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  • Domenica 3 gennaio 2016

La brutta fine della Triestina

Negli ultimi tempi la storica squadra di calcio di Trieste è passata da una gestione disastrosa all'altra, e da un anno non può usare più il suo simbolo

I "tifosi virtuali" sugli spalti del Nereo Rocco nel 2010 (ANSA/ANDREA LASORTE)
I "tifosi virtuali" sugli spalti del Nereo Rocco nel 2010 (ANSA/ANDREA LASORTE)

Poche settimane fa la principale squadra di calcio di Trieste è stata comprata dall’imprenditore trevigiano Silvano Favarato, e così ha evitato un secondo probabile fallimento in soli tre anni. Favarato è il settimo proprietario della Triestina dal 2000, senza contare i curatori fallimentari e i soci di minoranza che negli ultimi anni si sono succeduti all’interno della dirigenza. Dal fallimento del 2012, l’incertezza è stata una costante della società che non molto tempo fa giocava stabilmente in Serie B: gli ultimi proprietari si sono rivelati poco affidabili. Decine di nomi di potenziali investitori sono stati accostati al club in questi anni, senza mai trovare una minima conferma, e intanto la squadra ha cambiato 18 allenatori dal 2011.

Oggi la squadra si trova in Serie D e da circa un anno i tifosi triestini – riuniti nell’Associazione Nazionale Triestina Club – hanno deciso di ritirare la concessione del marchio alla società, che da allora gioca con divise senza alcun riferimento alla vecchia Triestina. Di fatto è come se una società sportiva storica, che tra le altre cose introdusse nel calcio professionistico Nereo Rocco e Cesare Maldini, da un anno abbia smesso temporaneamente di esistere, in attesa che venga rifondata da una nuova e credibile dirigenza.

Dall’inizio
La Triestina venne dichiarata fallita il 25 gennaio 2012, un anno dopo essere retrocessa in Lega Pro al termine della nona stagione consecutiva in cui aveva disputato il campionato di Serie B. Un anno prima l’imprenditore friulano Stefano Fantinel, presidente della società dal 2006, vendette le sue quote a Sergio Aletti, imprenditore lombardo già proprietario del Ravenna ed ex vice presidente del Cesena. Aletti, morto nel 2013, fu il primo di una lunga serie di proprietari con un passato poco rassicurante: fu coinvolto in diversi casi di reati fiscali e pochi mesi prima di acquistare il controllo della Triestina era stato uno dei responsabili del fallimento del Ravenna. Dopo che la procura della Repubblica dichiarò il fallimento della Triestina e affidò la società ad un curatore fallimentare, Aletti venne aggredito all’uscita di un ristorante appena fuori Trieste.

Alla Triestina venne concesso comunque di terminare il campionato, che concluse al 15esimo posto, e ad agosto venne rifondata con il nome “Unione Triestina 2012 Società Sportiva Dilettantesca”. A settembre, dopo l’inizio del campionato d’Eccellenza, i tifosi si adoperarono per affittare il marchio originale usato regolarmente dalla squadra prima del fallimento e lo diedero in concessione alla nuova società, controllata da alcuni imprenditori triestini. Alcuni mesi dopo l’inizio della stagione, la società triestina iniziò delle trattative con il presidente del Palermo Maurizio Zamparini e l’amministratore delegato Pietro Lo Monaco per una collaborazione tra le due squadre, che avrebbe dovuto precedere l’ingresso in società dello stesso Zamparini. In quei mesi fu proprio Zamparini a dichiarare in varie interviste la sua intenzione di aiutare e poi acquistare la Triestina. Poi però non se ne fece più nulla: Zamparini dichiarò in seguito che le garanzie offerte dal sindaco e l’accordo con la dirigenza triestina non erano soddisfacenti.

