Il “contratto” per i candidati del M5S a Roma

Chi lo firma si impegna a dimettersi e versare 150 mila euro se Grillo e Casaleggio decideranno che ha "danneggiato" l'immagine del Movimento

(ANSA/ MARCO ISOLA)
(ANSA/ MARCO ISOLA)

Lunedì 8 febbraio sulla Stampa il giornalista Jacopo Jacoboni ha pubblicato il testo di una specie di “contratto” che i candidati del Movimento 5 Stelle al comune di Roma saranno obbligati a firmare prima delle prossime elezioni amministrative. Con il contratto, in sostanza, chi sarà eletto si impegna a versare 150 mila euro al Movimento nel caso in cui Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio gli contestino un “danno di immagine” al partito. Tra lunedì e martedì l’esistenza del contratto è stata confermata da diversi esponenti del M5S.

Il punto più controverso del testo, lungo tre pagine e diviso in dieci punti, è proprio quello sulla “multa” da 150 mila euro, che recita così: «Il candidato accetta la quantificazione del danno d’immagine che subirà il M5S nel caso di violazioni dallo stesso poste in essere alle regole contenute nel presente codice e si impegna pertanto al versamento dell’importo di 150mila euro, non appena gli sia notificata formale contestazione a cura dello staff coordinato da Beppe Grillo e Gianroberto».

In sostanza significa che gli eletti al comune di Roma potranno essere multati per qualunque atto che Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio riterranno lesivo dell’immagine del Movimento. Il contratto aggiunge anche una clausola – probabilmente illegale – secondo cui, sempre a richiesta di Casaleggio e Grillo, gli eletti saranno anche obbligati a dimettersi. Queste sanzioni potranno scattare anche in seguito a una votazione online tra gli iscritti al partito, che però non è obbligatoria. I leader del Movimento si riservano il diritto di imporre sanzioni in completa autonomia.

Il contratto specifica anche: «Le proposte di atti di alta amministrazione, e le questioni giuridicamente complesse verranno preventivamente sottoposte a parere tecnico legale a cura dello staff coordinato dai garanti del M5S». In altre parole gli eventuali eletti del Movimento non potranno prendere decisioni importanti sull’amministrazione comunale se gli atti non saranno prima approvati da Grillo e Casaleggio. I due leader potranno anche nominare in completa autonomia lo staff che curerà la comunicazione del gruppo consiliare del M5S ed eventualmente anche quello del sindaco.

La pubblicazione del contratto lunedì era stata inizialmente accolta con un certo scetticismo: una simile dipendenza degli eletti da un struttura esterna e privata è probabilmente un caso unico nella storia della moderna democrazia. Esistono casi di vincolo di mandato, in Portogallo e in alcuni paesi in via di sviluppo, ma l’idea che gli atti amministrativi debbano essere approvati da qualcuno non eletto è piuttosto inedita. Probabilmente la richiesta di danni, l’obbligo di dimettersi e quello di far approvare gli atti a Grillo e Casaleggio non verrebbero accolte da alcun tribunale. Il regolamento del consiglio comunale di Roma specifica che gli eletti esercitano le loro funzioni “liberamente e senza vincolo di mandato”.

La deputata del M5S Roberta Lombardi, che ha scritto il contratto, lo ha difeso in diverse interviste dicendo anche che è stato studiato proprio per potere reggere in tribunale. Anche Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e membro del “direttorio” del M5S, ha difeso il contratto in un’intervista al Corriere della Sera dicendo: «Non ne possiamo più di questi eletti con noi che passano con il PD».

Esiste un parziale precedente a questo contratto, cioè il documento che hanno sottoscritto i candidati M5S alle elezioni europee del maggio 2014. Nel documento veniva specificato che chi riceveva una condanna penale in primo grado o veniva ritenuto “gravemente inadempiente” rispetto al codice di comportamento del Movimento avrebbe dovuto versare una penale di 250 mila euro. Il documento, però, non è esplicito su chi dovrebbe esercitare quest’azione. Il contratto per le elezioni amministrative di Roma è invece molto più chiaro: la penale e le dimissioni possono essere richieste per qualunque atto percepito come “danno di immagine” a insindacabile giudizio di Grillo e Casaleggio.