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  • Mercoledì 13 gennaio 2016

Il futuro del giornalismo sono le no-profit?

Il Philadelphia Inquirer, uno dei più antichi giornali americani, sarà gestito da una società senza scopo di lucro

di Fred Barbash – Whasington Post

(William Thomas Cain/Getty Images)
(William Thomas Cain/Getty Images)

«Se i giornali hanno difficoltà a ottenere profitti senza operare grossi tagli ogni anno, perché allora non diventano società no-profit?». La domanda è stata posta qualche mese su fa su NiemanLab, una pubblicazione che si occupa di giornalismo. Lunedì sera – con uno sviluppo incredibile e senza precedenti per un’azienda in difficoltà – è stato annunciato che questo è più o meno il destino del Philadelphia Inquirer e delle sue pubblicazioni affiliate, Philadelphia Daily News e Philly.com.

Philly.com ha rivelato che il proprietario H.F. “Gerry” Lenfest ha donato l’intero Philadelphia Media Network (PMN) – la società a scopo di lucro che gestisce le tre pubblicazioni – all’Institute of Journalism in New Media, una scuola di giornalismo no-profit della Philadelphia Foundation. L’istituto sarà guidato da un consiglio composto da decani della scuola di giornalismo, ma anche da accademici e dirigenti di fondazioni; PMN rimane invece una società a scopo di lucro.

Non è un avvenimento qualsiasi, nella lunga e lenta morte dalla carta stampata. L’intricata conversione da società a scopo di lucro a società no-profit architettato da Lenfest è senza precedenti o comunque – se da una parte ci sono stati tentativi simili su scala minore – perlomeno coinvolge per la prima volta un giornale di fama storica e con così tanti lettori.

In un articolo esplicativo, Philly.com ha confrontato l’accordo con il caso del Tampa Bay Times – di proprietà del Poynter Institute, una scuola di giornalismo no-profit – che però ha mantenuto lo status di società controllata a scopo di lucro e quindi non è esente dalle tasse. Secondo un recente articolo del Columbia Journalism Review, l’accordo non è servito a proteggere il Tampa Bay Times dai cali di fatturato patiti anche da altri giornali: anche le società no-profit hanno bisogno di entrate, e questo per Poynter – che sta registrando perdite significative – è un problema.

«La nuova organizzazione dell’azienda non offre una soluzione rapida», sostiene Jeff Gammage, giornalista di Philly.com. «Non esiste una cura immediata per le sofferenze economiche delle società di news tradizionali. PMN rimane una società a scopo di lucro autonoma, il cui fallimento o successo sarà in ultima analisi determinato dai suoi meriti giornalistici e dai risultati finanziari. Quello che cambia è la proprietà, modificata in modo da alleggerire le difficoltà finanziarie».

Philadelphia è la quinta città degli Stati Uniti; l‘Inquirer – fondato nel 1829 – è il terzo giornale più antico degli Stati Uniti e ha vinto 19 premi Pulitzer. Il Daily News – fondato nel 1925 – ne ha vinti tre. Philly.com pubblica online contenuti da entrambi, aggiungendone di suoi originali. In totale le tre pubblicazioni raggiungono oltre 8 milioni di lettori al mese. Eppure la sopravvivenza dell’Inquirer e delle sue pubblicazioni affiliate è stata minacciata da quello che Philly.com definisce «un contesto economico disperato per molte organizzazioni di news tradizionali». Il lungo e forte calo delle entrate ha colpito un settore che molti anni fa era vibrante e in salute, producendo grandi cambiamenti sia in termini di attività che di proprietà; per esempio la vendita del Washington Post al fondatore di Amazon Jeff Bezos, dopo decenni di gestione della famiglia Graham.

Al successo di Bezos nell’acquisto del Washington Post, tuttavia, Lenfest ha contrapposto una soluzione diversa. Secondo le ultime notizie di Philly.com, «la nuova organizzazione – benché unica e non ancora sperimentata – mette in moto meccanismi che permettono la tutela e valorizzazione del giornalismo di pubblico interesse, insieme allo sviluppo di nuovi metodi di distribuzione elettronica dei contenuti. Secondo Lenfest le società editoriali devono incontrare i lettori dove i lettori scelgono di leggere le notizie, e trovare metodi innovativi affinché gli inserzionisti coinvolgano il pubblico».