L’ingresso di Mehmeti
Una volta eliminata l’ipotesi dell’ingresso in società di Zamparini, la Triestina continuò a disputare regolarmente il campionato d’Eccellenza; nonostante la sconfitta nei play off per la promozione, l’anno dopo la squadra venne ripescata ugualmente in Serie D. Dopo una stagione mediocre terminata al decimo posto, i soci triestini cedettero la società – con bilanci in rosso – all’imprenditore svizzero di origini kosovare Hamdi Mehmeti. I cinque mesi di presidenza di Mehmeti furono probabilmente il punto più basso nella storia recente della squadra. La proprietà si rivelò inaffidabile e le promesse di pagamento dei debiti e degli stipendi arretrati di calciatori e preparatori non vennero quasi mai mantenute. Mehmeti era affiancato da un socio camerunense, Pierre Mbock, che ricopriva le cariche di vice presidente e amministratore delegato e lo sostituiva nelle sue lunghe e a volte ingiustificate assenze. A luglio tutti i membri della nuova dirigenza (di cui facevano parte anche due consiglieri italiani) vennero convocati in questura e interrogati per atti non costituenti reato: tre mesi dopo Mhemeti e Mbock vennero indagati dalla procura di Trieste per truffa ai danni della vecchia proprietà.

Una volta confermata l’inaffidabilità di Mehmeti, tifosi e amministrazione comunale iniziarono a spingere l’imprenditore svizzero a lasciare la proprietà della squadra. Ad agosto, durante una conferenza stampa alla stadio Nereo Rocco (in cui Mehmeti disse non poter rispondere alle domande dei presenti in assenza di un traduttore), il presidente dell’Associazione Nazionale Triestina Club, Sergio Marassi, revocò alla società l’uso del vecchio marchio della Triestina, che venne tolto all’istante anche dalla sala conferenze.

Le ultime due proprietà
Poche settimane dopo la conferenza stampa, Mhemeti lasciò Trieste e la società fu comprata da Marco Pontrelli, ex consulente di Mehmeti, che riuscì a iscrivere la squadra al campionato di Serie D evitando un altro fallimento. I tifosi decisero di concedere gratuitamente alla nuova dirigenza il vecchio marchio della Triestina in comodato d’uso. La gestione di Pontrelli però non servì a colmare i debiti creati dalle gestioni precedenti, nonostante la società avesse solo poche decine di dipendenti oltre ai calciatori. Iniziarono i pignoramenti degli incassi delle partite, di parte del materiale di proprietà della società e delle divise da gara. I tifosi ritirarono nuovamente la concessione del marchio.

Lo scorso luglio un bar di Trieste presentò al tribunale di Trieste un’istanza di fallimento contro la Triestina, per circa diecimila euro di pasti non pagati. La società riuscì a saldare il debito iniziale ma molti altri rimasero in sospeso fino a poche settimane fa, quando Pontrelli ha lasciato la società a Silvano Favarato, che tramite una fideiussione di 500 mila euro è riuscito ed evitare un fallimento dato quasi per certo. Le vicende della Triestina però non sembrano finire qua: Favarato, che è anche presidente dell’Union Quinto (la squadra di una piccola città in provincia di Treviso), sta scontando sei mesi di inibizione per non aver pagato un allenatore e il sindaco di Quinto di Treviso lo ha accusato di aver trascurato la manutenzione dello stadio comunale. Favarato, che pare abbia anche due soci turchi, sarà affiancato da un commissario giudiziale che avrà il compito di sistemare i contri entro fine gennaio.

Un nuovo “modello Parma”
A novembre Paolo Condò, uno dei più importanti giornalisti sportivi italiani, ha scritto un articolo per Il Piccolo, il quotidiano di Trieste, in cui ha invitato gli imprenditori triestini e quelli più legati alla città a risollevare la società dalla sua brutta situazione, senza la necessità di tornare in alto in fretta, ma partendo da una riorganizzazione societaria e dallo sviluppo dei settori giovanili. Un percorso simile a quello intrapreso di recente dal Parma e dal gruppo di imprenditori emiliani che hanno rilevato la società dopo il burrascoso fallimento dello scorso anno. Gli imprenditori citati da Condò sono Andrea Illy e Enrico Samer, ma anche Federico Pacorini e la famiglia Dukcevich. Nonostante l’arrivo di Favarato, è circolata l’ipotesi di “ignorare” la squadra esistente (che non può usare il marchio originale e per molti non è “la vera Triestina”) per crearne una da zero, a cui i tifosi concederebbero il marchio.