni dei governatori statali di quest’anno si sono svolte per l’ultima volta nel 2012, un buon anno per i Democratici (che riuscirono a rieleggere Obama). Di conseguenza, alcuni posti da governatore attualmente in mano ai Democratici sono a rischio: è il caso dei governatori di Missouri, New Hampshire, Vermont e Montana. È invece a rischio un numero minore di cariche da governatore controllate dai Repubblicani». In una stima rappresentata graficamente su una cartina, il centro studi politico dell’Università della Virginia – fondato dal noto analista politico americano Larry Sabato – sostiene che sui 12 stati coinvolti, in 9 è attualmente dato per favorito il partito uscente; in West Virginia i Repubblicani sono in vantaggio sui Democratici; in Montana e in New Hampshire, stati attualmente controllati dai Democratici, la situazione è ancora molto in bilico.

governatori

Si terranno invece delle elezioni comunali in alcune città americane medio-grandi fra cui Baltimora e San Diego, mentre a Washington si voterà solamente per il consiglio comunale (un elenco completo delle elezioni comunali americane del 2016 si trova qui).

I referendum
Dei 44 referendum che secondo Ballotpedia sono in programma, molti riguardano temi ultra-locali come il divieto di utilizzo dei sacchetti di plastica nei supermercati o l’introduzione di ulteriori protezioni per la caccia e la pesca nella costituzione dell’Indiana. Per il momento gli unici due referendum di una qualche incidenza nazionale si terranno in Oklahoma e in Nevada.

In Oklahoma lo stato ha proposto di includere la pena di morte nella Costituzione statale, con la dicitura che tutti i metodi per eseguire la condanna sono ammessi. In Oklahoma la pena di morte è in discussione da anni: dopo che nel 2014 detenuto Clayton Lockett morì solamente dopo tre quarti d’ora di agonia a causa di una soluzione farmacologica ancora poco sperimentata, gli avvocati di un altro detenuto condannato a morte hanno portato il caso davanti alla Corte Suprema. Due giorni il governo dell’Oklahoma ha approvato una legge per eseguire le condanne a morte con l’azoto, di fatto cercando di risolvere a modo proprio la questione. La governatrice Mary Fallin ha comunque deciso di “rafforzare” l’utilizzo della pena di morte, in uno stato dove è comunque approvata dalla maggioranza dei suoi abitanti.

In Nevada si voterà invece per rendere legale la vendita e l’uso ricreativo della marijuana: nel caso il referendum venisse approvato, il Nevada sarebbe il quinto stato a legalizzarla. Nel marzo del 2015 Time ha scritto che gruppi di attivisti stanno cercando di promuovere simili referendum anche in altri quattro stati: Maine, California, Arizona e Massachusetts.