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  • Martedì 2 febbraio 2016

Chi è Ted Cruz

Le cose da sapere sul senatore che ha vinto i caucus in Iowa ed è nato in Canada, dalle sue idee estremiste alle imitazioni di Homer Simpson

Ted Cruz. (Brendan Hoffman/Getty Images)
Ted Cruz. (Brendan Hoffman/Getty Images)

Ted Cruz, il senatore del Texas che ha vinto i caucus del Partito Repubblicano in Iowa, che hanno aperto la stagione delle primarie americane, non è particolarmente noto fuori dagli Stati Uniti: non ha la popolarità di uno come Donald Trump né il blasonato cognome di Jeb Bush né il fascino alla Obama di un candidato come Marco Rubio. Eppure anche quando si è candidato alla presidenza degli Stati Uniti, lo scorso marzo, era indicato come uno dei politici più solidi e con maggiori possibilità di ottenere la nomination del suo partito: “Ted Cruz sarà probabilmente l’outsider delle primarie Repubblicane”. Le ragioni per cui a Cruz venivano attribuite queste potenzialità erano “le sue grandi doti di oratore nei discorsi e nei dibattiti e la sua capacità di avere sempre, su qualsiasi tema, la posizione più conservatrice possibile”. Cruz è molto religioso e in Iowa ha avuto il sostegno di molti gruppi conservatori evangelici; nel suo discorso successivo alla vittoria ha più volte citato Dio.

Cruz ha 45 anni ed è in politica da una vita: nel 1996, a 26 anni, divenne assistente del capo della Corte Suprema. Tre anni dopo ha fornito consulenza a George W. Bush nella sua campagna elettorale per la presidenza, e dopo la sua elezione ha lavorato ad alto livello nell’ufficio del procuratore generale. Dal 2003 al 2008 ha lavorato come solicitor general del Texas: una specie di “super-avvocato” che rappresenta gli interessi statali, a volte anche davanti alla Corte Suprema. Di quell’incarico ha mantenuto lo stile oratorio da arringa giudiziaria. Meno di cinque anni dopo è stato eletto al Senato, sempre in Texas.

Le sue posizioni politiche sono sempre state piuttosto radicali: si oppone duramente ai matrimoni gay, alla possibilità di abortire per le donne, a qualsiasi forma di controllo delle armi, alla riforma sanitaria approvata da Obama, a qualsiasi ipotesi di tasse sui ricchi, al rilassamento delle norme sull’immigrazione e alla legalizzazione della marijuana, tra le altre cose. Le sue idee di politica estera sono piuttosto isolazioniste, anche se ha minacciato di voler «bombardare a tappeto» l’ISIS. Si è parlato molto negli ultimi mesi della proposta di Donald Trump di vietare l’ingresso nel paese ai musulmani; si è parlato meno di quella di Ted Cruz di permettere l’ingresso nel paese solo ai cristiani. Se Trump ha un passato da imprenditore con posizioni moderate e sembra aver sposato la retorica incendiaria di questi mesi per opportunismo politico, Cruz invece è noto per essere un vero ideologo radicale: “In estrema sintesi, la principale differenza tra Trump e Cruz è questa: Trump fa il matto estremista, Cruz è un matto estremista”, ha scritto Francesco Costa del Post.

Uno dei bersagli preferiti di Cruz è il cosiddetto “establishment” politico, cioè quelli che stanno a Washington – Repubblicani compresi – e che secondo gli ultra-conservatori per questa ragione si sono “rammolliti” diventando parte del problema. Una sintesi efficace del suo pensiero l’ha spiegata a Jeffrey Toobin del New Yorker, che nell’estate del 2014 ha scritto per il magazine un lungo profilo di Cruz. Secondo Cruz in questi anni i Repubblicani hanno badato soprattutto ad ammorbidire le proprie posizioni, nel tentativo di rincorrere un elettorato che secondo molti si stava spostando a sinistra per esempio su questioni sociali e sanitarie come unioni civili e possibilità di abortire. Cruz, invece, la pensa in maniera opposta:

«È pazzesco che la vulgata comune fra i Repubblicani sia sempre, sempre, sempre, abbandonare i propri principi e pensarla come i Democratici. Questo concetto esiste da quando sono in giro: “voi matti Repubblicani dovete smettere di pensare in quello che credete e diventare più simili ai Democratici”. Eppure, secondo me, ogni volta che noi Repubblicani facciamo così, perdiamo».

