Quindi con le banche italiane è tutto risolto?

Non proprio: nonostante l'accordo sulla cosiddetta "bad bank", le banche hanno continuato a perdere in Borsa e la loro situazione resta complicata

di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca

(ANSA)
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Dopo settimane di perdita in borsa per il settore bancario italiano, qualche giorno fa il governo di Matteo Renzi si è accordato con la Commissione Europea per trovare una soluzione al problema dei “non performing loans” (NPL), ossia i crediti che le banche italiane non riescono più a riscuotere e che pesano su tutto il sistema finanziario dell’Italia. I mercati non hanno però reagito particolarmente bene e le banche hanno continuato a perdere. Diversi dettagli sull’accordo e molti commenti sono stati pubblicati in questi giorni e un paio di cose sono diventate più chiare: i contribuenti italiani non spenderanno soldi per ripulire i bilanci delle banche, ma il problema dei crediti che non si riescono a riscuotere è molto lontano dall’essere risolto.

La questione in breve
Esperti ed istituzioni internazionali hanno spesso segnalato che i guai del sistema finanziario italiano sono alcuni tra quelli che rallentano di più la ripresa e il ritorno alla crescita. Tra questi guai il più grave al momento è quello degli NPL, i crediti deteriorati che “pesano” sui bilanci delle banche e rendono difficile erogare nuovi prestiti. Le regole internazionali stabiliscono che le banche devono aver un certo rapporto tra il denaro che conservano liquido o quasi (il capitale di “alta qualità”) e i prestiti che erogano. È una misura di buon senso, che serve a evitare che le banche prestino troppi soldi e si ritrovino esposte ai rischi. In Italia il problema è che con la crisi molti privati e imprese non sono più capaci di restituire i prestiti che hanno ricevuto – e in altri casi, come ha dimostrato la faccenda delle quattro banche locali, gli amministratori delle banche hanno prestato soldi ad amici e alleati politici senza tenere adeguatamente conto della possibilità che i prestiti gli venissero restituiti.

Di fatto, oggi e per varie cause, circa il 17 per cento del totale dei crediti erogati dalle banche italiane rischia di non essere restituito. A causa delle regole che impongono un rapporto tra patrimonio e prestiti erogati, questi NPL bloccano la capacità delle banche di prestare nuovi soldi e quindi causano un grave danno a tutto il sistema economico, oltre a far temere per la solidità delle banche più deboli ed esposte a questo problema. Le soluzioni per far tornare a girare il meccanismo, quindi, sono due: aumentare il patrimonio delle banche, oppure ridurre la quantità di NPL.

La bad bank

La strada scelta dal governo italiano è stata quella di usare risorse pubbliche per aiutare le banche a liberarsi dei loro NPL. Per farlo, però, è stato necessario trattare con la Commissione Europea, per evitare che un intervento del genere venisse configurato come aiuto di stato illegale. Le trattative sono durate quasi un anno e sono accelerate molto nelle ultime settimane, anche a causa delle pressioni del mercato, dove molti operatori hanno “annusato” la debolezza del sistema bancario italiano e hanno iniziato a speculare contro i nostri istituti finanziari. Questa settimana l’accordo è stato finalmente raggiunto: qui ne avevamo spiegato alcuni dettagli tecnici. La Commissione Europea ha concesso allo stato di intervenire anche se in maniera molto leggera, e secondo molti non abbastanza da cambiare in maniera sostanziale la situazione.

Brevissima parentesi: gli NPL non sono prestiti “persi per sempre” e spesso si possono recuperare, almeno in parte. Facciamo l’esempio di una società che ha sottoscritto un mutuo per comprare un capannone industriale e poi, a causa della crisi, non ha più potuto restituire i soldi alla banca. È probabile che la banca non rivedrà mai il cento per cento del denaro che ha prestato, ma con un po’ di pazienza probabilmente riuscirà a recuperarne almeno una parte. A seconda di quanto è solida la garanzia del prestito (il capannone su cui è stato fatto il mutuo, ad esempio) questa parte sarà più o meno alta.

