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  • Lunedì 18 gennaio 2016

Alcuni dati spiacevoli sulle armi negli Stati Uniti

Negli ultimi anni il numero di armi in circolazione è aumentato del 50 per cento ma le uccisioni si sono dimezzate: un editorialista del New York Times suggerisce alla sinistra di cambiare approccio

(Bill Pugliano/Getty Images)
(Bill Pugliano/Getty Images)

In seguito alle recenti sparatorie in cui sono morte decine di persone, il controllo delle armi è tornato a essere uno dei temi più sentiti e discussi negli Stati Uniti, e sarà probabilmente uno degli argomenti della campagna elettorale per le presidenziali di quest’anno. A inizio gennaio il presidente Barack Obama ha annunciato una nuova serie di misure per rendere più difficile la vendita delle armi a persone con precedenti penali o malattie mentali: per leggi più incisive sarebbe necessario l’intervento del Congresso che però è controllato dai Repubblicani, contrari a ulteriori restrizioni. Nelle ultime settimane il New York Times ha accolto diversi editoriali – compreso uno scritto dallo stesso Obama – per portare avanti il dibattito sul controllo delle armi: ieri ne ha pubblicato uno scritto da Nichola Kristof, giornalista vincitore di due premi Pulitzer, molto impegnato sui temi dei diritti umani e delle ingiustizie sociali.

Kristof spiega che il concetto “armi uguale pericolo” è frutto di un’idea raffazzonata del problema da parte di molti analisti, soprattutto nella sinistra americana. Dal 1993 a oggi, il numero di armi in circolazione negli Stati Uniti è aumentato del 50 per cento circa, mentre nello stesso periodo il tasso di persone uccise per via di un’arma è dimezzato. Più o meno nello stesso periodo di tempo, alcune leggi approvate appositamente per ridurre la proliferazione delle armi non hanno funzionato: il provvedimento più noto aveva messo al bando le armi da assalto per dieci anni, ma uno studio non ha trovato prove chiare sul fatto che la legge abbia contribuito a ridurre il numero di morti in quel periodo. Il provvedimento non era stato scritto correttamente e, prima ancora dell’entrata in vigore della messa al bando, si stima che le armi da assalto fossero utilizzate solo nel 2 per cento circa dei crimini legati all’utilizzo di armi da fuoco.

Le analisi più accurate sul tema indicano però che l’aumento di possessori di armi degli ultimi anni non ha né causato una riduzione dei crimini – come sostenevano alcuni conservatori – né però un aumento significativo nelle uccisioni, come sostenevano i liberal. Ci sono indicatori che suggeriscono un aumento dei reati con l’aggravante di avere utilizzato un’arma da fuoco, ma non si tratta di un incremento così marcato come ipotizzato da alcuni.

Kristof scrive che, se si guardano i sondaggi condotti da diversi enti di ricerca, la maggior parte degli statunitensi vuole più regole per quanto riguarda l’utilizzo delle armi. Questo vale tra gli stessi membri della National Rifle Association, l’organizzazione a favore di chi detiene armi, con il 74 per cento a favore dei controlli universali (“background checks”) da svolgere prima di permettere a qualcuno di acquistare un’arma. Gli stessi provvedimenti assunti da Obama, per quanto limitati, sono stati accolti positivamente dal 62 per cento della popolazione, secondo un altro sondaggio. Non sembrano esserci quindi grandi differenze di opinione, ma l’approccio al problema cambia tra le due parti e porta a incomprensioni e pregiudizi di vario tipo, tali da rendere difficile un confronto sui temi.

I dati sugli ultimi decenni confermano comunque quanto la diffusione delle armi sia un problema negli Stati Uniti. Dal 1970 a oggi si stima che siano morti più statunitensi a causa delle armi di quanti ne morirono nelle guerre combattute dagli Stati Uniti andando indietro fino alla Rivoluzione americana: circa 1,45 milioni contro 1,40 milioni di persone. Nel conteggio sono compresi i suicidi, gli omicidi e gli incidenti. Le stime più attendibili parlano inoltre di almeno 92 persone morte ogni giorno nel paese a causa delle armi. Mentre si sono spesi miliardi per combattere il terrorismo, che ha causato la morte di 229 statunitensi in tutto il mondo tra il 2005 e il 2014, si è fatto poco per contrastare un fenomeno interno che ha portato nello stesso periodo ad almeno 310mila morti, suicidi compresi.

Nel suo editoriale sul New York Times, Kristof scrive che è necessaria una nuova strategia: “un approccio dal lato della salute pubblica che tratti le armi come facciamo con le automobili: assumere decisioni basate su prove concrete per renderle più sicure”. Il primo passo deve essere legato a migliorare i controlli preventivi nei confronti degli acquirenti di armi. Molte ricerche confermano l’importanza di questo passaggio, essenziale per impedire che persone con precedenti, storie di abuso di alcol o di violenze domestiche possano ottenere un’arma. Si stima che negli Stati Uniti il 40 per cento delle armi sia ancora venduto senza opportuni controlli preventivi, dato confermato dai casi più recenti di sparatorie nel paese.

Leggi più dure e maggior restrizioni non saranno comunque sufficienti per ridurre il problema, se non si interviene nella società con programmi contro la violenza. Un’organizzazione senza scopo di lucro che si chiama Cure Violence, per esempio, lavora da tempo con i membri di alcune bande e i suoi interventi hanno permesso di ridurre il numero di morti a causa delle armi. Un’altra iniziativa, che si chiama Fast Track, dà assistenza agli adolescenti le cui condizioni di vita portano spesso alla delinquenza, aiutandoli a stare lontani dalle armi.

Kristof conclude il suo editoriale con un invito, indirizzato a tutti:

Facendola breve, cerchiamo di essere più furbi. Rendiamo la battaglia contro le armi in America meno ideologica e facciamoci guidare dalle prove su ciò che funziona. Se la sinistra abbandonasse alcune ipocrisie e se la destra lasciasse perdere l’ostruzionismo, invece di combattere tra di noi potremmo aggrapparci alle prove, salvando migliaia di vite ogni anno.