Nonostante siano definite “no-profit”, queste organizzazioni in realtà possono fare profitti: per  rimanere esentasse, però, il denaro deve essere destinato all’organizzazione invece che alle tasche dei privati. L’articolo di NiemanLab sottolinea come le voci su un qualche tipo di trasformazione all’interno delle organizzazioni di news di Philadelphia circolassero da tempo. Lenfest – che è diventato ricco come dirigente nel settore della televisione via cavo e che da allora ha donato miliardi in beneficenza – in un’intervista alla rivista Philantropy dell’anno scorso, aveva detto: «Sarebbe fantastico se alla fine le no-profit diventassero proprietarie dei giornali… Prevedo che alla fine le fondazioni assumeranno il controllo dei giornali».

La struttura sembra complicata e lo è davvero. Secondo l’articolo e la nota esplicativa a margine, l’obiettivo sarebbe alleggerire il peso finanziario e renderla esentasse, senza dover passare dall’elaborata, lunga e costosa trafila dell’approvazione dell’IRS (Internal Revenue Service, l’agenzia delle entrate degli Stati Uniti). Il metodo è stato però così complicato da rendere necessaria una lunga nota esplicativa in legalese, il cui obiettivo è soprattutto spiegare come l’organizzazione possa operare come no-profit e società a scopo di lucro allo stesso tempo.

A dicembre i colloqui tra l’editore H.F. “Gerry” Lenfest e la fondazione si sono conclusi con la creazione dell’istituto PMN, che poi è stato convertito da società a responsabilità limitata in una cosiddetta “società di utilità pubblica”. Sebbene questo particolare tipo di società sia a scopo di lucro, si discosta dalle società tradizionali in quanto ha la facoltà di svolgere attività di pubblica utilità.

Anche in questa veste, Philadelphia Media Network dovrà pagare le tasse. Ma i suoi direttori potranno valutare obiettivi aggiuntivi, il cui “benefit” principale sarà il servizio reso alla società da un’organizzazione di news attiva nella regione di Philadelphia. Lenfest ha quindi donato PMN – e tutte le sue attività collegate – alla scuola di giornalismo della Philadelphia Foundation. In sostanza il fondo speciale di Philadelphia Foundation è proprietario dell’istituto, e l’istituto è proprietario di PMN, che a sua volta è proprietario delle testate.

«Entrando a far parte di Philadelphia Foundation, l’istituto gode dei vantaggi di un’organizzazione esentasse, senza bisogno del lungo processo di approvazione dell’IRS», spiega la nota. Se la società ottiene profitti, «i suoi direttori devono poi decidere come investire il denaro. Possono finanziare le attività giornalistiche oppure donarlo – in parte o tutto – all’istituto». Non sono ancora chiari gli effetti a lungo termine della mossa su lettori, inserzionisti, dipendenti e sindacati. Secondo Lenfest e altri dirigenti, si tratta di un modo per preservare la qualità delle notizie nella regione. «Di tutte le cose che ho fatto», ha detto Lenfest, «questa è la più importante, per via del giornalismo».

Il direttore dell’Inquirer William K. Marimow – uno dei direttori più rispettati del paese, che una volta fu licenziato da uno dei molti proprietari dell’Inquirer per poi essere riassunto – ha definito la mossa di Lenfest «un atto di servizio pubblico incredibile». «La decisione di Gerry di proseguire con questa no-profit rafforza la mia idea che il suo obiettivo sia portare avanti le migliori tradizioni e pratiche del giornalismo per i prossimi decenni», ha dichiarato Marimow.

Un articolo del 2014 del Philadelphia Magazine intitolato “La lunga caduta dei giornali di Philadelphia” ha definito “brutale” la storia recente del Philadelphia Media Network. Uno dei problemi del gruppo è stata “la proprietà a porte scorrevoli” – dal 2000 si sono susseguiti tra gli altri un dirigente del settore delle pubbliche relazioni, un gruppo proprietario di fondi d’investimento, un dirigente assicurativo nonché leader del Partito Democratico del New Jersey e Lenfest – oltre al fallimento, ai numerosi licenziamenti e al crollo della distribuzione e dei ricavi pubblicitari.

Dopo una battaglia legale, Lenfest e l’imprenditore Lewis Katz avevano acquistato la società nel 2014 per 88 milioni di dollari. Qualche giorno dopo Katz morì in un incidente aereo vicino a Boston e Lenfest ne rilevò la quota. Lenfest – la cui ricchezza stimata è di mezzo miliardo di dollari e che oggi ha 84 anni – aveva detto a Erik Wemple del Washington Post di non essere arrivato «per fare soldi», ma per preservare una voce editoriale indipendente nella regione.

© 2016 The Washington Post