Il problema è che ci vuole tempo, e soprattutto in Italia molto tempo. Quindi per le banche la cosa migliore da fare in questi casi è vendere il proprio NPL a quelle società finanziarie che si sono specializzate nel recuperare gli NPL, in modo da liberarsi del credito deteriorato e tornare a prestare quel denaro. Ovviamente le società specializzate vogliono pagare gli NPL al prezzo più basso possibile, in modo da massimizzare il loro guadagno quando riusciranno a recuperare il credito. Le banche, d’altro canto, vogliono venderlo alla cifra più vicina possibile al valore originario del credito che hanno erogato. Il piano del governo italiano era entrare in questa dinamica e usare le risorse pubbliche per creare una specie di “ponte” tra la cifra che le società specializzate sono disposte a sborsare per comprare gli NPL e quella a cui le banche italiane sono disposte a venderli.

La Commissione Europea ha accettato questo piano, ma con una serie di vincoli molto stretti. Lo stato potrà aiutare le banche che ne faranno richiesta fornendo delle garanzie pubbliche sui “pacchetti” di NPL che saranno ceduti dalle banche (è un processo che si chiama “cartolarizzazione”), ma soltanto a quei pacchetti ritenuti più solidi. Come hanno notato molti osservatori, e questo è il punto centrale, lo stato garantirà soltanto quei crediti deteriorati che hanno garanzie così solide che le banche avrebbero potuto venderli da sole sul mercato. E lo stato offrirà queste garanzie facendo pagare al mercato un’assicurazione altrettanto a prezzi di mercato.

Il problema resta
La garanzia dello stato, anche se è limitata e a caro prezzo, è comunque importante perché il mercato degli NPL non è così vasto e probabilmente non sarebbe stato facile trovare in breve tempo abbastanza “assicuratori” privati per far liberare le banche di tutti gli NPL di alta qualità che hanno nel portafoglio (secondo alcuni esperti, invece, tutta l’operazione è inutile e le banche avrebbero potuto liberarsi di questi NPL ricorrendo semplicemente al mercato). L’intervento pubblico rende più facile liberarsi degli NPL più sicuri, ma lascia irrisolto il problema di tutti gli altri NPL, quelli più rischiosi e che pesano di più sui bilanci delle banche. L’agenzia di rating Fitch ha commentato il piano dicendo che «la nostra prima impressione è che il meccanismo abbia un impatto limitato sul concreto miglioramento della qualità degli asset delle banche italiane». In altre parole, l’intervento pubblico ha intaccato la superficie del problema, ma non ha completamente risolto la situazione. In settimana le banche italiane hanno perso ancora in borsa, dimostrando che i mercati non sono ancor del tutto convinti della soluzione.

Come ha spiegato l’analista Mario Seminerio, tutto il piano sembra essere in realtà un modo con cui le banche italiane cercano di prendere tempo per sistemare i loro bilanci. Grazie all’intervento dello stato, le banche compiranno in questi mesi un’operazione che negli scorsi anni avrebbero potuto effettuare con tempi più lenti utilizzando soltanto le risorse del mercato. Così facendo rimandano il problema nella speranza che nei prossimi mesi accadano una serie di cose, come ad esempio un’accelerazione della crescita economica, che da sola potrebbe migliorare la situazione.

Le banche aspettano anche altro e qui è necessario aprire un’ultima parentesi. Come si è visto all’inizio, il problema degli NPL si può risolvere liberandosi degli NPL stessi oppure aumentando il capitale di alta qualità della banca, che permette di tornare a prestare soldi. Questa seconda strada però ha un grosso problema. Gli azionisti che controllano le banche italiane – che sono spesso quelle strane creature miste pubbliche/private che si chiamano Fondazioni bancarie – hanno di solito pochi soldi da investire; e quindi per aumentare il capitale della banca hanno bisogno di vendere azioni, portando così all’ingresso di nuovi soci e perdendo parte del controllo che oggi esercitano sulla banca stessa. Il tempo che guadagneranno grazie al piano del governo potrà essere usato per organizzare con più calma e tranquillità gli aumenti di capitale o le fusioni tra istituti diversi che, per forza di cose, dovranno avvenire in futuro. Avere tempo per farlo senza essere sotto attacco degli speculatori permetterà agli amministratori di valutare con calma le scelte migliori, ma probabilmente consentirà loro anche di cercare un modo per non essere costretti a cedere il controllo dei loro istituti.