Ted Cruz mangia del bacon fritto su un fucile da cui ha appena sparato

A differenza di altri candidati dalle posizioni radicali e intransigenti, però, Cruz unisce anche una incredibile capacità oratoria e teatrale – spesso nemmeno troppo banale – unita a una grande competenza ottenuta dalla sua lunga carriera politica. Negli ultimi mesi di campagna elettorale lo ha dimostrato più volte: ad agosto ha discusso animatamente con l’attrice Ellen Page sui diritti degli omosessuali, cavandosela molto bene. A novembre, durante un comizio a Charleston, in South Carolina, ha recitato un’intera e classica scena dei Simpson – con cui dice di essere cresciuto – lasciando impressionati molti dei presenti. Un’altra volta ha citato il presidente Kennedy imitando il suo accento.

A volte la sua sfrontatezza retorica lo fa inciampare: quando nell’ultimo dibattito ha accusato Donald Trump di condividere «i valori di New York» – cioè fondamentalmente valori di sinistra sui temi sociali – ha ricevuto da Trump un’efficace risposta indignata e decine di articoli che lo prendono in giro. Gli attacchi di Trump di recente si sono concentrati però su un’altra storia, e cioè la sua presunta ineleggibilità alla presidenza perché è nato in Canada: in realtà la Costituzione prevede che si possa candidare chi è americano dalla nascita, e Cruz lo è in quanto figlio di persone con cittadinanza americana (ma suo padre è un cubano naturalizzato). La sua famiglia ha sempre lavorato nell’industria del petrolio, e Cruz ha mantenuto questo legame: oggi è uno dei candidati più legati al settore petrolifero.

L’atteggiamento ostile di Cruz contro tutti i politici di Washington, unito al suo carattere particolarmente spigoloso, negli anni lo hanno reso inviso anche alla classe dirigente dei Repubblicani, tanto da fargli guadagnare la fama di “uomo più detestato di Washington” (e al punto che al Congresso circolano anche voci sul fatto che puzzi). Nelle ultime settimane però sempre più politici e finanziatori Repubblicani stanno ammorbidendo le loro posizioni, convinti che Cruz sia ormai l’unico che possa fermare Trump e che vista l’insofferenza dell’elettorato sia meglio puntare su qualcuno che riesca a portare alle urne la base del partito, piuttosto che su un candidato più moderato e centrista come Mitt Romney (e magari finisca per trovarsi in qualche difficoltà come Hillary Clinton contro Bernie Sanders tra i Democratici).

Il New York Times, che ha intervistato vari finanziatori e funzionari del partito che in passato sono stati vicini a candidati più moderati, fa l’esempio di Andrew Putzer, un ricco finanziatore che nel 2012 ha appoggiato la campagna di Mitt Romney e che nei mesi scorsi ha avuto contatti con Jeb Bush e Marco Rubio. Putzer ha detto al New York Times di «stare considerando molto seriamente» di appoggiare Cruz, dato le sue capacità di attirare la base del partito. Secondo Putzer una delle ragioni della sconfitta di Romney è stata che «la base non si presentò ai seggi: e Cruz sa che questo deve succedere perché si vinca». Carla Sands, una filantropa che negli anni ha donato centinaia di migliaia di dollari a candidati “moderati”, ha spiegato al Times che «la prossima sarà una elezione delle “basi”: abbiamo bisogno di un candidato che ispiri ed ecciti la base, e che li spinga a venire a votare».

Non è ancora chiaro, ovviamente, quali siano le reali possibilità di Cruz di vincere a novembre; oltre a Trump, un altro dei candidati principali è Marco Rubio, senatore della Florida, che è un po’ più ragionevole di Cruz, ha avuto posizioni più morbide sull’immigrazione e in generale è considerato più gradito all’establishment e meglio attrezzato nell’attirare i consensi degli elettori che non si identificano come Repubblicani. Il problema di Rubio – e anche degli altri candidati moderati, come l’ex governatore della Florida Jeb Bush, il governatore  del New Jersey Chris Christie e il governatore dell’Ohio John Kasich – è che alle primarie votano soprattutto gli elettori Repubblicani più determinati, convinti e arrabbiati, e negli anni dell’amministrazione Obama la base del Partito Repubblicano si è molto spostata a destra: per questo motivo stanno avendo successo candidati come Trump e Cruz, che dieci o vent’anni fa difficilmente sarebbero stati messi così bene a questo punto della campagna elettorale.